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Chiara Inesia


mercoledì 30 aprile 2008

MANIFESTO TEORICO DELLA ZOOANTROPOLOGIA

di Roberto Marchesini


Premessa


La zooantropologia nasce come specifica disciplina di analisi:
a) del rapporto di dialogo con il non-umano (interazione relazionale tra uomo e animale),
b) dei contributi referenziali (beneficialità dell’incontro-confronto) che tale rapporto produce.

Già da questa definizione è evidente che la zooantropologia non è semplicemente lo studio del rapporto uomo-animale perché ammette due evidenze di novità:
1) che tra umano e non-umano ci possa essere un rapporto dialogico ossia uno scambio di contenuti con reciprocazioni e affiliazioni;
2) che il non-umano possa ricoprire un ruolo referenziale per l’uomo.

La zooantropologia parte da presupposti teorici assolutamente innovativi rispetto al panorama precedente e di conseguenza sviluppa a) un campo applicativo (ambiti di attività) e b) una metodologia di lavoro (metodo) non sovrapponibili alle tradizionali aree di lavoro e agli approcci non relazionali-referenziali, per esempio della zootecnia. La zooantropologia non è pertanto semplicemente un’area tematica o un focus di ricerca interdisciplinare, ma un nuovo modo di concepire:
1) l’incontro tra l’essere umano e l’animale non-umano,
2) l’ordine di contributi che l’uomo può ricevere nella partnership con l’animale.

Rispetto al punto 1 la zooantropologia ammette “un incontro relazionale” nel senso pieno del termine ossia di interscambio di contenuti e di ruoli, riguardo al punto 2 introduce “un contributo referenziale” accanto a quello zootecnico di tipo performativo. L’approccio zooantropologico si discosta da alcuni paradigmi tradizionali di lettura del non-umano nel rapporto con l’uomo quali:
a) la trasformazione dell’animale in cosa (non reificazione),
b) la riduzione della diversità del non-umano (non antropomorfizzazione),
c) la negligenza verso la pluralità degli eterospecifici (non categorizzazione),
d) l’utilizzo dell’animale come mezzo (non strumentalizzazione).

In zooantropologia parliamo di:
1) animale “alterità” ovvero riconosciuto nei predicati di soggettività, diversità, peculiarità;
2) animale “partner” ossia coinvolto nel processo relazionale e non utilizzato come produttore di performance.

Gli aspetti più importanti introdotti dalla zooantropologia sono i seguenti:
1) il principio di relazione ovvero l’ammissione, accanto alla semplice reattività-proiezione verso lo stimolo animale, di eventi dialogici e intersoggettivi tra l’uomo e il partner animale;
2) il principio di referenza, vale a dire il riconoscere, oltre ai tradizionali apporti performativi o zootecnici richiesti all’animale, un altro genere di contributi che scaturiscono dal dialogo con l’animale o dal fare riferimento all’animale;
3) il principio di dimensionalità della relazione ossia il ritenere la struttura di relazione non un’entità generica e uniforme ma un’entità configurabile e quindi capace di presentarsi all’interno di un range di possibilità con altrettanti esiti referenziali;
4) il principio di specificità, vale a dire l’ammissione che la relazione con l’animale occupa un posto specifico proprio in virtù della diversità dell’animale che pertanto dev’essere salvaguardata.

La zooantropologia offre i propri strumenti interpretativi per la valutazione delle tendenze generali dell’uomo verso gli eterospecifici – quindi formula teorie sui processi di domesticazione, sugli utilizzi semiotici e simbolici della zoomorfia e si occupa anche delle interazioni non relazionali – tuttavia il fulcro di interesse di ricerca e applicazione di tale disciplina è focalizzato sulle interazioni relazionali e sui contributi referenziali che queste mettono a disposizione.


1) Rapporto umano e non-umano e tipologie di interazione

Nel concetto generico di rapporto uomo-animale si comprendono in realtà diverse tipologie di interazione:
a) quella reattiva, dove l’animale è uno stimolo (avversativo o appetitivo) che induce-suscita una risposta;
b) quella proiettiva, dove l’animale viene letto come icona (segno, simbolo, surrogato) e il suo profilo è in un certo qual modo creato dall’uomo;
c) quella di utilizzo, dove l’animale diviene un prestatore d’opera o uno strumento da sfruttare;
d) quella dialogica, dove l’animale è in grado di dire qualcosa di nuovo all’uomo attraverso l’interscambio (entità referenziale).

