Conferenza di Lidia Fassio
Santa Maria Nuova (Jesi) 12 aprile 2005
Inizia il giorno con amore,
trascorri il giorno con amore
e concludi il giorno con amore:
questa è la via verso Dio.
Questa sera andremo ad esplorare un argomento abbastanza speciale; non è molto comune trattare l’argomento psicologico in relazione alla spiritualità o, se vogliamo usare una parola che a me personalmente piace ancora di più, alla trascendenza.
Lo scopo di questa discussione non è certo di convincervi, ma quello di potervi offrire un piccolo spunto di riflessione; infatti non uscirete di qui sicuri che esista la spiritualità, che esista una dimensione di trascendenza e ancor meno sarete convinti dell’utilità della psicologia, soprattutto se non avete mai preso in considerazione che questa disciplina è importante e utile. Inoltre, a sostegno della vostra totale libertà esiste anche l’assoluta certezza che la scienza non può mettere mano dentro a queste tre cose: comprende poco della psicologia; direi anzi che una delle calamità di questi ultimi anni da parte della psicologia è proprio quella di volerle a tutti i costi dare un assunto scientifico costringendola ad entrare in dimensioni schematizzate e questo per riuscire a farla entrare nelle accademie, trasformando anche le facoltà da “facoltà di psicologia” a “facoltà di scienze psicologiche”, termine indubbiamente più altisonante ma sicuramente molto meno vicino alla verità di quanto la materia vorrebbe sostenere. Se la scienza poco conosce della psicologia, ancor meno conosce della spiritualità, disciplina anche questa poco connotabile e ancor meno inseribile nelle statistiche e nella schematicità; se poi andiamo ad affrontare la trascendenza, possiamo addirittura entrare nella dimensione che la scienza chiama “parapsicologia”, termine un po’ svalutante che sta ad indicare un calderone di cose che sfuggono comunque alla scientificità e alla razionalità.
Fatto questo doveroso preambolo, il mio scopo consiste nel cercare di trovare alcune tracce dello spirituale e della dimensione trascendente nella nostra vita quotidiana… o meglio, nella nostra realtà ordinaria.
Devo fare una piccola premessa che riguarda il termine “coscienza”. Non è infatti possibile riuscire a cogliere il significato di trascendenza se non ci riferiamo prima al concetto di “coscienza”; infatti, la parola trascendenza ha senso solo se la rapportiamo alla coscienza, perché è questa che può trascendere ed autotrascendere.
Per coscienza ovviamente non mi riferisco al concetto morale, ma a quello psicologico: quello che in inglese si traduce con il termine ‘counsciousnes’s che è il nostro sistema di percezione, ma è anche quell’istanza che ci permette di riconoscerci in un continuum (l’Io è la funzione principale della coscienza ed è attraverso di esso che facciamo esperienza e che ci riconosciamo). La coscienza è una sorta di ispettore che investiga sul mondo esterno e su quello interno; non si ferma mai… forse, e dico forse, neppure dopo la morte.
La coscienza ha quattro qualità fondamentali:
- - è unica, assolutamente originale
- - è indivisibile
- - è trascendentale
- - è dinamica
Per dinamica si intende il fatto che non è fissa, ma passa attraverso stati diversi e, mentre da un lato risulta molto difficile definire che cosa è esattamente, è invece più facile vederla in azione nei suoi passaggi da uno stato all’altro: in tutti questi passaggi, la coscienza è in grado di registrare quello che “c’è oltre”. Per questo possiamo parlare di “trascendenza”, proprio partendo dal concetto che abbiamo una coscienza che sta abitualmente in uno stato ordinario e che, di tanto in tanto, è in grado appunto di andare… oltre.
Fatta la debita premessa torniamo al tema della nostra serata utilizzando la metodologia della psicologia umanistica e transpersonale che studia prevalentemente il comportamento umano osservando, tra le altre cose, anche i concetti di spiritualità e trascendenza che toccano entrambi l’uomo.
Cercheremo di comprendere alcune cose attraverso le parole che, in un certo senso, sono magiche. Sono i pensieri che diventano parole che poi producono e diventano “cose”, quindi bisogna stare attenti a come si usano le parole e, rispetto all’argomento che andiamo a trattare stasera, le parole spesso sembrano depistarci, toglierci dallo scopo vero.
Per prima cosa affrontiamo il termine psicologia che nell’idea comune delle persone viene tradotto come “mente”; niente di più falso, la psicologia non è lo studio della mente, ma è qualcosa di completamente diverso.
Il primo significato di psicologia che deriva dal greco “psiche” è soffio, respiro e, in effetti si parlava effettivamente di inspirazione ed espirazione, ci si riferiva al soffio, presente in tutte le mitologie, come a qualcosa che ha dato vita, che ha “animato qualcosa che prima era inanimato”; dal respiro allo spirito, il passo è stato semplicissimo, anzi, direi che è stato straordinario: psicologia vuol dire “studio del soffio, dello spirito e… dell’anima”.
Anche la radice semantica della parola spirito deriva da “pur-puros” che in greco vuol dire fuoco, dinamismo, vitalità, ardore.
Esattamente questo: la psicologia è lo studio dell’anima, quindi, la parola in sé già da sola indica trascendenza perché l’anima non è sicuramente qualcosa di tangibile, neppure la neurofisiologia sa collocarla: Eccles termina l’ultima parte del suo meraviglioso testo di neurofisiologia del cervello dicendo che “è impossibile oggi non riconoscere che esiste un’anima, ma è altrettanto impossibile collocarla in qualche sezione del corpo o del cervello umano”.
Per farvi comprendere bene questo significato vi parlerò un attimo della bellissima favola di Apuleio – Amore e Psiche. Alcuni di voi magari la conoscono, ma molti non la ricorderanno, per questo la racconto: ovviamente è una storia di amore, ma non è un raccontino erotico, letto così non avrebbe infatti alcun fascino… è infatti una grande lezione a livello spirituale.
Psiche è una bellissima ragazza molto giovane e ancora nulla sa della vita; Amore, figlio di Afrodite, si innamora di lei e la rapisce portandola nel suo bellissimo castello. Lì vivono il loro amore in maniera intensa e profonda.
Psiche, ovviamente, come tutte le persone al mondo ha una madre e anche delle sorelle.
Amore e Psiche si possono incontrare solo di notte; l’unica condizione che Amore pone è quella di “non essere visto”; in pratica le dice: “io verrò ogni notte, ma in incognito e tu non puoi vedermi, non ti mostrerò il mio volto, ma sarò per te l’amore vero”.
Psiche è felice, al settimo cielo… però, come tutte le ragazze di questa terra non vede l’ora di comunicare il suo stato d’animo alla madre e alle sorelle a cui racconta di questi suoi incontri e di questo ragazzo; ovviamente la madre e le sorelle cominciano a farle un interrogatorio e, alla fine, le mettono un sacco di dubbi, cominciano a dirle “ma se non si fa vedere sarà un mostro, come fai a non sapere chi è, devi assolutamente sapere chi è”.
Così, Psiche, una sera mentre lui dorme decide di sapere, di conoscere. Prende una fiaccola e cerca di vedere il viso di Amore. La leggenda vuole che lei resti così sconcertata dalla bellezza del suo Amore che, impietrita e paralizzata lascia che la cera calda cada sul viso di Amore che, ovviamente si sveglia e scompare.
Psiche allora sa che lo ha perduto e da lì iniziano tantissime sue peripezie per ritrovarlo e ritornare con lui… in ogni caso, non è questo che ci interessa, ma la prima parte di questa favola è in linea con ciò che voglio esprimere. Sembrerebbe che non possiamo pretendere di guardare l’Amore con gli occhi normali, quelli dell’ordinarietà; l’amore è un mistero perché è qualcosa che incontra o perlomeno, si avvicina molto al Divino; se vogliamo etichettare questa dimensione, la rendiamo banale e, quindi, tutto quello che è straordinario se viene portato nell’ordinario… scompare”.
Se vogliamo dare una connotazione scientifica o se vogliamo comprendere con la mente razionale qualcosa che razionale non è… è meglio che lasciamo perdere, perché altrimenti tutto diventa banale ed inutile; come se volessimo comprendere un mito con la forza della ragione, ci sembrerebbe una favola per bambini.
La favola di Apuleio sembra dirci che l’Amore è qualcosa da sperimentare e da fruire; l’amore si deve “sentire”, non possiamo teorizzarlo; nel momento in cui lo descriviamo, lo rimpiccioliamo, lo banalizziamo e questo perché l’amore non appartiene alla condizione dell’umano ma appartiene al divino e al mondo del trascendente: esso è uno strumento che il divino ha messo a disposizione dell’uomo perché egli si possa elevare… possa condividere qualcosa di immenso, vivendolo e sperimentandolo.
Una seconda parola interessante per il nostro discorso sulla spiritualità e trascendenza è “religione”. Anche questa è una parola straordinaria che viene quasi sempre compresa in modo diverso dal suo significato originario.
Religione non vuol dire “unione con Dio” come spesso si sente dire; vuole invece dire “ri-unire , ri-collegare”: questa è la traduzione della parola “re-ligere”; e in parole semplici ci riporta al concetto che un tempo eravamo “UNO”, tutto era unito, Dio, gli uomini, gli animali, le piante, tutte le creature facevano parte di un TUTTO. Poi è accaduto qualcosa: si è rotta questa unità, si è sentito il bisogno di conoscere, di capire ogni singola individualità e, a seguito di questo, ci si è separati dall’unità: si è sviluppata la coscienza individuale, quella che usiamo ogni giorno, però si è avvertito anche il senso tremendo di frammentazione, di separazione, non siamo più Uno, siamo tanti, frammentati e spesso ci sperimentiamo piccoli e soli.
