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domenica 16 marzo 2008

OMEOPATIA: MEDICINA DELL'UOMO

di Luigi Marcello Monsellato

L’ETÀ DELL’UOMO
I° semestre 86 – Anno III
Agosto-Settembre N. 14

Ogni giorno il concetto di OMEOPATIA è oggetto di dibattiti: da un lato ci sono gli scettici, o i detrattori pervicaci, dall’altro i partigiani appassionati, addirittura gli adepti mistici.
Curiosamente, però, non sanno definirla esattamente: per alcuni l’Omeopatia è il male curato con il male, per altri è la medicina che cura con le piante, per altri ancora è la medicina delle piccole dosi e per molte persone, tenuto conto di queste piccole dosi, è né più né meno una medicina da ciarlatani, destinata a dei «pazzi» suggestionabili.

L’Omeopatia, per definizione, è un METODO TERAPEUTICO, che applica LA LEGGE DI SIMILITUDINE e che utilizza le sostanze medicamentose, a DOSI DEBOLI, o INFINITESIMALI. La legge di similitudine è la formulazione di uno stato di fatto fisiologico, già constatato da Ippocrate e dalla sua Scuola cinque secoli a.C. Si notò, già a partire da quest’epoca, che esisteva spesso un parallelismo d’azione tra il potere tossicologico di una sostanza e la sua azione terapeutica: l’Elleboro bianco, per esempio, che da un punto di vista tossicologico provoca diarree coleriformi, era impiegato con successo nel trattamento del colera. In altre parole, gli stessi agenti che hanno provocato il male, lo guariscono. Nei secoli successivi, altri medici fecero simili constatazioni, ma senza trarne conclusioni pratiche generali.

Occorre attendere la fine del XVIII secolo perché un medico tedesco, Samuele Hahnemann - chimico e tossicologo - approfondisca il problema. Egli si accorse che il chinino, rimedio utilizzato a quell’epoca nel trattamento di certe febbri malariche, provocava tossicologicamente degli eccessi febbrili, simili a quelli per i quali era impiegato, come agente terapeutico. Essendo a conoscenza dei lavori della Scuola Ippocratica, disse allora: «Sembrerebbe che i medicamenti siano capaci di guarire dei sintomi, analoghi a quelli, che essi sono in grado di produrre». Era un’ipotesi, occorreva verificarla. Hahnemann si mise al lavoro e, se da un lato sperimentò su se stesso, sui suoi congiunti e allievi tutte le sostanze medicamentose impiegate a quell’epoca, quali il chinino, l’aconito, la belladonna, il mercurio, ecc., per conoscere l’azione farmacodinamica di queste sostanze sull’individuo sano, dall’altro, conoscendo queste azioni, impiegò queste sostanze in qualità di agenti terapeutici su pazienti, che presentavano sintomi simili a quelli indotti dalla sperimentazione in individui sani.

Constatò allora che la sua ipotesi si verificava, ma a condizione di impiegare come dosi terapeutiche, delle dosi estremamente deboli o addirittura infinitesimali; così per esempio l’Ipeca, che provoca a dosi ponderali nausee e vomiti, guarisce, a deboli dosi, le nausee di un individuo dispeptico; il veleno d’ape, che provoca negli individui sani degli edemi di colore roseo, che insorgono improvvisamente con dolori puntorii e bruciori, migliorati dalle applicazioni di acqua fredda, a dosi infinitesimali migliora o guarisce le eruzioni con dolori puntorii e brucianti, dalla comparsa improvvisa (migliorate dalle applicazioni fredde, ma di tutt’altra origine: un colpo di sole ad esempio, un’orticaria, da causa alimentare o tossica).

E così, con sperimentazioni successive, Hahnemann si accorse che l’ipotesi, inizialmente formulata, si verificava regolarmente. Non era dunque più una semplice ipotesi, bensì una legge della natura, una legge di biologia generale, la legge della similitudine: era nata l’Omeopatia. Eravamo all’inizio del XIX secolo. Hahnemann aveva avuto bisogno di più di dieci anni di osservazione e di sperimentazioni, per giungere a queste conclusioni fondamentali. L’Omeopatia non è dunque, come alcuni vorrebbero far credere, né un’idea strampalata, nata nel cervello di un folle, né una filosofia, né una mistica. È, partendo da un’ipotesi suscitata da fatti clinici, un metodo terapeutico messo a punto dopo anni di sperimentazioni cliniche e tossicologiche, che consiste nel somministrare al paziente, a dosi deboli o infinitesimali, la sostanza che, somministrata ad un soggetto sano, provoca in questi dei sintomi simili, a quelli del paziente.

Ed ora un’ultima osservazione: è sempre necessario integrare tutte le conoscenze mediche e mai essere partigiani o sacerdoti di una sola medicina, sia essa ufficiale, o alternativa. È chiaro che vi sono due vie di professare l’arte medica: fideistica la prima, che esclude per ignoranza e settarismo tutto ciò che si discosta dalla linea terapeutica, che viene seguita, inserita nell’ambito di una visione libera, ampia e aperta della medicina, la seconda. Ribadisco il concetto che non vi è una sola medicina che guarisce, ma soltanto un insieme di sistemi, capaci di guarire il singolo caso. Ogni tentativo di collocarne una al di sopra di tutte le altre, come la sola medicina, che opera la vera guarigione, è un atteggiamento partigiano ed esclusivista, privo di sana ed obbiettiva critica. In una medicina onesta non vi può essere una sola medicina, ma soltanto un insieme di sistemi e di mezzi terapeutici, già collaudati o da verificare, che devono confluire e completarsi in un armonico disegno, il cui fine ultimo è la guarigione del malato.

Concludendo, la Medicina ufficiale e l’altra Medicina, di cui l’Omeopatia è l’espressione massima, devono dunque adattarsi a questa esigenza di onestà, e devono trovare la loro giusta collocazione nell’attuale fase di rinnovamento terapeutico.

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