Analizzando queste possibilità vediamo che solo il punto “d” prevede una struttura veramente relazionale perché è l’unica a dare la parola all’interlocutore non-umano. Si può dialogare infatti solo a patto di non essere trasformati in cose o strumenti e solo se viene riconosciuto il proprio carattere di specificità e diversità, ossia uno statuto di alterità. La zooantropologia in tal senso distingue due tipi di rapporto uomo-animale:
1) l’interazione non-relazionale (situazioni “a”, “b” e “c”) dove cioè l’animale non è riconosciuto nei suoi predicati di alterità e, a seconda del predicato mancante, può trasformarsi in oggetto, icona o categoria;
2) l’interazione relazionale (situazione “d”) o propriamente “relazione” dove vi è il riconoscimento dello statuto di alterità e si instaura un dialogo, ossia un evento di incontro/confronto o un processo affiliativo.

Per comprendere la zooantropologia occorre perciò rifarsi a una modalità di osservazione del rapporto uomo-animale molto più raffinata, capace di distinguere le diverse situazioni con l’obiettivo di porre in risalto l’importanza e la produttività delle situazioni “d”. Ovviamente questo tipo di interazione non è estensibile ad ogni evento di incontro con i non-umani, ma allo stesso modo trattare le situazioni “d” come gli altri eventi non relazionali non permette di capire cosa realmente accade tra i due partner nelle situazioni relazionali. La zooantropologia offre perciò coordinate più specifiche per decodificare quelle situazioni dove gli enti in interazione si pongono in una situazione di interscambio dialogico e in una reciproca assunzione di ruoli. Pertanto in zooantropologia con la parola “relazione” si intende un evento interattivo molto ben caratterizzato dove l’animale non è trasformato in cosa, icona o strumento ma riconosciuto come alterità, dove cioè ha un ruolo attivo nel processo di incontro-confronto. La relazione è una situazione non scontata perché richiede al partner umano la capacità di evitare le tendenze “a”, “b” e “c”, e allo stesso tempo ammettere il proprio bisogno di un interscambio con il non-umano. Per la zooantropologia le caratteristiche relazionali e il valore referenziale dell’incontro dialogico tra l’essere umano e il non-umano rappresentano uno specifico, in altri termini hanno delle peculiarità tali da renderle “non sovrapponibili” ad altre tipologie di relazione, pertanto non è corretto applicare gli strumenti interpretativi del rapporto interumano per leggere la referenza animale. La relazione con l’alterità animale è quindi qualcosa che per la sua forte caratterizzazione merita un discorso a parte, di qui il bisogno di una disciplina specifica che analizzi:
1) il modo relazionale, vale a dire il piano di incontro-confronto tra uomo e animale;
2) i contributi relazionali, ovvero le referenze che si rendono disponibili nel processo di incontro-confronto.

Perché si realizzi quella struttura dialogica e intersoggettiva che la zooantropologia chiama relazione è necessario rivoluzionare il modo di vedere l’incontro tra l’uomo e il non-umano, vale a dire:
a) il ruolo dell’animale nell’interazione,
b) l’apertura dell’uomo al non-umano.


2) Ruolo dell’animale

In zooantropologia per parlare di relazione si richiede che il partner animale sia riconosciuto nei suoi caratteri di:
1) soggetto ossia non ridotto a oggetto o strumento,
2) diverso ovvero non antropomorfizzato e non approcciato per proiezione,
3) peculiare vale a dire portatore di una specifica prospettiva sul mondo e non ridotto a categoria.

Queste tre caratteristiche (predicati) vengono definite dalla zooantropologia come “statuto di alterità” dell’animale e sono il requisito di base per parlare di relazione. Come secondo aspetto è necessario riconoscere all’animale un ruolo di partner, cioè un pieno coinvolgimento nel processo relazionale e il godimento di una beneficialità dal processo relazionale, vale a dire non un mero utilizzo e tanto meno uno sfruttamento. Come si è detto in zooantropologia l’animale ha un ruolo attivo giacché il suo carattere di alterità lo rende interprete dell’evento interattivo. Possiamo dire che la novità della zooantropologià sta proprio nella capacità di guardare all’animale in modo nuovo sia sotto il profilo del riconoscimento del carattere di alterità sia nell’ammissione di un ruolo di partnership. I predicati di alterità rappresentano una sfida rispetto ai tradizionali modelli di interpretazione del non-umano. Assegnare una soggettività al non-umano significa superare la tendenza a reificare l’animale, trattandolo come:
a) oggetto-prodotto da consumare;
b) macchina produttrice di prestazioni da utilizzare;
c) materiale da sottoporre a processi di attribuzione di significato.