Il concetto di religione è legato al ritornare all’unità e questo è un concetto altamente psicologico in quanto la psicologia ci parla di un UNO che diventa DUE e che, nel tempo dovrà ridiventare UNO; la coscienza infatti si frammenta, si passa dall’unità alla divisione Conscio e Inconscio che produce il senso di polarizzazione, il bianco e il nero, il sotto e il sopra, il me e il non me, il Sé e l’IO; ma un giorno, proprio per via della “trascendenza”, l’Io tornerà a unirsi al Sé e in quel momento ritornerà all’Uno, al Tutto, alla spiritualità.
Noi però siamo anche divisi all’interno, non solo all’esterno: anche dentro noi siamo tanti. Io sono un po’ madre, un po’ moglie, un po’ insegnante, un po’ astrologa, un po’ amica… insomma ho tantissime parti… anche in questo mondo interiore dovrò tornare all’unità. Quindi, la parola “religione” non ha affatto il significato che tantissimi credono, anche sacerdoti e uomini di chiesa a volte travisano questo concetto e così sembra essere diventata una parola di scarso significato, a volte addirittura con un significato negativo.
Tra le mie tante anime ho anche quella dell’astrologa e questa materia fantastica, splendida che dà modo di comprendere in maniera affascinante e abbastanza semplice i grandi misteri dell’uomo e dell’universo, ci ricorda che il concetto religioso per l’individuo si trova in casa nona, simbolicamente legata al segno del Sagittario che, come tutti sapete è rappresentato da un essere metà uomo e metà cavallo che lancia in aria delle frecce. Ebbene, questa immagine è ovviamente un simbolo che rappresenta qualcosa che nella realtà non c’è ma che è in grado di evocare: il Sagittario è il segno in cui umano e divino si cercano (è un segno che fa da ponte) perché hanno nuovamente bisogno di incontrarsi e l’uomo sente questa tensione grandissima verso l’alto, anche se, la sua parte cavallo – indicante la parte sensuale e istintiva della materia incarnata – è la parte che sembra trattenerlo e radicarlo; in realtà da questo momento in poi l’uomo può elevarsi, può andare al di là e trascendere la dimensione materiale e fisica per ri-unirsi a qualcosa che considerava interrotto e perduto. Il segno del Sagittario rappresenta simbolicamente la possibilità che ogni individuo ha di ricollegarsi a qualcosa di superiore e di Assoluto.
Quindi “religere” significa che ognuno di noi ad un certo punto deve ricollegarsi con l’Universo, deve ridiventare conscio di un senso di appartenenza superiore, più grande, non limitato al mondo terreno. Quando avremo capito e realizzato questo diventerà facile comprendere l’assurdità che una mano uccida l’altra, che un occhio accechi l’altro, perché se c’è unità, accusare, picchiare, uccidere, è sempre un… uccidere sé stessi.
La religione è dunque una delle forme più alte di psicologia: non possiamo confonderla con il potere della Chiesa che in molte occasioni ha usato la religione per altri fini e non per quello a cui sarebbe stata vocata.
La religione riguarda un nucleo profondo che sta all’interno di ognuno di noi: Jung diceva che tutti gli uomini sono mossi dal senso di religiosità; l’uomo vuole migliorare, vuole capire, vuole tornare alle antiche capacità: significa che l’uomo sa di essere stato Uno, di essere appartenuto a qualcosa, sa di averlo perduto e ricerca costantemente il suo senso di appartenenza e di unità. La religione è un senso di psicologia molto più profondo di altri che ad un certo punto si fermano proprio perché parlano del corpo, della psiche, dei pensieri, delle intuizioni, delle emozioni e degli impulsi; tutte cose fantastiche che però originano tutte dall’anima, ma non sono l’anima.
La religione nel suo senso più elevato e più nobile è la forma più completa di psicoterapia e di psicologia, perché vuole farti ritornare all’UNO. Il concetto stesso di INDIVIDUO tipico di Jung, ha a che fare con Indiviso, non diviso, quindi ri-unito.
Però siamo noi che torniamo ad essere ri-uniti, in-divisi ed è questo che c’è di straordinario in questa parola. E’ simile alla parola YOGA che anche essa vuole dire Unione.
Ora, arriverei all’altra parola per me molto affascinante: “trascendenza”.
Trascendenza indica qualcosa che va oltre: oltre i sensi, oltre la realtà, oltre la mente e oltre i pensieri. La psicologia sostiene che il termine trascendenza è molto adatto a definire esperienze che travalicano i nostri abituali livelli di attività funzionale e, pertanto, a noi sembrano un po’ misteriosi.
L’astrologia colloca la trascendenza in casa dodicesima e la affida al pianeta Nettuno. Spesso, questi due simboli vengono visti come “perdita di sé, illusione, alterazione di coscienza” e, in pratica, fino ad alcuni anni fa, le connotazioni erano praticamente solo negative; questo conferma che tutto ciò che la coscienza non riesce a prendere in considerazione viene considerato “misterioso, oscuro, non connotabile, quindi, a-normale o para-normale”.
Però la religione, la filosofia, la psicologia, l’astrologia e la teologia non fanno altro che ricordarci che esiste una dimensione trascendente ovvero c’è un mondo molto più ampio di quello che vediamo e percepiamo: quello è solo la punta di un grandissimo iceberg.
La vita spirituale o religiosa, consiste dunque semplicemente nel credere che esista un ordine non visibile e che il nostro bene supremo sia semplicemente entrare in armonia con esso, adattandosi ad esso. Questo modo di intendere le cose ci ricorda che quello che noi vediamo del mondo, il mondo tangibile, materiale e sensoriale è una parte piccolissima, forse infinitesimale, della totalità.
In che modo però noi possiamo accedere a questo mondo? Ad esempio attraverso un’altra parola che sembra strana: il “miracolo”; ma cos’è il miracolo? Chi non ha mai preso in considerazione le parole re-ligione, trascendenza e spiritualità non sa neppure prendere in considerazione la parola miracolo, tuttavia, ora che conosciamo il vero significato, sappiamo anche che è difficile non essere “re-ligiosi”, giacche questo non significa affatto essere cattolici, protestanti o mussulmani… ma rientrare in relazione con l’universo e la totalità; allora forse possiamo comprendere che la parola “miracolo” non è nient’altro che la possibilità di riuscire a contattare una dimensione che prima non contattavamo.
C’è stato un grande mistico, Sant’Agostino, che sosteneva che il miracolo non va contro natura ma contro la natura conosciuta: “non contra-naturam bensì contra notam naturam” ; in pratica il miracolo serve a farci toccare con mano il fatto che esista un’altra dimensione. E’ come se ci dicesse “guarda che tu conosci solo alcune cose, alcune dimensioni, ve ne sono altre che prima o poi dovrai prendere in considerazione, sono leggi più profonde e… forse molto più vere… ma sono al di fuori e al di sopra della realtà quotidiana”.
Tutto ciò non è solo un fatto spirituale, perché la capacità di percepire altre dimensioni appartiene in un certo senso anche alla scienza, seppure non a tutti gli scienziati: se noi guardiamo un tavolo, a noi sembra qualcosa di duro, di rigido, di fisso e di solido; però se lo guardiamo con un microscopio a scansione elettronica ci accorgiamo che non è per niente fisso, per niente stabile e neppure solido; è infatti composto di milioni di molecole… atomi, neutroni, protoni, fino ad arrivare a particelle invisibili, tantissime, miliardi di miliardi, in continuo movimento che si muovono in spazi apparentemente vuoti ma in realtà pieni di informazioni – come ci sta dicendo oggi la fisica quantistica. Però noi “nella realtà” vediamo qualcosa di solido, di duro e di fermo anche se non è affatto così.
Quando riusciamo a comprendere anche solo lontanamente che esistono altre dimensioni, allora possiamo cominciare a ragionare sul termine “trascendente”; sappiamo a quel punto che siamo immersi in questa dimensione, ma sappiamo anche che le cose non sono più esattamente come le abbiamo immaginate prima. Ebbene, questo sembra essere un miracolo; a volte il miracolo o meglio la possibilità di cogliere la dimensione trascendente arriva in modo diverso: se un mattino ci svegliamo e ci dicono che siamo molto malati la prima cosa che ci viene in mente è che c’è bisogno di ridare priorità diverse e che tutto ciò che fino al giorno prima ci sembrava straordinario sembra perdere clamorosamente di importanza… Le persone sembrano dire: “che me ne frega del mondo se tra due mesi devo morire?”, è come se in quel momento andassero a cercare nella mente la parola “re-ligere”, per cercare un collegamento con un’altra dimensione, quella invisibile, quella trascendente, quella che appartiene al mondo spirituale.
Certo, questa è la reazione quando qualcuno sa di avere un male incurabile; anche qui, però, la passione per la psicosomatica mi porta a dirvi che il medico non dovrebbe mai affermare che “la malattia è incurabile”, ma più correttamente che “lui non è in grado di curarla”; perché forse è incurabile solo per un certo tipo di dimensione, e se magari si va da un’altra parte o si cerca da un’altra parte… potrebbe non essere esattamente così.
Quanti malati cercano in un’altra dimensione? Ebbene quella è la dimensione trascendente, quella che ti può anche rivelare che c’è un mondo che sembra oscuro, misterioso ma che, in realtà, non è affatto oscuro, anzi, forse può essere molto più splendente e luminoso, però lo consideriamo oscuro solo perché non lo vediamo.
