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Chiara Inesia


martedì 27 maggio 2008

COSI' E' (SE VI PARE) di Luigi Pirandello

Così è (se vi pare), commedia in tre atti derivata dalla novella “La signora Frola ed il signor Ponza, suo genero” infatti, dopo essere stata rappresentata per la prima volta nel giugno 1917 al Teatro “Olimpia” di Milano, fu modificata nel 1925, arricchendosi di nuovi effetti comici, proprio per fugare alcune delle preoccupazioni sceniche che erano emerse nella prima versione.
Il testo mostra e contiene, come lo scritto originario, tutti i temi del teatro di Pirandello già formulati ed eretti a poetica sia nel saggio su L’umorismo che, in definitiva espressione, in Uno nessuno centomila. Protagonista uno dei temi più forti della visione pirandelliana del mondo: l'inconoscibilità del reale, a cui ognuno può dare una propria interpretazione e una propria verità senza per questo preoccuparsi di farle coincidere con quelle degli altri.

Nella commedia il tema della relatività della vita è centrale e presente nelle parole chiave proferite da uno dei personaggi, Lamberto Laudesi, come introduzione: «Io sono realmente come mi vede lei. Ma ciò non toglie, cara signora mia, che io non sia anche realmente come mi vede suo marito, mia sorella, mia nipote e la signora qua… Vi vedo affannati a cercar di sapere chi sono gli altri e le cose come sono, quasi che gli altri e le cose per se stessi fossero così o così».
Il Signor Ponza, sua moglie e la suocera, la Signora Frola si sono trasferiti, dopo un terremoto che ha sterminato la popolazione del paesino del sud dove vivevano, in una cittadina provinciale pettegola e morbosamente curiosa.
Il comportamento dei tre forestieri è, a dir poco, strano: il Signor Ponza ha affittato un appartamentino all’ultimo piano di un caseggiato popolare per la moglie, che tiene chiusa a chiave, e un quartierino elegante per la suocera che egli va a trovare tutti i giorni.
Questa abitazione è contigua a quella del Consigliere della cittadina e la gente, a cominciare dalla moglie e dalla figlia del Consigliere e dai loro amici e conoscenti, si chiede con curiosità esasperata come e perché la madre non possa andare liberamente a trovare la figlia, ma solo vederla da lontano, e perché quest’ultima non esca mai di casa.

Dai vari dialoghi tra i curiosi, la signora Frola e il genero si delineano due possibilità: o lui è malato di mente, ossessionato dalla gelosia per la moglie, o la suocera è pazza e crede sua figlia la moglie del genero, mentre invece questa è solo la seconda moglie, essendo la prima morta.
I pettegoli, ruotando intorno alla prefettura, vorrebbero vedere le carte, i certificati di morte e di matrimonio, ma i documenti ufficiali sono andati perduti nel terremoto e la verità non salta fuori. Unico tra tutti che non si unisce al coro dei pettegoli impiccioni è il fratello della moglie del Consigliere, Lamberto Laudisi, il solo che è convinto della relatività della realtà legata alle persone, al loro modo soggettivo di pensare e di comportarsi; Lamberto si diverte a stuzzicare i suoi stessi parenti e i loro ospiti, esasperando la loro ridicola pretesa di diritto a conoscere i fatti altrui.
Chiamata a rendere conto di chi veramente sia, la Signora Ponza, vestita di nero e velata dirà: «Io sono sì la figlia della Signora Frola e la seconda moglie del Signor Ponza, sì; e per me nessuna! Nessuna! Io sono colei che mi si crede».

La tesi dell’inconoscibilità del reale è tutta calata in un pettegolo e angusto mondo di provincia: questa è la rappresentazione di un ambiente che non raffigura più un’oggettiva verosimiglianza con la realtà, ma Luigi Pirandello mira a svuotare dall’interno questi schemi e tende a mettere in crisi proprio le certezze oggettive.
L’impossibilità di conoscere la verità accompagna il lettore a provare un senso di pietà per gli uomini che si illudono di possedere la verità, ed è quella che i protagonisti della commedia provano reciprocamente, ciascuno nei riguardi dell’altro.

Finge la signora Frola perché il signor Ponza sia sicuro e contento della sua verità, e finge il signor Ponza perché la signora Frola sia anch’essa a sua volta sicura e contenta della sua verità. Questo, se da un lato riconferma la fondamentale impossibilità di approdare a una verità oggettiva, contemporaneamente indica la via per evitare la chiusura solitaria in se stessi: riconoscere, con un atto d’amore, l’esistenza e il dolore degli altri.