Riconoscere la diversità del non-umano vuol dire mettere in discussione la tendenza proiettiva (sono io ad attribuirti un profilo) e costruire un percorso di conoscenza e di empatia, evitando:
a) l’antropomorfizzazione ossia l’assegnazione di caratteristiche umane all’alterità animale;
b) la trasformazione in icona ovvero l’attribuzione arbitraria di caratteristiche frutto dell’elaborazione culturale;
c) la semplificazione in stereotipo con caduta del carattere di ente complesso.

Infine parlare di peculiarità dell’animale non-umano significa evitare la costruzione di una categoria animale o “animalità” oppositiva all’uomo e uniforme-solida nei suoi caratteri dove l’animale assume il carattere di “cifra regressiva” e non viene riconosciuto nel carattere di specie-specificità e quindi di singola prospettiva sul mondo. I predicati di alterità rendono l’animale attore nel processo dialogico sia perché la soggettività del non-umano sostiene una parte attiva sia perché la diversità e la peculiarità danno voce al non-umano. Per la zooantropologia tanto la reificazione quanto l’antropomorfizzazione conducono a una strumentalizzazione del non-umano che pertanto non viene messo nelle condizioni di poter realizzare il ruolo di partner del processo produttivo. Parlare di “partner animale” significa evitare la trasformazione del non-umano in mezzo, prodotto o performer, e di sostenere il pieno protagonismo dell’eterospecifico ovvero la valorizzazione delle sue qualità. Il ruolo attivo dell’animale trasforma l’incontro-confronto in un processo biunivoco, dotato di intersoggettività, realizzato attraverso una partecipazione piena (valorizzata nei suoi caratteri) dell’interlocutore non-umano. L’intersoggettività della relazione, che ovviamente non significa simmetricità o pariteticità di relazione, comporta l’accettazione dell’altro nella sua pienezza e, da parte dell’uomo, il mettersi in gioco nell’evento di incontro-confronto.


3) Il concetto di referenza animale


Ammettere una relazione e non una semplice reazione-proiezione verso lo stimolo animale significa implicitamente sostenere un ruolo referenziale da parte del non-umano, giacché le relazioni producono referenze. Per referenza s’intende un contributo non di ordine performativo (la prestazione data dall’animale) ma riferito alla relazione (lo stato di relazione che si viene a instaurare). L’apporto referenziale si realizza cioè come dialogo e attraverso il dialogo, pertanto dipende dal modo relazionale attivato. Il contributo referenziale determina dei benefici:
a) nello stato momentaneo o funzionale della persona (benefici espressivi);
b) nei percorsi di cambiamento o di configurazione del suo Sé, siano essi educativi o terapeutici.

L’interlocutore animale, assumendo un ruolo attivo e peculiare nella relazione, fa emergere nell’uomo delle condizioni specifiche sotto il profilo motivazionale, emozionale, rappresentazionale, etc. ossia modifica il suo stato nel qui e ora (ambito funzionale) e consente un percorso di cambiamento (ambito configurale). L’apporto referenziale riguarda l’orientamento, il sostegno, l’esempio, l’ispirazione, lo scacco, l’osmosi emozionale, la trasmissione di risposte utili. Una referenza è un’entità che mi dà aiuto - nei processi formativi, assistenziali ed espressivi - attraverso la sua presenza dialogica ovvero ponendosi in relazione attiva con me. Una referenza è perciò un contributo differente dalla prestazione perché deriva dalla relazione e non dall’utilizzo dell’animale. Orbene secondo la zooantropologia la relazione non è mai fine a se stessa ma, sviluppando referenze, essa va considerata produttiva (non necessariamente beneficiale) e in questa produzione il ruolo dell’animale è quello di partner non di strumento. In una produzione referenziale l’animale è coinvolto (inserito nel processo relazionale) non utilizzato. Il concetto di “referenza animale” sta alla base della zooantropologia, in un certo senso è il suo concetto portante, punto di confluenza della ricerca teorica, fondamento della progettualità applicativa. Per referenza animale s’intende pertanto il complesso di contenuti che scaturiscono dalla relazione o dal fare riferimento all’animale come alterità. Questi contenuti o valenze relazionali sono i mattoni con cui si costruiscono i diversi progetti di zooantropologia applicata. Questi ultimi si basano, per l’appunto, sulla capacità di rendere disponibili e utilizzare al meglio i contenuti referenziali propri della relazione uomo-animale. L’analisi della referenza animale e la chiarezza sul ruolo referenziale dell’alterità animale è il punto critico che contraddistingue l’approccio zooantropologico, il carattere distintivo e di svolta apportato dalla zooantropologia. Vi è una differenza immediata e facilmente riconoscibile tra chi ha fatto propri i dettati della zooantropologia e individua il proprio focus sulla referenza animale e coloro i quali impostano ancora il loro modello di ricerca sull’animale come strumento (tipico dell’approccio zootecnico) o sull’animale come medium (tipico dell’approccio antropologico o psico-pedagogico). Secondo la zooantropologia il valore della referenza animale è riconducibile proprio al carattere di diversità e peculiarità dell’eterospecifico ovvero alla capacità di operare slittamenti sull’uomo attraverso una diversa prospettiva sul mondo.