Sappiamo anche che tutte le forme e discipline spirituali parlano della stessa cosa: i mistici sufi, quelli cristiani, indiani o buddisti e chiunque abbia una sua forma di contatto con lo spirituale sa che esistono queste leggi; tutti i mistici dicono che a un certo punto ci si accorge che ci sono leggi molto più vere e molto più profonde di quelle vigenti sulla superficie. Se traduciamo questo vuol dire che il nostro mondo è fasullo, o meglio che noi non riusciamo a cogliere la realtà vera, cogliamo solo un pezzettino di realtà, ma il punto è che abbiamo la presunzione di pensare che questa sia l’unica.
Gli induisti direbbero che questo mondo, quello della realtà immanente, è Maya = illusione. In effetti è illusione ma non nel senso che non esiste il mondo, ma nel senso che è sbagliata la concezione che noi ne abbiamo, o meglio è estremamente limitata: il mondo a noi viene descritto, e noi finiamo per percepirlo così e per pensare che sia veramente così e descriverlo nello stesso modo, però quando riusciamo a percepire anche l’altra parte del mondo allora sì che accade il… miracolo.
Il miracolo, dunque, sta nel non credere che il mondo sia solo quello che sembra e cercare di comprendere cosa c’è oltre.
A questo proposito vi voglio raccontare la storiella del Mullah Nasser Yeddin che stava cercando qualcosa davanti alla porta di casa sua. Passa un suo amico e gli dice “cosa cerchi?” e lui risponde “cerco la chiave ma non la vedo, è un’ora che sono qui”; allora anche l’amico si mette a cercare e… passa un bel po’ di tempo. Alla fine, dato che non riescono a trovare la chiave, l’amico gli dice: “ma sei sicuro di averla persa qui?”; “no – dice il Mullah – l’ho persa da un’altra parte”, e l’amico attonito lo guarda e dice: “ma allora perché la cerchi qui?”; “perché qui c’è la luce e ci vedo”.
Secondo me è bellissima e paradossale, tuttavia questo è ciò che facciamo tutti i giorni: cerchiamo la nostra chiave dove c’è luce perché non pensiamo di poter trovare qualcosa nel buio; se invece sviluppassimo un po’ di pazienza ci accorgeremmo che è possibile vedere anche nell’oscurità, e che anzi, nel tempo, si può arrivare a vedere molto più chiaro. Anche la psicologia racchiude questo: noi spesso guardiamo solo nella nostra coscienza e non riusciamo a percepire che c’è un’altra dimensione che ci appartiene, che però ci sembra buia, e allora lì non guardiamo perché abbiamo timore; se però ci avventuriamo in quell’apparente oscurità, ci accorgiamo che vediamo chiaro, molto più chiaro e molto meglio di prima.
Questo è un vecchio concetto non solo della psicologia, ma anche di tutte le re-ligioni.
Ora vorrei andare a definire un’altra parola molto interessante. E’ un concetto di Jung e di Pauli: la parola è “sincronicità”.
Noi occidentali siamo molto più propensi a credere alla legge di causa-effetto; sincronicità deriva da sin-cronos, ed è una legge che si affianca a quella di causa-effetto e che spiega tutta una serie di collegamenti e legami molto significativi che ci sono tra eventi apparentemente diversi tra loro e non collegabili in modo diretto e causale.
A volte sembrano eventi banali: ad esempio oggi è il giorno 12, avete preso l’autobus n. 12 e magari alle ore 12 vi ha telefonato un amico che non vedevate da 12 anni… Jung lo spiega molto bene quando scrive della paziente che le sta raccontando il sogno dello scarabeo, un animale simbolo dell’antico Egitto e, ad un certo punto, sulla finestra del suo studio appare uno scarabeo nostrano che sembra voler entrare: in quel preciso momento la paziente lo vede e comincia a raccontare, come se quell’evento avesse liberato qualcosa che prima era bloccato.
Quello è un evento sincronico, come lo è quello in cui voi state pensando ad una persona e quella vi telefona. Non potete pensare che sia “un caso”, solo chi non vuole andare un po’ più in là penserebbe che dopo due, tre, mille volte che accadono queste strane “coincidenze” sia sempre il caso; e solo perché la scienza non è ancora in grado di spiegare un fatto perché non ha gli strumenti corretti, non significa che non esista (tra l’altro Pauli, la persona che ha formulato questa teoria con Jung era un fisico). Certo, la scienza si basa su fatti concreti, ed è meraviglioso questo, però è incompleto o meglio, la scienza dovrebbe dire sempre che “la verità di oggi è l’errore di domani”, esattamente quello che ci insegna Popper.
Le verità sono dunque elementi che possono essere discussi e anche contraddetti.
La sincronicità in ogni caso ci dice che sotto la dimensione materiale e reale di ogni giorno, dove troviamo cose chiare e visibili, c’è anche qualcos’altro, qualche filo più sottile, invisibile, che però… collega le cose tra loro. Anche questo è un qualcosa su cui dobbiamo pensare e ragionare: oggi la fisica quantistica ci dice che le cose non appaiono in modo consequenziale ma appaiono tutte insieme o meglio “sono sempre presenti”. Siamo noi che per farle entrare dentro la mente razionale abbiamo bisogno di codificarle e decodificarle una dopo l’altra e quindi dobbiamo metterle in fila, dando loro un concetto cronologico di prima-durante-dopo, passato-presente-futuro; sono però categorie mentali che derivano dal fatto che abbiamo bisogno di vedere tutto in questo modo e, pertanto definiamo in questo modo anche la realtà, ma le cose non sono esattamente così.
Noi vediamo in modo dislocato, diviso e separato, ma tutto… è sempre eternamente presente in ogni istante nella realtà assoluta, solo in quella relativa ci sembra spezzettato.
La realtà assoluta è pluridimensionale, siamo noi che vediamo solo alcune delle sue dimensioni. Se avessimo occhi molto più allargati, più capaci di vedere e orecchie per sentire meglio, ci accorgeremmo della presenza di molte altre dimensioni. Vi ricordate quello che dice Don Juan a Castaneda: “voi guardate ma non vedete; ascoltate ma non sentite”… esattamente di questo si tratta.
Il tempo non esiste; la spiritualità non è una questione temporale: dobbiamo distinguere il kairos dal kronos ; noi siamo immersi nel kairos, mentre invece lo trattiamo da kronos.
Se comprendiamo bene questi concetti possiamo allora addentrarci un po’ di più nella comprensione.
Noi conosciamo bene la tripartizione dell’uomo in corpo, mente e anima. Siamo fatti di tre livelli strettamente connessi tra loro:
- - Il corpo è la dimensione fisica, la parte materiale che può essere vista in maniera chimica; infatti si può analizzare e ci si trovano un sacco di cose: cellule, nervi, ossa, ecc.
- - Poi c’è la mente, quella con cui ragioniamo, che ci permette di formulare pensieri, discorsi, processi; ha anche una parte affettiva, che sceglie e determina i nostri comportamenti.
- - Infine abbiamo il terzo livello, l’anima, la trascendenza pura, il nucleo di noi che è spirito; la mente è l’ostacolo che impedisce di accedere a questa dimensione. La mente “mente”; sembra un gioco di parole ma in realtà, la mente mette un blocco e un veto a tutto quello che non riesce a prendere in considerazione. Per comprendere le cose dell’anima la mente non serve, servono invece il “sentire” e il “concepire” qualcosa che va ben al di là della mente.
La parola anima coincide abbastanza con spirito ed è molto diversa dalla parola mente. Nella mente ci sono i pensieri, è il nostro computer, quello che tiene in memoria i files; l’anima è una dimensione molto più profonda, è quella che si lega all’ESSERE e non al fare e al pensare; è quella che dà senso alle cose, alla vita e all’esistere; è quella parte che ci ANIMA, altrimenti non avremmo vita. Possiamo anche vederla sotto forma di consapevolezza, ma essere consapevoli non vuol dire pensare, vuol dire “essere totalmente presenti qui e ora”, nel preciso istante in cui si sta vivendo: questa sembrerebbe essere l’attività più straordinaria e fantastica dell’anima.
La psicologia transpersonale prende in considerazione l’anima; avete presente Hillmann quando sostiene che “c’è un testimone nascosto…” ebbene, si riferisce proprio all’anima. L’anima è quella parte di noi che vede anche quando abbiamo gli occhi chiusi; io direi che è il “timoniere nascosto” che guida la nostra barca anche quando non sappiamo dove stiamo andando.
Certo, se volete sapere dove abita l’anima… questo non è facile da definire, ma in ogni caso, per cominciare a cercarla bisogna per prima cosa essere consapevoli, cercare di vivere ogni momento. Per percepire l’anima bisogna essere straordinariamente presenti; però, noi spesso siamo imprigionati dalla mente e non riusciamo ad essere consapevoli e a sentire; siamo troppo abituati a “pensare”, non facciamo altro che macinare pensieri, organizzare le cose con la testa. Un mio maestro diceva che per accedere all’anima bisogna riuscire anche per pochi momenti a “far tacere il rumore della mente”.
Allora, quando ascoltate i grandi Maestri spirituali che parlano di “risveglio”; quando noi astrologi parliamo di URANO e lo definiamo “il grande risveglio”, stiamo esattamente dicendo che siamo tutti più o meno addormentati o, come dice Erickson, “siamo tutti ipnotizzati ed in trance”, e sarebbe invece il caso di destarci!