Dov’è dunque la follia, il dramma, la Verità? Nel tribunale o nel credo collettivo? Nel sentire o nel pensare?
Forse nell’aspetto multiforme e cangiante della Realtà, in quel suo essere costantemente disponibile ad ogni livello d’interpretazione e di esperienza? La risposta pirandelliana sembra essere nel dubbio delle certezze. Tanti ruoli, tanti sé.

>La signora Frola ha una visione della Verità più profonda di quella dell’opinione collettiva. Frola non si basa sulla presa di coscienza sensoriale, quanto su una percezione di tipo sentimentale: ella conosce una Verità figlia del suo tipo di visione, cui si sente profondamente unita, ma irraggiungibile, visibile solo di lontano. Può comunicare con essa solo di sfuggita: un ‘panierino’ dall’alto e qualche messaggio scritto. Frola ha una visione del mondo, più semplice e ingenua, che non vuole capire ma credere: ora è inadeguata, forse impazzita. Il signor Ponza nella sua vita ha subito un terremoto, ha perso tutto. La realtà delle cose percepita dal sentimento è ormai superata, è morta.

Arriva sempre un momento in cui la mente rimane confusa, disorientata, in cui si avvicina alla follia. La percezione della Verità è relativa. Il pensiero del signor Ponza crede, comunque, di poter sposare la Verità, di fare di Frola, una signora Ponza, una seconda moglie rispetto a quella dei tempi passati. La chiude, la protegge, la separa dal sentimento stesso, cerca di renderla inavvicinabile, imparziale, asettica come per un esperimento scientifico, cercando di eliminarne le variabili indipendenti.
La Verità non è comprensibile né dall’opinione collettiva né dal sentimento, ma anche il pensiero più razionale e controllato del signor Ponza, pur ritenendo di possederla, probabilmente non la conosce.
La signora Ponza, Verità occulta, è inarrivabile nella sua essenza. Essa ‘così è se vi pare’, si presenta in vario modo secondo l’apparenza dei mondi della percezione. Tuttavia il suo essere velata lascia avvertire la presenza di qualcosa oltre il velo, una ambiguità su cui non si può dire nulla.

I signori Sirelli, i loro amici, il signor Prefetto, il Consigliere Agazzi eccetera, rappresentano tutti insieme l’opinione comune, la conoscenza condizionata, schematica, superficiale, collettiva. L’apparenza è considerata Verità Assoluta.
Il signor Lamberto Laudisi cerca di smantellare le categorie delle certezze collettive, suggerendo la consapevolezza della relatività di ogni punto di vista, come anche la rispettabilità e ‘verità’ delle differenze individuali. Attraverso la presa di coscienza di ciò che Laudisi suggerisce, risvegliando un salvifico dubbio sulle certezze conclamate e ritenute assolute, passa l’inizio di ogni cammino interiore.

Pirandello ha sapientemente e giocosamente sviluppato la tesi che ogni Verità resta per l’uomo inconoscibile, inafferrabile e che ci si deve accontentare di verità soggettive che mutano al mutare del punto di vista.
L’uomo non ha una propria essenza a priori, ma egli stesso diventa una persona solo sotto lo sguardo degli altri, assumendo tanti ruoli e tante sé, quante sono le persone che lo vedono.
Le maschera nelle Verità soggettive. La pazzia è l’unica soluzione e alternativa alla vita che stritola e impone la maschera. I personaggi pirandelliani non hanno un’unica forma. Questo è il dramma di chi, perduto nell’informale, cerca una forma; di chi, illuso di averla trovata, muore sotto le rovine della parte delusa; di chi ne evade e di chi si costruisce con i pezzi vani della ragione la sua volontà di essere.

di Lucio De Angelis da Notizie radicali, 8 febbraio 2008

IO SONO...

"Io sono colei che mi si crede"

di Luigi Pirandello in Così è (se vi pare)

NOI, PICCOLI E GRANDI UOMINI...

"Noi, piccoli e grandi uomini, disturbati, preoccupati di grandi cose, in continua ricerca di risposte e soluzioni nuove, perdiamo l’orientamento ed è inutile dire che la nostra esistenza non diviene né ricca né nobile “accaparrandoci” tutto quanto possiamo attorno a noi, di ordine materiale ma anche spirituale."

da Gemme di saggezza Zen di Roberto Kengaku Pinciara e Maria Grazia Uggé, ed. Magnanelli