4) Apertura dell’uomo verso la referenza animale

Per quanto concerne l’uomo la zooantropologia parte da presupposti altrettanto rivoluzionari, prendendo in considerazione un bisogno referenziale o comunque un’apertura referenziale dell’uomo verso l’eterospecifico. Volendo sostenere una beneficialità non di ordine performativo è infatti necessario ammettere:
1) che per l’uomo l’animale possa assumere un ruolo referenziale ovvero essere capace di apportare contenuti nel porsi in una condizione di incontro-confronto,
2) che tale referenza abbia un valore proprio in quanto portatrice di contenuti nuovi rispetto alla relazione interumana;
3) che la referenza animale abbia un significato necessario e insostituibile per la realizzazione del profilo umano (antropo-poiesi) e della persona.

Questi tre presupposti vengono definiti dalla zooantropologia come “fondamento beneficiale” della relazione uomo-animale. L’interrogativo a questo punto riguarda l’importanza della referenza non-umana poiché è evidente che c’è una differenza notevole tra considerare tale referenza:
a) sostitutiva o parzialmente vicariante la mancanza di altre referenze;
b) utile ma non strettamente pertinente i bisogni referenziali dell’uomo;
c) pertinente solo in certe condizioni di problematicità della persona o in certe fasi dello sviluppo;
d) necessaria per promuovere il benessere della persona e realizzare i predicati umani.

La zooantropologia propende per l’ipotesi “d” ovvero sottolinea l’importanza della relazione con il non-umano per costruire le qualità dell’uomo e perseguire il suo benessere. Per la zooantropologia la referenza animale nella formazione della persona è necessaria come un amminoacido essenziale in una dieta. In altri termini la zooantropologia parte da un presupposto di non autosufficienza referenziale dell’uomo. Questo non toglie che i suoi campi applicativi, ovvero di utilizzo della beneficialità referenziale, si siano sviluppati soprattutto a fronte del referto “c” – si veda la pet therapy. La zooantropologia riporta l’animale al centro del discorso antropologico, riconosce cioè il bisogno dell’uomo della referenza animale. Questo presupposto trascina con sé altre considerazioni riferibili al ruolo antropologico della relazione con l’animale, ove la zooantropologia assegna un posto ben specifico e peculiare a questa esperienza come fattore costitutivo ed essenziale e non come elemento secondario o surrogatorio. Qui si può riscontrare un’importante differenza tra l’approccio non zooantropologico che vede nella relazione con l’animale un’opzione di vicarianza di un deficit di relazioni umane e l’approccio zooantropologico che vede nella relazione con l’animale un apporto specifico. Mentre nel primo caso per ottenere l’apporto beneficiale di vicarianza si deve incentivare l’antropomorfizzazione del non umano, nell’approccio zooantropologico si deve evitare l’antropomorfizzazione del non umano per rendere disponibili le referenze specifiche. In altri termini, per la zooantropologia il rapporto con l’animale non deve essere interpretato come sostituto di altre relazioni ma occorre valutarlo nella sua specificità, ossia proprio nella differenza rispetto al rapporto interumano.


5) Tipologie di contributi beneficiali offerti dal rapporto con l’animale


La zooantropologia sottolinea l’importanza di differenziare l’utilizzo performativo dell’animale, ovvero la richiesta di prestazioni (implicito anche nella definizione di “animale da affezione”), dalle contribuzioni referenziali o utilizzo della relazione. I contributi performativi (zootecnici) esitano dall’indirizzo di utilizzo che viene dato all’animale (“animale da”) e dalla sua trasformazione a oggetto-strumento per l’uomo. I contributi referenziali (zooantropologici) esitano dal tipo di relazione che si viene a instaurare tra il partner umano e il partner non-umano. Quindi le attività e i prodotti della zooantropologia applicata sono di natura diversa dalle attività e dai prodotti di ordine zootecnico ossia impostati su:
1) indirizzi di prestazioni ritagliati dalla complessità performativa del non umano;
2) l’utilizzo dell’animale come prodotto, materiale o performer.