Ridestarci, risvegliarci, significa uscire dalla prigionia della mente razionale: significa tornare a sintonizzarci sulla consapevolezza… non solo immaginare, non pensare ma ESSERE.
Arriviamo quindi ad un’altra parola molto conosciuta, almeno tra i cristiani, ma non compresa: la parola è DIAVOLO, che ha come significato “ostacolo, separazione”; l’ostacolo è il nostro pensiero ed è lui che separa la mente dall’anima. L’immagine di Lucifero o di Satana che vuole essere come Dio forse si riferisce proprio alla mente: attraverso di essa noi ci illudiamo, abbiamo la presunzione di essere come Lui o di superarLo; in realtà quello è proprio l’ostacolo più grande affinché noi arriviamo a capire e a conoscere, a diventare consapevoli. Il fatto che qualcuno abbia detto “beati i puri di cuore”, forse non ha nulla a che fare con i poveri, come è stato sempre tradotto, ma con quelli che ancora sono rimasti in contatto con il loro cuore, che lo ascoltano e “si ascoltano”, mentre la maggior parte delle persone ascolta solo la mente.
Vi siete mai chiesti perché tutte le discipline spirituali prevedano le “preghiere”, i “mantra”, o come vogliate chiamarli? Perché la preghiera permette il superamento della mente: ad esempio Osho in un suo bellissimo libro dice che la “pratica” è la forma che ci permette pian piano di superare l’ostacolo della mente. Lui sosteneva che la preghiera ci fa comprendere quanto disturba la mente, perché pregando o meditando noi andiamo oltre la mente… e, allora, comprendiamo.
Ora parlerò di una grande attività dell’Anima: l’AMORE che viene insieme alla consapevolezza e alla meditazione.
Innanzitutto, l’anima è qualcosa che sta in relazione con il Tutto: la relazione è vita, non c’è vita senza relazione e l’ingrediente della relazione è l’amore. Senza l’amore non si sopravvive: lo scrivono tantissimi autori e la psicologia lo urla a gran voce da sempre.
Senza l’amore e senza la relazione con qualcuno di importante non esiste neppure la possibilità di sopravvivere per un bambino. Possiamo dire senza temere di essere smentiti che l’essenza stessa della vita e dell’anima è l’Amore; diceva Herman Hesse: “senza l’amore non si può vivere e neppure morire”, intendendo con questo che si è già morti ancor prima di vivere.
Tornando al tema portante “psicologia, spiritualità e trascendenza” voglio ribadire l’importanza delle parole che non possono essere prese alla lettera in nessuno dei casi, proprio perché quando parliamo di psicologia, di spiritualità e di trascendenza, le parole sono fondamentali ma non possono essere tradotte appoggiandosi al significato letterale, bisogna andare al di là del linguaggio della ragione e della mente; infatti queste discipline si riferiscono al linguaggio poetico, simbolico e analogico, quel linguaggio che ha bisogno di essere interpretato per essere compreso. Il linguaggio della spiritualità è metaforico e dunque funziona come il sogno, altra nostra enorme potenzialità impossibile da comprendere e tradurre con la mente razionale. Tutto ciò che appartiene a questa dimensione, tradotto con la parte della mente diventa banale e senza senso.
Per concludere, vorrei solo sottolineare che tutti i popoli hanno avuto un rapporto con il Divino, non importa sotto quale forma lo hanno visto e compreso; quello che la psicologia guarda all’interno della spiritualità non ha nulla a che fare con i contenuti della fede o della religione professata, ma riguarda il rapporto dell’uomo con il “credere” .
Jung sosteneva che l’uomo ha da sempre cercato un contatto e per averlo si è creato degli Dei.
E’ questo che interessa, non certo se Dio esiste o non esiste. Ed è in questo credere che accadono molte cose: è attraverso questo credere che la gente si “converte”, e nel termine probabilmente è insito più un cambiamento di rotta che un cambiamento di fede; un bisogno insito nell’uomo di elevazione e trasformazione che non può avvenire in assenza di fede e della speranza che ci sia qualcosa che va oltre il visibile. Non importa su cosa viene riposta, ma ci deve essere: astrologicamente parlando, senza la casa nona che è quella della vocazione, della chiamata a credere e ad affidarsi a qualcosa di superiore, noi non avremmo alcuna possibilità di rinascita e di elevazione. Quindi, in ogni vita, ad un certo punto appare la “fede” in qualcosa: l’uomo ha bisogno di credere per vivere e questo lo spinge a cercare di comprendere il rapporto che ha con l’universale.
La conversione avviene generalmente dopo una grande crisi in cui, dopo aver tanto cercato e non capito, la mente si arrende, molla la presa e… lì può accadere il miracolo. Il miracolo consiste nel fatto che ci si è aperti a “qualcos’altro” e questo permette di vedere qualcosa che prima non si vedeva ed allora avviene la “conversione” che di suo vuol dire appunto “cambiamento di rotta”; ed è questo che a un certo punto si deve fare: cambiare rotta, altrimenti ci areniamo e ci perdiamo.
Credere ha a che fare con la fiducia, con l’abbandono e con l’affidamento, e tutte queste parole hanno a che fare con i pianeti GIOVE e NETTUNO che guarda caso sono i due signori della casa nona (fede, speranza e percezione dell’Universale) e della casa dodicesima (affidamento e ritorno alla Totalità), al di là delle grandi illusioni della mente e della realtà (case terza e sesta).
Se non crediamo e non sviluppiamo fiducia in qualcosa di superiore siamo sempre contratti, non riusciamo a rilassarci, ci sentiamo inutili e frammentati: ad un certo punto ci accorgiamo che non possiamo fare altrimenti; dobbiamo fidarci, perché allora – e solo allora – riusciamo a vivere; ed è quando ci rilassiamo e ci lasciamo finalmente andare che ci “convertiamo”, perché a quel punto ci accorgiamo della nostra essenza e ci mettiamo anche in sintonia con l’amore che, a detta dei grandi maestri, è l’unica vera legge universale.
Un’altra parola interessante è “misticismo”; chi è il mistico? Siamo tutti mistici perché tutti possediamo un lato di noi che è automaticamente portato verso una sorta di conoscenza superiore. Tutti noi abbiamo Nettuno nel nostro tema natale e tutti abbiamo nostalgia di un’unità che abbiamo sperimentato e perduto. Nettuno è quella parte di noi che cerca tutta la vita di “ri-unirsi” a qualcosa di più; questa parte di noi ci dà prova di una coscienza superiore in azione, qualcosa che prima ci fa passare attraverso una sorta di illuminazione per poi permetterci di accedere alla “visione mistica” della vita.
Il mistico che noi riconosciamo è quello che riesce a stare perennemente in questo stato di coscienza; noi, invece, cogliamo questo frutto solo saltuariamente, per il resto stiamo nella coscienza ordinaria.
Ultimo punto è la “santità”: è da poco mancato Papa Woityla che ha fatto una innumerevole quantità di santi, forse anche lui è un santo. Ma chi è il santo? E’ una persona normale, comune, è uno però che ha il cuore perennemente aperto e che quindi “sente” ciò che accade attorno a lui ed è pronto ad entrare in azione. Il santo è uno che interpreta l’amore, lo mette in pratica nella vita di tutti i giorni e, attraverso la sua energia, la trasforma. L’amore ha il potere di far diventare bella qualsiasi cosa e soprattutto la vita, anche quando agli occhi delle persone normali non sembra così.
Le persone che hanno fatto veramente qualcosa per l’Umanità sono i santi, sono quelli che hanno capito più degli altri, che hanno avuto la forza di cercare e di… trovare. I santi sono quelli che hanno creduto, che hanno avuto accesso a sogni e a visioni a cui hanno creduto e che per questo hanno interpretato: la psicoanalisi sa che i sogni sono veri e sa che appartengono ad una dimensione “altra” e per questo bisogna comprenderli, bisogna credere che vogliono comunicare con noi e vogliono che noi accediamo ad un lato di noi, quello che sta cercando “contatto”. Nel sogno vengono sempre rivelate grandi verità e questo perché nel sogno siamo completamente aperti e ricettivi: la coscienza va per un po’ in disarmo e quindi lascia passare anche ciò che a lei darebbe fastidio.
Il sogno è stato sicuramente la prima dimensione dell’uomo antico; egli aveva un pensiero mitico ed usava il sogno per cercare di comprendere e di leggere l’universo che gli stava attorno. Quando sogniamo, siamo in assenza di pensiero ed è questa la grande meraviglia. E’ un’altra parte della psiche che è in funzione, non la mente.
E’ importante dunque che non ci dimentichiamo anche di un ultimo assunto psicologico: “niente accade per caso”: la psicoanalisi ha messo in luce che dietro ad ogni comportamento umano c’è sempre un senso e, anche se non lo vediamo, esso c’è; quindi è importante non accontentarsi di pensare al caso, alla casualità, ma bisogna sempre cercare cosa si muove al di sotto”. Così, anche per quanto riguarda la trascendenza, essa c’è… è qui, adesso, e sembra occupare uno spazio vuoto; senza la dimensione trascendente, senza quel vuoto, che sembra inutile ed inesistente, noi saremmo fissi, imprigionati, soli e terribilmente tristi.
Certo, non cercare la dimensione trascendente, non credere che esista qualcosa al di là del visibile, non pensare che i sogni siano veri e che ci vogliano dire qualcosa significa dimenticare la funzione stessa della vita che è quella di crescere. Se non crediamo alla dimensione trascendente la realtà ci imprigionerà nella piccolissima porzione della mente e noi vivremo una vita limitata, senza senso, senza speranza, senza amore e senza relazione con l’Universale.
