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Chiara Inesia


domenica 16 marzo 2008

PERCHE' OMEOPATIA?

di Luigi Marcello Monsellato

L’ETÀ DELL’UOMO II°
semestre 84 – Anno I
Giugno-Luglio N. 2

In una fredda giornata d’inverno, due porcospini pieni di freddo si strinsero l’uno all’altro per riscaldarsi. Si accorsero però di pungersi reciprocamente con gli aculei, pertanto decisero di separarsi e così sentirono di nuovo freddo.
Prova e riprova, i porcospini alla fine riuscirono a trovare quella giusta distanza che consentiva loro di scambiarsi un po’ di calore senza pungersi troppo. Questo racconto di Schopenhauer ci è utile per riflettere sulle problematiche inerenti ai rapporti interpersonali: fino a che punto possiamo stare vicino all’altro? Quanto calore ci è necessario? Come fare per vivere insieme senza danneggiare l’altro? Cosa ci piace e non ci piace dell’altro? Tali conflitti si sono intensificati ultimamente perché, sempre di più e sempre più spesso, ci interessiamo l’uno dell’altro.
Come scrisse Goethe: «... bisogna considerare ogni cosa come parte di un tutto. Vedi nella parte il tutto, nel tutto la parte».

Comprendere ciò vuol dire comprendere l’unità psico-fisico-emozionale della persona e ricordarsi che all’origine di ogni affezione che può colpire una persona, vi è un «problema» psichico rimosso e non una tegola che, staccandosi dal tetto, ci cade sulla testa. Il disturbo si organizza durante anni di eccessi e di conflitti morali, che lentamente limitano la vitalità del soggetto ed è inutile cercare di curarlo senza risalire alle cause. Tutte queste cause, questi «nodi» usano diversi modi per esprimersi: sogni, blocchi energetici, difficoltà nel rapporto con gli altri, tensione, ma anche attraverso un gesto, un corrugare la fronte, il battere del cuore, così pure tramite il lieve ammonimento della diatesi dell’acido urico, della ipersensibilità del simpatico e, da ultimo, mediante la voce insistente della malattia.

Ebbene, in tale contesto opera la medicina omeopatica, «corpus» terapeutico che, contrariamente a quello tradizionale, positivista, fenomenologico, che segue rigorosamente le leggi causa-effetto, cerca il «senso» di quanto accade, non le cause, secondo una visione analogica, ad personam, che va al centro dell’individuo. Indagare, attraverso la legge dei simili, il legame che unisce la persona alla natura, per mettere in evidenza quanto è nascosto ma, allo stesso tempo, evidente: questo è il significato della Medicina Omeopatica.

Non è un discorso facile. Il mito del pensiero scientifico, oggi così ipertrofico, che porta ad essere oggetto di studio e non soggetto, non può accettare che qualsiasi forma vivente, sia essa animale, vegetale o minerale, racchiuda in sé «momenti» di psichismo collettivo; d’altra parte, l’epoca che stiamo vivendo, un’epoca strutturata sull’onnipotenza dell’io, dalla facciata narcisistica, dove il corpo non ha dignità di esistere, se non in chiave di sperimentazione, ci ha portato ad un allontanamento dalla natura.

Poiché quella omeopatica è una medicina che guarda la persona, al suo insieme così come è ora, com’era e come sarà, spostando il baricentro dal pensato al «vissuto» dell’uomo, alla sua storia, è possibile pensare al superamento delle antitesi mente-corpo. Infatti, il medico omeopatico interroga il paziente sui suoi sogni, sugli aspetti più strani e peculiari, sulle mode, sulle abitudini, sulle sue ore particolari, sugli obiettivi, sul biotipo costituzionale, sulle tensioni, sullo stile di vita, sulla personalità, tutte sfaccettature da collegare ad un’unica sostanza, che le veicola in sé. Il rimedio omeopatico è «vivo», dotato di uno specifico significato o «intelligenza».
Assumerlo significa riproporre dentro di noi il suo contenuto chimico, così come quello analogico, così come quello simbiotico. Sono sostanze dotate di una loro «personalità», allo stesso modo in cui noi, esseri umani, ci rapportiamo a tutto il mondo circostante, coscienti, nel nostro organismo, delle reazioni biochimiche; ma contemporaneamente determinano uno stimolo specifico, profondo, atto a sintonizzarsi con l’unità psico-fisico-emozionale del paziente.

E questo, grazie anche alla vera e fondamentale scoperta di Hahnemann, quella delle diluizioni e dinamizzazioni omeopatiche, operazioni che fanno sì che la sostanza naturale di partenza non sia più chimicamente rilevabile, superando persino la dimensione atomica: non la fanno scomparire, la trasformano in pura energia.
Si ha così il passaggio, da quella che è definita dai più la farmacologia di massa, ad una farmacodinamica di messaggio: una vera e propria molecola-pensiero, che va nel profondo dell’uomo.
Ed ecco così spiegato come Pulsatilla diventi l’emotività repressa, Grafite la durezza dei sentimenti dovuta alle tante sofferenze e così via.

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