Altra differenza fondamentale è tra l’utilizzo sostitutivo dell’animale per colmare una mancanza di relazioni umane (surrogazione) o per emendare un’incapacità di relazionarsi con l’essere umano (vicarianza) e l’approccio zooantropologico di valorizzazione della diversità e peculiarità dell’eterospecifico. Infine la zooantropologia intende la beneficialità relazionale come esito di una struttura di incontro-confronto specificata nei suoi contenuti referenziali (struttura configurata o specificata nelle sue dimensioni) non come contribuzione generalista esito dell’incontro tra l’essere umano e l’alterità animale. Queste considerazioni ci portano a mettere in rilievo la presa di distanza dell’approccio zooantropologico da alcuni orientamenti tradizionali di interpretazione della beneficialità:
a) l’idea che il contributo beneficiale esiti dalla prestazione messa in atto dall’animale e dall’utilizzo dell’animale;
b) l’idea che il beneficio sia dato dalla capacità dell’animale di surrogare o vicariare una mancanza di referenti umani e nella misura in cui l’eterospecifico si presti a essere antropomorfizzato;
c) l’idea che la beneficialità sia imputabile ai processi di significazione attribuiti in modo proiettivo dall’uomo;
d) l’idea che la relazione sia beneficiale in modo generalista ovvero che la relazione con l’animale sia un’entità uniforme, sempre beneficiale o comunque capace di sviluppare sempre la stessa beneficialità.

Come il contributo performativo si misura sulla tipologia di prestazione, allo stesso modo per la zooantropologia il contributo referenziale si misura sulla tipologia di relazione ovvero sulle dimensioni di relazione attivate nel processo di incontro-confronto con il partner non-umano. La relazione è pertanto un’entità configurabile e dal tipo di configurazione che assume produce contribuzioni referenziali specifiche. Per la zooantropologia non ha senso dire che “l’animale fa bene”, quasi fosse una vitamina da assumere, e nemmeno sostenere che “la relazione con l’animale fa bene” ovvero che ogni incontro-confronto con l’alterità sviluppi dei contributi beneficiali. Per la zooantropologia la beneficialità referenziale:
a) si realizza solo se vi è il riconoscimento al non-umano dei tre predicati di alterità,
b) ha un connotato di reciprocità tra i due partner di relazione,
c) ha un profilo specifico che la differenzia dalle relazioni interumane e dai processi proiettivi,
d) è relativa alla configurazione dimensionale assunta dalla relazione.

Per apportare i propri contributi referenziali la relazione dev’essere prima di tutto attivata, ossia i due partner devono essere messi nelle migliori condizioni per incontrarsi, quindi configurata sui bisogni specifici di referenza. Se è vero che la beneficialità si realizza solo a fronte di una specificazione dimensionale, è altrettanto vero per la zooantropologia che esiste un carattere di peculiarità dell’incontro con il non umano: il valore di soglia ossia la capacità di decentrare. Sotto questo aspetto la referenza animale deve agire come operatore di cambiamento, come volano di mobilitazione, come motore di slittamenti. In virtù di questa capacità la produttività relazionale può essere applicata o trovare applicazione nelle diverse situazioni ove l’uomo desidera o ha necessità di modificare il suo stato, come nell’ambito educativo (percorso formativo) o in quello assistenziale (percorso terapeutico).


6) I fattori della beneficialità referenziale

Secondo la zooantropologia la relazione uomo-animale va considerata secondo due aspetti specifici:
1) la capacità di suscitare un processo di decentramento ovvero di essere una sorta di soglia per la persona, vale a dire un luogo di apertura, contaminazione, scacco, calamita, capace di mettere in discussione la chiusura e l’autoreferenza;
2) la capacità di mettere in salienza le più importanti componenti motivazionali della persona e quindi di dimensionarsi secondo specifici giochi di ruolo e transazioni motivazionali, tonificando aree particolari del profilo psicologico della persona a seconda della configurazione di relazione implementata.