Santa Maria Nuova (Jesi) 12 aprile 2005
Inizia il giorno con amore,
trascorri il giorno con amore
e concludi il giorno con amore:
questa è la via verso Dio.
Questa sera andremo ad esplorare un argomento abbastanza speciale; non è molto comune trattare l’argomento psicologico in relazione alla spiritualità o, se vogliamo usare una parola che a me personalmente piace ancora di più, alla trascendenza.
Lo scopo di questa discussione non è certo di convincervi, ma quello di potervi offrire un piccolo spunto di riflessione; infatti non uscirete di qui sicuri che esista la spiritualità, che esista una dimensione di trascendenza e ancor meno sarete convinti dell’utilità della psicologia, soprattutto se non avete mai preso in considerazione che questa disciplina è importante e utile. Inoltre, a sostegno della vostra totale libertà esiste anche l’assoluta certezza che la scienza non può mettere mano dentro a queste tre cose: comprende poco della psicologia; direi anzi che una delle calamità di questi ultimi anni da parte della psicologia è proprio quella di volerle a tutti i costi dare un assunto scientifico costringendola ad entrare in dimensioni schematizzate e questo per riuscire a farla entrare nelle accademie, trasformando anche le facoltà da “facoltà di psicologia” a “facoltà di scienze psicologiche”, termine indubbiamente più altisonante ma sicuramente molto meno vicino alla verità di quanto la materia vorrebbe sostenere. Se la scienza poco conosce della psicologia, ancor meno conosce della spiritualità, disciplina anche questa poco connotabile e ancor meno inseribile nelle statistiche e nella schematicità; se poi andiamo ad affrontare la trascendenza, possiamo addirittura entrare nella dimensione che la scienza chiama “parapsicologia”, termine un po’ svalutante che sta ad indicare un calderone di cose che sfuggono comunque alla scientificità e alla razionalità.
Fatto questo doveroso preambolo, il mio scopo consiste nel cercare di trovare alcune tracce dello spirituale e della dimensione trascendente nella nostra vita quotidiana… o meglio, nella nostra realtà ordinaria.
Devo fare una piccola premessa che riguarda il termine “coscienza”. Non è infatti possibile riuscire a cogliere il significato di trascendenza se non ci riferiamo prima al concetto di “coscienza”; infatti, la parola trascendenza ha senso solo se la rapportiamo alla coscienza, perché è questa che può trascendere ed autotrascendere.
Per coscienza ovviamente non mi riferisco al concetto morale, ma a quello psicologico: quello che in inglese si traduce con il termine ‘counsciousnes’s che è il nostro sistema di percezione, ma è anche quell’istanza che ci permette di riconoscerci in un continuum (l’Io è la funzione principale della coscienza ed è attraverso di esso che facciamo esperienza e che ci riconosciamo). La coscienza è una sorta di ispettore che investiga sul mondo esterno e su quello interno; non si ferma mai… forse, e dico forse, neppure dopo la morte.
La coscienza ha quattro qualità fondamentali:
- - è unica, assolutamente originale
- - è indivisibile
- - è trascendentale
- - è dinamica
Per dinamica si intende il fatto che non è fissa, ma passa attraverso stati diversi e, mentre da un lato risulta molto difficile definire che cosa è esattamente, è invece più facile vederla in azione nei suoi passaggi da uno stato all’altro: in tutti questi passaggi, la coscienza è in grado di registrare quello che “c’è oltre”. Per questo possiamo parlare di “trascendenza”, proprio partendo dal concetto che abbiamo una coscienza che sta abitualmente in uno stato ordinario e che, di tanto in tanto, è in grado appunto di andare… oltre.
Fatta la debita premessa torniamo al tema della nostra serata utilizzando la metodologia della psicologia umanistica e transpersonale che studia prevalentemente il comportamento umano osservando, tra le altre cose, anche i concetti di spiritualità e trascendenza che toccano entrambi l’uomo.
Cercheremo di comprendere alcune cose attraverso le parole che, in un certo senso, sono magiche. Sono i pensieri che diventano parole che poi producono e diventano “cose”, quindi bisogna stare attenti a come si usano le parole e, rispetto all’argomento che andiamo a trattare stasera, le parole spesso sembrano depistarci, toglierci dallo scopo vero.
Per prima cosa affrontiamo il termine psicologia che nell’idea comune delle persone viene tradotto come “mente”; niente di più falso, la psicologia non è lo studio della mente, ma è qualcosa di completamente diverso.
Il primo significato di psicologia che deriva dal greco “psiche” è soffio, respiro e, in effetti si parlava effettivamente di inspirazione ed espirazione, ci si riferiva al soffio, presente in tutte le mitologie, come a qualcosa che ha dato vita, che ha “animato qualcosa che prima era inanimato”; dal respiro allo spirito, il passo è stato semplicissimo, anzi, direi che è stato straordinario: psicologia vuol dire “studio del soffio, dello spirito e… dell’anima”.
Anche la radice semantica della parola spirito deriva da “pur-puros” che in greco vuol dire fuoco, dinamismo, vitalità, ardore.
Esattamente questo: la psicologia è lo studio dell’anima, quindi, la parola in sé già da sola indica trascendenza perché l’anima non è sicuramente qualcosa di tangibile, neppure la neurofisiologia sa collocarla: Eccles termina l’ultima parte del suo meraviglioso testo di neurofisiologia del cervello dicendo che “è impossibile oggi non riconoscere che esiste un’anima, ma è altrettanto impossibile collocarla in qualche sezione del corpo o del cervello umano”.
Per farvi comprendere bene questo significato vi parlerò un attimo della bellissima favola di Apuleio – Amore e Psiche. Alcuni di voi magari la conoscono, ma molti non la ricorderanno, per questo la racconto: ovviamente è una storia di amore, ma non è un raccontino erotico, letto così non avrebbe infatti alcun fascino… è infatti una grande lezione a livello spirituale.
Psiche è una bellissima ragazza molto giovane e ancora nulla sa della vita; Amore, figlio di Afrodite, si innamora di lei e la rapisce portandola nel suo bellissimo castello. Lì vivono il loro amore in maniera intensa e profonda.
Psiche, ovviamente, come tutte le persone al mondo ha una madre e anche delle sorelle.
Amore e Psiche si possono incontrare solo di notte; l’unica condizione che Amore pone è quella di “non essere visto”; in pratica le dice: “io verrò ogni notte, ma in incognito e tu non puoi vedermi, non ti mostrerò il mio volto, ma sarò per te l’amore vero”.
Psiche è felice, al settimo cielo… però, come tutte le ragazze di questa terra non vede l’ora di comunicare il suo stato d’animo alla madre e alle sorelle a cui racconta di questi suoi incontri e di questo ragazzo; ovviamente la madre e le sorelle cominciano a farle un interrogatorio e, alla fine, le mettono un sacco di dubbi, cominciano a dirle “ma se non si fa vedere sarà un mostro, come fai a non sapere chi è, devi assolutamente sapere chi è”.
Così, Psiche, una sera mentre lui dorme decide di sapere, di conoscere. Prende una fiaccola e cerca di vedere il viso di Amore. La leggenda vuole che lei resti così sconcertata dalla bellezza del suo Amore che, impietrita e paralizzata lascia che la cera calda cada sul viso di Amore che, ovviamente si sveglia e scompare.
Psiche allora sa che lo ha perduto e da lì iniziano tantissime sue peripezie per ritrovarlo e ritornare con lui… in ogni caso, non è questo che ci interessa, ma la prima parte di questa favola è in linea con ciò che voglio esprimere. Sembrerebbe che non possiamo pretendere di guardare l’Amore con gli occhi normali, quelli dell’ordinarietà; l’amore è un mistero perché è qualcosa che incontra o perlomeno, si avvicina molto al Divino; se vogliamo etichettare questa dimensione, la rendiamo banale e, quindi, tutto quello che è straordinario se viene portato nell’ordinario… scompare”.
Se vogliamo dare una connotazione scientifica o se vogliamo comprendere con la mente razionale qualcosa che razionale non è… è meglio che lasciamo perdere, perché altrimenti tutto diventa banale ed inutile; come se volessimo comprendere un mito con la forza della ragione, ci sembrerebbe una favola per bambini.
La favola di Apuleio sembra dirci che l’Amore è qualcosa da sperimentare e da fruire; l’amore si deve “sentire”, non possiamo teorizzarlo; nel momento in cui lo descriviamo, lo rimpiccioliamo, lo banalizziamo e questo perché l’amore non appartiene alla condizione dell’umano ma appartiene al divino e al mondo del trascendente: esso è uno strumento che il divino ha messo a disposizione dell’uomo perché egli si possa elevare… possa condividere qualcosa di immenso, vivendolo e sperimentandolo.
Una seconda parola interessante per il nostro discorso sulla spiritualità e trascendenza è “religione”. Anche questa è una parola straordinaria che viene quasi sempre compresa in modo diverso dal suo significato originario.
Religione non vuol dire “unione con Dio” come spesso si sente dire; vuole invece dire “ri-unire , ri-collegare”: questa è la traduzione della parola “re-ligere”; e in parole semplici ci riporta al concetto che un tempo eravamo “UNO”, tutto era unito, Dio, gli uomini, gli animali, le piante, tutte le creature facevano parte di un TUTTO. Poi è accaduto qualcosa: si è rotta questa unità, si è sentito il bisogno di conoscere, di capire ogni singola individualità e, a seguito di questo, ci si è separati dall’unità: si è sviluppata la coscienza individuale, quella che usiamo ogni giorno, però si è avvertito anche il senso tremendo di frammentazione, di separazione, non siamo più Uno, siamo tanti, frammentati e spesso ci sperimentiamo piccoli e soli.