Partiamo dal primo punto. La relazione uomo-animale è un “rapporto di soglia” ossia un evento di incontro-confronto incentrato sul modello dell’ospitalità, intesa quest’ultima come momento di accoglienza (ospitare qualcuno) e momento di pellegrinaggio (farsi ospitare). Un rapporto di soglia è caratterizzato cioè da un processo di decentramento che mette in relazione il soggetto con l’alterità costruendo da una parte una migliore consapevolezza identitaria (il luogo dove posso ospitare) dall’altra una maggiore apertura al mondo (la voglia di intraprendere il viaggio conoscitivo). Questo perché la relazione si realizza con un ente (l’animale) che si pone come una soglia (un luogo di passaggio) tra il conosciuto (l’immedesimazione) e l’incognito (l’eccentramento) dove la relazione (incontro-confronto) è già di per sé un evento produttivo da valorizzare e da utilizzare. Consideriamo ora il secondo punto. La relazione è dimensionale e dimensionabile: si basa cioè su una definizione di ruoli specifici da parte dei partner di relazione, ruoli fondati su una base motivazionale che sostiene e trova gratificazione all’interno dell’evento relazionale. Per questo motivo secondo l’approccio zooantropologico ogni relazione ha una sua configurazione dimensionale capace di definire un profilo specifico di referenza. Per la zooantropologia le diverse dimensioni di relazione mettono a disposizione degli specifici referenziali, pertanto la beneficialità della relazione va commisurata sulla coerenza dello specifico referenziale rispetto ai bisogni, alle vulnerabilità, agli obiettivi del fruitore di attività di zooantropologia applicata. Se il carattere di soglia accende il valore e la potenza-fruibilità della referenza animale, solo la definizione dimensionale mi assicura che l’apporto referenziale sia adeguato per quel fruitore: non vi sono solo potenzialità beneficiali nella relazione uomo-animale proprio perché il volano referenziale è alto (grazie al significato di soglia) e perché sotto il profilo motivazionale vi è un forte coinvolgimento della persona. La zooantropologia applicata pertanto utilizza i contenuti referenziali che scaturiscono dalla relazione in quanto 1) evento di soglia e 2) struttura dimensionata e per questo l’impostazione zooantropologica nei diversi progetti applicativi ha una connotazione molto differente rispetto alle prassi e agli obiettivi di seduta. La zooantropologia applicata realizza la beneficialità referenziale della relazione uomo-animale, valutando:
a) gli aspetti generali della referenza animale, come rapporto di soglia
b) gli aspetti specifici riferibili alla dimensione di relazione che si va a implementare.


7) Realizzare la beneficialità referenziale


Per l’approccio zooantropologico è pertanto necessario da una parte favorire le potenzialità di soglia della relazione con l’alterità animale dall’altra configurare la relazione in modo tale da attivare solo le dimensioni beneficiali e comunque evitare quelle compromissorie per i due partner di relazione. Riguardo al potenziamento di soglia in zooantropologia si lavora:
a) sulla centripetazione dei due partner di relazione, ossia sulla facilitazione del processo di incontro-confronto con emergenza dell’altro come centro di interesse;
b) sul contenimento delle tendenze proiettive, ossia sulla riduzione della traduzione iconica o antropomorfica dell’animale, e sul riconoscimento della peculiarità dell’apporto referenziale animale;
c) sul contenimento delle tendenze reificatorie, vale a dire sulla valorizzazione del carattere di soggettività dell’animale, del suo ruolo attivo nel processo interattivo, del coinvolgimento nella prassi beneficiale, del carattere referenziale della contribuzione.