Il concetto di religione è legato al ritornare all’unità e questo è un concetto altamente psicologico in quanto la psicologia ci parla di un UNO che diventa DUE e che, nel tempo dovrà ridiventare UNO; la coscienza infatti si frammenta, si passa dall’unità alla divisione Conscio e Inconscio che produce il senso di polarizzazione, il bianco e il nero, il sotto e il sopra, il me e il non me, il Sé e l’IO; ma un giorno, proprio per via della “trascendenza”, l’Io tornerà a unirsi al Sé e in quel momento ritornerà all’Uno, al Tutto, alla spiritualità.
Noi però siamo anche divisi all’interno, non solo all’esterno: anche dentro noi siamo tanti. Io sono un po’ madre, un po’ moglie, un po’ insegnante, un po’ astrologa, un po’ amica… insomma ho tantissime parti… anche in questo mondo interiore dovrò tornare all’unità. Quindi, la parola “religione” non ha affatto il significato che tantissimi credono, anche sacerdoti e uomini di chiesa a volte travisano questo concetto e così sembra essere diventata una parola di scarso significato, a volte addirittura con un significato negativo.
Tra le mie tante anime ho anche quella dell’astrologa e questa materia fantastica, splendida che dà modo di comprendere in maniera affascinante e abbastanza semplice i grandi misteri dell’uomo e dell’universo, ci ricorda che il concetto religioso per l’individuo si trova in casa nona, simbolicamente legata al segno del Sagittario che, come tutti sapete è rappresentato da un essere metà uomo e metà cavallo che lancia in aria delle frecce. Ebbene, questa immagine è ovviamente un simbolo che rappresenta qualcosa che nella realtà non c’è ma che è in grado di evocare: il Sagittario è il segno in cui umano e divino si cercano (è un segno che fa da ponte) perché hanno nuovamente bisogno di incontrarsi e l’uomo sente questa tensione grandissima verso l’alto, anche se, la sua parte cavallo – indicante la parte sensuale e istintiva della materia incarnata – è la parte che sembra trattenerlo e radicarlo; in realtà da questo momento in poi l’uomo può elevarsi, può andare al di là e trascendere la dimensione materiale e fisica per ri-unirsi a qualcosa che considerava interrotto e perduto. Il segno del Sagittario rappresenta simbolicamente la possibilità che ogni individuo ha di ricollegarsi a qualcosa di superiore e di Assoluto.
Quindi “religere” significa che ognuno di noi ad un certo punto deve ricollegarsi con l’Universo, deve ridiventare conscio di un senso di appartenenza superiore, più grande, non limitato al mondo terreno. Quando avremo capito e realizzato questo diventerà facile comprendere l’assurdità che una mano uccida l’altra, che un occhio accechi l’altro, perché se c’è unità, accusare, picchiare, uccidere, è sempre un… uccidere sé stessi.
La religione è dunque una delle forme più alte di psicologia: non possiamo confonderla con il potere della Chiesa che in molte occasioni ha usato la religione per altri fini e non per quello a cui sarebbe stata vocata.
La religione riguarda un nucleo profondo che sta all’interno di ognuno di noi: Jung diceva che tutti gli uomini sono mossi dal senso di religiosità; l’uomo vuole migliorare, vuole capire, vuole tornare alle antiche capacità: significa che l’uomo sa di essere stato Uno, di essere appartenuto a qualcosa, sa di averlo perduto e ricerca costantemente il suo senso di appartenenza e di unità. La religione è un senso di psicologia molto più profondo di altri che ad un certo punto si fermano proprio perché parlano del corpo, della psiche, dei pensieri, delle intuizioni, delle emozioni e degli impulsi; tutte cose fantastiche che però originano tutte dall’anima, ma non sono l’anima.
La religione nel suo senso più elevato e più nobile è la forma più completa di psicoterapia e di psicologia, perché vuole farti ritornare all’UNO. Il concetto stesso di INDIVIDUO tipico di Jung, ha a che fare con Indiviso, non diviso, quindi ri-unito.
Però siamo noi che torniamo ad essere ri-uniti, in-divisi ed è questo che c’è di straordinario in questa parola. E’ simile alla parola YOGA che anche essa vuole dire Unione.
Ora, arriverei all’altra parola per me molto affascinante: “trascendenza”.
Trascendenza indica qualcosa che va oltre: oltre i sensi, oltre la realtà, oltre la mente e oltre i pensieri. La psicologia sostiene che il termine trascendenza è molto adatto a definire esperienze che travalicano i nostri abituali livelli di attività funzionale e, pertanto, a noi sembrano un po’ misteriosi.
L’astrologia colloca la trascendenza in casa dodicesima e la affida al pianeta Nettuno. Spesso, questi due simboli vengono visti come “perdita di sé, illusione, alterazione di coscienza” e, in pratica, fino ad alcuni anni fa, le connotazioni erano praticamente solo negative; questo conferma che tutto ciò che la coscienza non riesce a prendere in considerazione viene considerato “misterioso, oscuro, non connotabile, quindi, a-normale o para-normale”.
Però la religione, la filosofia, la psicologia, l’astrologia e la teologia non fanno altro che ricordarci che esiste una dimensione trascendente ovvero c’è un mondo molto più ampio di quello che vediamo e percepiamo: quello è solo la punta di un grandissimo iceberg.
La vita spirituale o religiosa, consiste dunque semplicemente nel credere che esista un ordine non visibile e che il nostro bene supremo sia semplicemente entrare in armonia con esso, adattandosi ad esso. Questo modo di intendere le cose ci ricorda che quello che noi vediamo del mondo, il mondo tangibile, materiale e sensoriale è una parte piccolissima, forse infinitesimale, della totalità.
In che modo però noi possiamo accedere a questo mondo? Ad esempio attraverso un’altra parola che sembra strana: il “miracolo”; ma cos’è il miracolo? Chi non ha mai preso in considerazione le parole re-ligione, trascendenza e spiritualità non sa neppure prendere in considerazione la parola miracolo, tuttavia, ora che conosciamo il vero significato, sappiamo anche che è difficile non essere “re-ligiosi”, giacche questo non significa affatto essere cattolici, protestanti o mussulmani… ma rientrare in relazione con l’universo e la totalità; allora forse possiamo comprendere che la parola “miracolo” non è nient’altro che la possibilità di riuscire a contattare una dimensione che prima non contattavamo.
C’è stato un grande mistico, Sant’Agostino, che sosteneva che il miracolo non va contro natura ma contro la natura conosciuta: “non contra-naturam bensì contra notam naturam” ; in pratica il miracolo serve a farci toccare con mano il fatto che esista un’altra dimensione. E’ come se ci dicesse “guarda che tu conosci solo alcune cose, alcune dimensioni, ve ne sono altre che prima o poi dovrai prendere in considerazione, sono leggi più profonde e… forse molto più vere… ma sono al di fuori e al di sopra della realtà quotidiana”.
Tutto ciò non è solo un fatto spirituale, perché la capacità di percepire altre dimensioni appartiene in un certo senso anche alla scienza, seppure non a tutti gli scienziati: se noi guardiamo un tavolo, a noi sembra qualcosa di duro, di rigido, di fisso e di solido; però se lo guardiamo con un microscopio a scansione elettronica ci accorgiamo che non è per niente fisso, per niente stabile e neppure solido; è infatti composto di milioni di molecole… atomi, neutroni, protoni, fino ad arrivare a particelle invisibili, tantissime, miliardi di miliardi, in continuo movimento che si muovono in spazi apparentemente vuoti ma in realtà pieni di informazioni – come ci sta dicendo oggi la fisica quantistica. Però noi “nella realtà” vediamo qualcosa di solido, di duro e di fermo anche se non è affatto così.
Quando riusciamo a comprendere anche solo lontanamente che esistono altre dimensioni, allora possiamo cominciare a ragionare sul termine “trascendente”; sappiamo a quel punto che siamo immersi in questa dimensione, ma sappiamo anche che le cose non sono più esattamente come le abbiamo immaginate prima. Ebbene, questo sembra essere un miracolo; a volte il miracolo o meglio la possibilità di cogliere la dimensione trascendente arriva in modo diverso: se un mattino ci svegliamo e ci dicono che siamo molto malati la prima cosa che ci viene in mente è che c’è bisogno di ridare priorità diverse e che tutto ciò che fino al giorno prima ci sembrava straordinario sembra perdere clamorosamente di importanza… Le persone sembrano dire: “che me ne frega del mondo se tra due mesi devo morire?”, è come se in quel momento andassero a cercare nella mente la parola “re-ligere”, per cercare un collegamento con un’altra dimensione, quella invisibile, quella trascendente, quella che appartiene al mondo spirituale.
Certo, questa è la reazione quando qualcuno sa di avere un male incurabile; anche qui, però, la passione per la psicosomatica mi porta a dirvi che il medico non dovrebbe mai affermare che “la malattia è incurabile”, ma più correttamente che “lui non è in grado di curarla”; perché forse è incurabile solo per un certo tipo di dimensione, e se magari si va da un’altra parte o si cerca da un’altra parte… potrebbe non essere esattamente così.
Quanti malati cercano in un’altra dimensione? Ebbene quella è la dimensione trascendente, quella che ti può anche rivelare che c’è un mondo che sembra oscuro, misterioso ma che, in realtà, non è affatto oscuro, anzi, forse può essere molto più splendente e luminoso, però lo consideriamo oscuro solo perché non lo vediamo.