Per quanto concerne la configurazione della relazione si agisce sulle “prassi di esplicitazione” relazionale ovvero sulle azioni-attività con-su il partner animale capaci di accendere una particolare dimensione di relazione. L’analisi dimensionale è centrale nella ricerca teorica sulle diverse variabili di relazione, ma diviene ancor più pregnante nelle attività di zooantropologia applicata: in questi progetti non si propone infatti una relazione in modo aspecifico ma una matrice relazionale, capace di sviluppare contenuti particolari e ben definiti. La relazione è pertanto configurata attraverso una matrice di attività-azioni reciprocate tra i due partner. L’idea che la relazione uomo-animale, proprio perché sostenuta da un preciso assetto motivazionale, sia dimensionale apre la strada a un nuovo continente di ricerca, per larghi tratti inesplorato. Le diverse dimensioni infatti declinano in modo unico e peculiare il rapporto di soglia, creano cioè contesti di confronto e processi di decentramento assai differenti, in grado cioè di sviluppare contenuti referenziali diversi. La specificazione del contributo referenziale attraverso la definizione configurale della relazione è sotto il profilo applicativo ciò che differenzia in modo esplicito l’approccio zooantropologico e parimenti ciò che dà alla zooantropologia gli strumenti per correlare le attività proposte e i contributi offerti alle specifiche necessità del fruitore. Questo significa che in zooantropologia ci si interroga e ci si preoccupa prima di tutto dell’orizzonte dimensionale della relazione, vale a dire di tarare nel modo giusto la matrice relazionale a seconda dei bisogni del fruitore di relazione. Non c’è più solo il corretto modo di rapportarsi con un cane o con un gatto - prerequisiti questi, ma non il focus di interesse della zooantropologia - vi è la definizione di un contesto dimensionale opportuno per quell’evento relazionale. Quando si fanno attività di pet therapy, solo per fare un esempio, secondo l’approccio zooantropologico non ci si deve preoccupare solo se la persona sta interagendo in modo corretto con quell’animale, bensì chiedersi prima di tutto se la configurazione di relazione (l’insieme delle dimensioni attivate) sviluppa dei contenuti referenziali beneficiali o compromissori per quel particolare utente. Pertanto quando si costruisce un progetto di zooantropologia applicata ci si interroga sulle dimensioni relazionali che si intendono attivare a fronte dei bisogni espressi dalla contingenza del fruitore. La zooantropologia applicata ha pertanto un compito molto delicato che possiamo riassumere nel modo seguente: dimensionare al meglio il modo relazionale attraverso la definizione di “copioni di esplicitazione”, ovvero una collezione di attività-azioni con-su reciprocate tra i due partner. Dimensionare al meglio significa cose differenti a seconda del tipo di rapporto con cui dobbiamo confrontarci cosicché in zooantropologia applicata dividiamo i progetti relazionali in situazioni di:
1) pet relationship, ove uomo e animale si incontrano al di fuori di un processo di affiliazione (proprietà) e in situazioni/progetti specifici - come nell’area didattica o in quella assistenziale - in cui si devono implementare solo alcune dimensioni relazionali;
2) pet ownership, ossia il rapporto con l’animale di proprietà e affiliazione, ove la relazione diviene un progetto di vita in comune e pertanto si devono bilanciare le diverse componenti di relazione ossia creare un equilibrio tra le diverse dimensioni;
3) pet partnership, ove uomo e animale lavorano insieme - come nel rapporto tra operatore di zooantropologia applicata e il suo animale - e pertanto vi deve essere un accordo totale o di partnership dove la relazione diviene integrazione e i due si rappresentano come un’unica entità.

Dimensionare al meglio significa pertanto:
a) nella pet relationship: individuare le dimensioni coerenti con l’obiettivo di beneficialità referenziale del progetto e, di conseguenza, istruire le attività adeguate per implementarle;
b) nella pet ownership: bilanciare le diverse componenti e costruire un equilibrio relazionale tra l’animale e il nucleo affiliativo che lo ospita;
c) nella pet partnership: costruire un percorso di integrazione e di accordo performativo implementando le dimensioni collaborative tra animale e pet partner.

L’analisi dimensionale è pertanto “il problema” della zooantropologia applicata, tenendo conto che dimensioni differenti danno prodotti referenziali diversi e strutture affiliative assai differenti. Pertanto in zooantropologia applicata non solo si mettono in concreto le acquisizioni dell’indagine teorica ma si sviluppa nel modo corretto la produttività referenziale attraverso la configurazione di relazione, esattamente come in zootecnia si sviluppa la produttività performativa attraverso lo sviluppo delle vocazioni-attitudini.


8) Il metodo in zooantropologia applicata

La zooantropologia è pertanto una disciplina in tutto e per tutto concreta che lavora sulla relazione uomo-animale e lo fa in un modo specifico, ossia con peculiari criteri, leve e strumenti di intervento e applicazione. Possiamo pertanto parlare di “fondamenti della zooantropologia applicata” (o Canone di zooantropologia applicata) centrati sulla definizione:
1) di un ruolo referenziale specifico attribuito all’alterità animale,
2) di una struttura configurabile alla relazione uomo-animale.

Il metodo zooantropologico si basa quindi sulla configurazione della relazione (definizione delle dimensioni da implementare) al fine di mettere a disposizione non una referenzialità generica ma ben definiti “specifici referenziali”. Non viene perciò prescritta in modo aspecifico una relazione con il non-umano ma una particolare configurazione di relazione capace di sviluppare specifici referenziali utili per i due partner di relazione. Il metodo zooantropologico si basa pertanto sull’individuazione:
a) degli specifici referenziali relativi alle diverse configurazioni di relazione e in particolare alle singole dimensioni di relazione;
b) delle leve che consentono di configurare una relazione al fine di rendere disponibili particolari specifici referenziali.