Sappiamo anche che tutte le forme e discipline spirituali parlano della stessa cosa: i mistici sufi, quelli cristiani, indiani o buddisti e chiunque abbia una sua forma di contatto con lo spirituale sa che esistono queste leggi; tutti i mistici dicono che a un certo punto ci si accorge che ci sono leggi molto più vere e molto più profonde di quelle vigenti sulla superficie. Se traduciamo questo vuol dire che il nostro mondo è fasullo, o meglio che noi non riusciamo a cogliere la realtà vera, cogliamo solo un pezzettino di realtà, ma il punto è che abbiamo la presunzione di pensare che questa sia l’unica.
Gli induisti direbbero che questo mondo, quello della realtà immanente, è Maya = illusione. In effetti è illusione ma non nel senso che non esiste il mondo, ma nel senso che è sbagliata la concezione che noi ne abbiamo, o meglio è estremamente limitata: il mondo a noi viene descritto, e noi finiamo per percepirlo così e per pensare che sia veramente così e descriverlo nello stesso modo, però quando riusciamo a percepire anche l’altra parte del mondo allora sì che accade il… miracolo.
Il miracolo, dunque, sta nel non credere che il mondo sia solo quello che sembra e cercare di comprendere cosa c’è oltre.
A questo proposito vi voglio raccontare la storiella del Mullah Nasser Yeddin che stava cercando qualcosa davanti alla porta di casa sua. Passa un suo amico e gli dice “cosa cerchi?” e lui risponde “cerco la chiave ma non la vedo, è un’ora che sono qui”; allora anche l’amico si mette a cercare e… passa un bel po’ di tempo. Alla fine, dato che non riescono a trovare la chiave, l’amico gli dice: “ma sei sicuro di averla persa qui?”; “no – dice il Mullah – l’ho persa da un’altra parte”, e l’amico attonito lo guarda e dice: “ma allora perché la cerchi qui?”; “perché qui c’è la luce e ci vedo”.
Secondo me è bellissima e paradossale, tuttavia questo è ciò che facciamo tutti i giorni: cerchiamo la nostra chiave dove c’è luce perché non pensiamo di poter trovare qualcosa nel buio; se invece sviluppassimo un po’ di pazienza ci accorgeremmo che è possibile vedere anche nell’oscurità, e che anzi, nel tempo, si può arrivare a vedere molto più chiaro. Anche la psicologia racchiude questo: noi spesso guardiamo solo nella nostra coscienza e non riusciamo a percepire che c’è un’altra dimensione che ci appartiene, che però ci sembra buia, e allora lì non guardiamo perché abbiamo timore; se però ci avventuriamo in quell’apparente oscurità, ci accorgiamo che vediamo chiaro, molto più chiaro e molto meglio di prima.
Questo è un vecchio concetto non solo della psicologia, ma anche di tutte le re-ligioni.
Ora vorrei andare a definire un’altra parola molto interessante. E’ un concetto di Jung e di Pauli: la parola è “sincronicità”.
Noi occidentali siamo molto più propensi a credere alla legge di causa-effetto; sincronicità deriva da sin-cronos, ed è una legge che si affianca a quella di causa-effetto e che spiega tutta una serie di collegamenti e legami molto significativi che ci sono tra eventi apparentemente diversi tra loro e non collegabili in modo diretto e causale.
A volte sembrano eventi banali: ad esempio oggi è il giorno 12, avete preso l’autobus n. 12 e magari alle ore 12 vi ha telefonato un amico che non vedevate da 12 anni… Jung lo spiega molto bene quando scrive della paziente che le sta raccontando il sogno dello scarabeo, un animale simbolo dell’antico Egitto e, ad un certo punto, sulla finestra del suo studio appare uno scarabeo nostrano che sembra voler entrare: in quel preciso momento la paziente lo vede e comincia a raccontare, come se quell’evento avesse liberato qualcosa che prima era bloccato.
Quello è un evento sincronico, come lo è quello in cui voi state pensando ad una persona e quella vi telefona. Non potete pensare che sia “un caso”, solo chi non vuole andare un po’ più in là penserebbe che dopo due, tre, mille volte che accadono queste strane “coincidenze” sia sempre il caso; e solo perché la scienza non è ancora in grado di spiegare un fatto perché non ha gli strumenti corretti, non significa che non esista (tra l’altro Pauli, la persona che ha formulato questa teoria con Jung era un fisico). Certo, la scienza si basa su fatti concreti, ed è meraviglioso questo, però è incompleto o meglio, la scienza dovrebbe dire sempre che “la verità di oggi è l’errore di domani”, esattamente quello che ci insegna Popper.
Le verità sono dunque elementi che possono essere discussi e anche contraddetti.
La sincronicità in ogni caso ci dice che sotto la dimensione materiale e reale di ogni giorno, dove troviamo cose chiare e visibili, c’è anche qualcos’altro, qualche filo più sottile, invisibile, che però… collega le cose tra loro. Anche questo è un qualcosa su cui dobbiamo pensare e ragionare: oggi la fisica quantistica ci dice che le cose non appaiono in modo consequenziale ma appaiono tutte insieme o meglio “sono sempre presenti”. Siamo noi che per farle entrare dentro la mente razionale abbiamo bisogno di codificarle e decodificarle una dopo l’altra e quindi dobbiamo metterle in fila, dando loro un concetto cronologico di prima-durante-dopo, passato-presente-futuro; sono però categorie mentali che derivano dal fatto che abbiamo bisogno di vedere tutto in questo modo e, pertanto definiamo in questo modo anche la realtà, ma le cose non sono esattamente così.
Noi vediamo in modo dislocato, diviso e separato, ma tutto… è sempre eternamente presente in ogni istante nella realtà assoluta, solo in quella relativa ci sembra spezzettato.
La realtà assoluta è pluridimensionale, siamo noi che vediamo solo alcune delle sue dimensioni. Se avessimo occhi molto più allargati, più capaci di vedere e orecchie per sentire meglio, ci accorgeremmo della presenza di molte altre dimensioni. Vi ricordate quello che dice Don Juan a Castaneda: “voi guardate ma non vedete; ascoltate ma non sentite”… esattamente di questo si tratta.
Il tempo non esiste; la spiritualità non è una questione temporale: dobbiamo distinguere il kairos dal kronos ; noi siamo immersi nel kairos, mentre invece lo trattiamo da kronos.
Se comprendiamo bene questi concetti possiamo allora addentrarci un po’ di più nella comprensione.
Noi conosciamo bene la tripartizione dell’uomo in corpo, mente e anima. Siamo fatti di tre livelli strettamente connessi tra loro:
- - Il corpo è la dimensione fisica, la parte materiale che può essere vista in maniera chimica; infatti si può analizzare e ci si trovano un sacco di cose: cellule, nervi, ossa, ecc.
- - Poi c’è la mente, quella con cui ragioniamo, che ci permette di formulare pensieri, discorsi, processi; ha anche una parte affettiva, che sceglie e determina i nostri comportamenti.
- - Infine abbiamo il terzo livello, l’anima, la trascendenza pura, il nucleo di noi che è spirito; la mente è l’ostacolo che impedisce di accedere a questa dimensione. La mente “mente”; sembra un gioco di parole ma in realtà, la mente mette un blocco e un veto a tutto quello che non riesce a prendere in considerazione. Per comprendere le cose dell’anima la mente non serve, servono invece il “sentire” e il “concepire” qualcosa che va ben al di là della mente.
La parola anima coincide abbastanza con spirito ed è molto diversa dalla parola mente. Nella mente ci sono i pensieri, è il nostro computer, quello che tiene in memoria i files; l’anima è una dimensione molto più profonda, è quella che si lega all’ESSERE e non al fare e al pensare; è quella che dà senso alle cose, alla vita e all’esistere; è quella parte che ci ANIMA, altrimenti non avremmo vita. Possiamo anche vederla sotto forma di consapevolezza, ma essere consapevoli non vuol dire pensare, vuol dire “essere totalmente presenti qui e ora”, nel preciso istante in cui si sta vivendo: questa sembrerebbe essere l’attività più straordinaria e fantastica dell’anima.
La psicologia transpersonale prende in considerazione l’anima; avete presente Hillmann quando sostiene che “c’è un testimone nascosto…” ebbene, si riferisce proprio all’anima. L’anima è quella parte di noi che vede anche quando abbiamo gli occhi chiusi; io direi che è il “timoniere nascosto” che guida la nostra barca anche quando non sappiamo dove stiamo andando.
Certo, se volete sapere dove abita l’anima… questo non è facile da definire, ma in ogni caso, per cominciare a cercarla bisogna per prima cosa essere consapevoli, cercare di vivere ogni momento. Per percepire l’anima bisogna essere straordinariamente presenti; però, noi spesso siamo imprigionati dalla mente e non riusciamo ad essere consapevoli e a sentire; siamo troppo abituati a “pensare”, non facciamo altro che macinare pensieri, organizzare le cose con la testa. Un mio maestro diceva che per accedere all’anima bisogna riuscire anche per pochi momenti a “far tacere il rumore della mente”.
Allora, quando ascoltate i grandi Maestri spirituali che parlano di “risveglio”; quando noi astrologi parliamo di URANO e lo definiamo “il grande risveglio”, stiamo esattamente dicendo che siamo tutti più o meno addormentati o, come dice Erickson, “siamo tutti ipnotizzati ed in trance”, e sarebbe invece il caso di destarci!
Ridestarci, risvegliarci, significa uscire dalla prigionia della mente razionale: significa tornare a sintonizzarci sulla consapevolezza… non solo immaginare, non pensare ma ESSERE.
Arriviamo quindi ad un’altra parola molto conosciuta, almeno tra i cristiani, ma non compresa: la parola è DIAVOLO, che ha come significato “ostacolo, separazione”; l’ostacolo è il nostro pensiero ed è lui che separa la mente dall’anima. L’immagine di Lucifero o di Satana che vuole essere come Dio forse si riferisce proprio alla mente: attraverso di essa noi ci illudiamo, abbiamo la presunzione di essere come Lui o di superarLo; in realtà quello è proprio l’ostacolo più grande affinché noi arriviamo a capire e a conoscere, a diventare consapevoli. Il fatto che qualcuno abbia detto “beati i puri di cuore”, forse non ha nulla a che fare con i poveri, come è stato sempre tradotto, ma con quelli che ancora sono rimasti in contatto con il loro cuore, che lo ascoltano e “si ascoltano”, mentre la maggior parte delle persone ascolta solo la mente.
Vi siete mai chiesti perché tutte le discipline spirituali prevedano le “preghiere”, i “mantra”, o come vogliate chiamarli? Perché la preghiera permette il superamento della mente: ad esempio Osho in un suo bellissimo libro dice che la “pratica” è la forma che ci permette pian piano di superare l’ostacolo della mente. Lui sosteneva che la preghiera ci fa comprendere quanto disturba la mente, perché pregando o meditando noi andiamo oltre la mente… e, allora, comprendiamo.
Ora parlerò di una grande attività dell’Anima: l’AMORE che viene insieme alla consapevolezza e alla meditazione.
Innanzitutto, l’anima è qualcosa che sta in relazione con il Tutto: la relazione è vita, non c’è vita senza relazione e l’ingrediente della relazione è l’amore. Senza l’amore non si sopravvive: lo scrivono tantissimi autori e la psicologia lo urla a gran voce da sempre.
Senza l’amore e senza la relazione con qualcuno di importante non esiste neppure la possibilità di sopravvivere per un bambino. Possiamo dire senza temere di essere smentiti che l’essenza stessa della vita e dell’anima è l’Amore; diceva Herman Hesse: “senza l’amore non si può vivere e neppure morire”, intendendo con questo che si è già morti ancor prima di vivere.
Tornando al tema portante “psicologia, spiritualità e trascendenza” voglio ribadire l’importanza delle parole che non possono essere prese alla lettera in nessuno dei casi, proprio perché quando parliamo di psicologia, di spiritualità e di trascendenza, le parole sono fondamentali ma non possono essere tradotte appoggiandosi al significato letterale, bisogna andare al di là del linguaggio della ragione e della mente; infatti queste discipline si riferiscono al linguaggio poetico, simbolico e analogico, quel linguaggio che ha bisogno di essere interpretato per essere compreso. Il linguaggio della spiritualità è metaforico e dunque funziona come il sogno, altra nostra enorme potenzialità impossibile da comprendere e tradurre con la mente razionale. Tutto ciò che appartiene a questa dimensione, tradotto con la parte della mente diventa banale e senza senso.
Per concludere, vorrei solo sottolineare che tutti i popoli hanno avuto un rapporto con il Divino, non importa sotto quale forma lo hanno visto e compreso; quello che la psicologia guarda all’interno della spiritualità non ha nulla a che fare con i contenuti della fede o della religione professata, ma riguarda il rapporto dell’uomo con il “credere” .
Jung sosteneva che l’uomo ha da sempre cercato un contatto e per averlo si è creato degli Dei.
E’ questo che interessa, non certo se Dio esiste o non esiste. Ed è in questo credere che accadono molte cose: è attraverso questo credere che la gente si “converte”, e nel termine probabilmente è insito più un cambiamento di rotta che un cambiamento di fede; un bisogno insito nell’uomo di elevazione e trasformazione che non può avvenire in assenza di fede e della speranza che ci sia qualcosa che va oltre il visibile. Non importa su cosa viene riposta, ma ci deve essere: astrologicamente parlando, senza la casa nona che è quella della vocazione, della chiamata a credere e ad affidarsi a qualcosa di superiore, noi non avremmo alcuna possibilità di rinascita e di elevazione. Quindi, in ogni vita, ad un certo punto appare la “fede” in qualcosa: l’uomo ha bisogno di credere per vivere e questo lo spinge a cercare di comprendere il rapporto che ha con l’universale.
La conversione avviene generalmente dopo una grande crisi in cui, dopo aver tanto cercato e non capito, la mente si arrende, molla la presa e… lì può accadere il miracolo. Il miracolo consiste nel fatto che ci si è aperti a “qualcos’altro” e questo permette di vedere qualcosa che prima non si vedeva ed allora avviene la “conversione” che di suo vuol dire appunto “cambiamento di rotta”; ed è questo che a un certo punto si deve fare: cambiare rotta, altrimenti ci areniamo e ci perdiamo.
Credere ha a che fare con la fiducia, con l’abbandono e con l’affidamento, e tutte queste parole hanno a che fare con i pianeti GIOVE e NETTUNO che guarda caso sono i due signori della casa nona (fede, speranza e percezione dell’Universale) e della casa dodicesima (affidamento e ritorno alla Totalità), al di là delle grandi illusioni della mente e della realtà (case terza e sesta).
Se non crediamo e non sviluppiamo fiducia in qualcosa di superiore siamo sempre contratti, non riusciamo a rilassarci, ci sentiamo inutili e frammentati: ad un certo punto ci accorgiamo che non possiamo fare altrimenti; dobbiamo fidarci, perché allora – e solo allora – riusciamo a vivere; ed è quando ci rilassiamo e ci lasciamo finalmente andare che ci “convertiamo”, perché a quel punto ci accorgiamo della nostra essenza e ci mettiamo anche in sintonia con l’amore che, a detta dei grandi maestri, è l’unica vera legge universale.
Un’altra parola interessante è “misticismo”; chi è il mistico? Siamo tutti mistici perché tutti possediamo un lato di noi che è automaticamente portato verso una sorta di conoscenza superiore. Tutti noi abbiamo Nettuno nel nostro tema natale e tutti abbiamo nostalgia di un’unità che abbiamo sperimentato e perduto. Nettuno è quella parte di noi che cerca tutta la vita di “ri-unirsi” a qualcosa di più; questa parte di noi ci dà prova di una coscienza superiore in azione, qualcosa che prima ci fa passare attraverso una sorta di illuminazione per poi permetterci di accedere alla “visione mistica” della vita.
Il mistico che noi riconosciamo è quello che riesce a stare perennemente in questo stato di coscienza; noi, invece, cogliamo questo frutto solo saltuariamente, per il resto stiamo nella coscienza ordinaria.
Ultimo punto è la “santità”: è da poco mancato Papa Woityla che ha fatto una innumerevole quantità di santi, forse anche lui è un santo. Ma chi è il santo? E’ una persona normale, comune, è uno però che ha il cuore perennemente aperto e che quindi “sente” ciò che accade attorno a lui ed è pronto ad entrare in azione. Il santo è uno che interpreta l’amore, lo mette in pratica nella vita di tutti i giorni e, attraverso la sua energia, la trasforma. L’amore ha il potere di far diventare bella qualsiasi cosa e soprattutto la vita, anche quando agli occhi delle persone normali non sembra così.
Le persone che hanno fatto veramente qualcosa per l’Umanità sono i santi, sono quelli che hanno capito più degli altri, che hanno avuto la forza di cercare e di… trovare. I santi sono quelli che hanno creduto, che hanno avuto accesso a sogni e a visioni a cui hanno creduto e che per questo hanno interpretato: la psicoanalisi sa che i sogni sono veri e sa che appartengono ad una dimensione “altra” e per questo bisogna comprenderli, bisogna credere che vogliono comunicare con noi e vogliono che noi accediamo ad un lato di noi, quello che sta cercando “contatto”. Nel sogno vengono sempre rivelate grandi verità e questo perché nel sogno siamo completamente aperti e ricettivi: la coscienza va per un po’ in disarmo e quindi lascia passare anche ciò che a lei darebbe fastidio.
Il sogno è stato sicuramente la prima dimensione dell’uomo antico; egli aveva un pensiero mitico ed usava il sogno per cercare di comprendere e di leggere l’universo che gli stava attorno. Quando sogniamo, siamo in assenza di pensiero ed è questa la grande meraviglia. E’ un’altra parte della psiche che è in funzione, non la mente.
E’ importante dunque che non ci dimentichiamo anche di un ultimo assunto psicologico: “niente accade per caso”: la psicoanalisi ha messo in luce che dietro ad ogni comportamento umano c’è sempre un senso e, anche se non lo vediamo, esso c’è; quindi è importante non accontentarsi di pensare al caso, alla casualità, ma bisogna sempre cercare cosa si muove al di sotto”. Così, anche per quanto riguarda la trascendenza, essa c’è… è qui, adesso, e sembra occupare uno spazio vuoto; senza la dimensione trascendente, senza quel vuoto, che sembra inutile ed inesistente, noi saremmo fissi, imprigionati, soli e terribilmente tristi.
Certo, non cercare la dimensione trascendente, non credere che esista qualcosa al di là del visibile, non pensare che i sogni siano veri e che ci vogliano dire qualcosa significa dimenticare la funzione stessa della vita che è quella di crescere. Se non crediamo alla dimensione trascendente la realtà ci imprigionerà nella piccolissima porzione della mente e noi vivremo una vita limitata, senza senso, senza speranza, senza amore e senza relazione con l’Universale.
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