La zooantropologia ha dato il via a un’autentica rivoluzione grazie ai concetti di referenza animale e di indirizzo dimensionale della relazione. Un momento centrale nell’ufficializzazione del metodo zooantropologico è stato l’estensione nel 2002 del documento Carta Modena, Carta dei Valori e dei Principi sulla Pet Relationship, dove si è chiaramente rilevato il ruolo attivo, soggettivo e di partnership, dell’animale nelle attività di zooantropologia applicata e parimenti si è sottolineato che il contributo beneficiale deriva dalla relazione ed è di tipo referenziale. Ora, al di là di ogni valutazione circa le attività di ordine zootecnico che hanno una loro specificità applicativa, quando parliamo di attività educative e assistenziali che hanno nell’animale il loro centro referenziale ci riferiamo a un ordine di attività che implementano un processo relazionale e che si sostanziano nel processo relazionale stesso. In tal senso qualunque intervento che possa compromettere lo statuto di soggettività o far decadere tale statuto porta a inficiare l’intervento o può divenire addirittura compromissorio per il fruitore stesso del servizio educativo-assistenziale. Zootecnia e zooantropologia si occupano di ambiti differenti della partnership uomo-animale perché istituiscono ruoli differenti dell’animale all’interno dell’attività. In zootecnia abbiamo l’utilizzo e la messa a punto di qualità performative al fine di utilizzare le prestazioni dell’animale per ottenere dei benefici per l’uomo. In zooantropologia abbiamo la costruzione di un evento relazionale che va configurato in modo tale da sviluppare benefici referenziali per entrambi i partner. Pertanto qualunque ibridazione tra i due domini di attività è da considerarsi dannosa – soprattutto per quanto concerne le attività zooantropologiche – per questo motivo non si devono mai includere nelle filiere zootecniche gli animali coinvolti nelle attività zooantropologiche (come peraltro stabilito nell’articolo 5 di Carta Modena) ma altresì sarebbe da evitare un’attività mista (zootecnica e zooantropologica) da parte della stessa struttura anche con filiere separate. Gli ambiti applicativi della zooantropologia riguardano due campi di attività:
1) l’area consulenziale o servizi volti a favorire i processi affiliativi e di integrazione sociale dell’animale nell’ecumene;
2) l’area interventistica o servizi volti a utilizzare il portato referenziale della relazione con l’animale a scopo beneficiale.

Per quanto concerne l’area 1 possiamo chiaramente distinguere due ambiti generali di attività: 1a) l’ambito dei servizi di consulenza alla pet-ownership, a sua volta suddivisibile nei servizi di formazione della pet-ownership (training) e di correzione della pet-ownership (sistemica); 2a) l’ambito dei servizi di integrazione sociale dell’animale o zooantropologia urbana. Per quanto concerne l’area 2 possiamo chiaramente distinguere due ambiti generali di attività: 2a) l’ambito dei servizi di referenza a scopo educativo, suddivisibile a sua volta nei servizi formativi, disciplinari, didattici, rieducativi; 2b) l’area dei servizi di referenza a scopo assistenziale, suddivisibile a sua volta nei servizi di benessere, integrazione, emendazione, coadiuvanza.
In tutte queste aree di attività l’approccio zooantropologico si discosta nettamente da quello tradizionale perché:
a) basato sull’istituzione relazionale,
b) applicato alla relazione,
c) realizzato attraverso la relazione,
d) fondato sul contributo referenziale.

Orbene una stessa attività – per esempio il pet training o la pet therapy – può essere realizzata con l’approccio tradizionale o con quello zooantropologico: la differenza è rilevante, a tal punto che è corretto ritenerli due servizi in tutto e per tutto differenti. Di certo lo sviluppo di una comunità di professionisti (veterinari, psicologi, educatori, pet trainer) che operano secondo l’approccio zooantropologico sta modificando il profilo della richiesta-proposta con cui il mercato stesso si trova a doversi confrontare. Credo che nei prossimi anni sarà sempre più chiara e riconoscibile la differenza tra chi opera con il metodo zooantropologico (relazionale-referenziale) e chi è rimasto a coordinate performative, surrogatorie e di utilizzo dell’animale. La zooantropologia ha modificato il modo di guardare l’animale e di fondarne la presenza nella società umana onde favorire e allargare i processi di partnership e far conoscere il valore sociale di questo rapporto. Le trasformazioni metodologiche impresse dalla zooantropologia non sono intuitive, vanno conosciute perché si discostano notevolmente dai concetti tradizionali di utilizzo performativo. Non vi è dubbio d’altro canto che questa trasformazione sia in linea con le direttrici etiche e scientifiche che leggono il rapporto uomo-animale attraverso focali di rispetto del carattere di senzienza, riconoscimento della diversità, valorizzazione della partnership. Pertanto se è vero che la zooantropologia parte da un suo statuto epistemico intorno al concetto di referenza animale, è altrettanto vero che esiste un milieu di contiguità e coerenza con le ricerche in bioetica animale e nelle scienze cognitive animali, anche queste tese a riconoscere un ruolo attivo all’alterità animale.