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Chiara Inesia


mercoledì 30 aprile 2008

MANIFESTO TEORICO DELLA ZOOANTROPOLOGIA

di Roberto Marchesini


Premessa


La zooantropologia nasce come specifica disciplina di analisi:
a) del rapporto di dialogo con il non-umano (interazione relazionale tra uomo e animale),
b) dei contributi referenziali (beneficialità dell’incontro-confronto) che tale rapporto produce.

Già da questa definizione è evidente che la zooantropologia non è semplicemente lo studio del rapporto uomo-animale perché ammette due evidenze di novità:
1) che tra umano e non-umano ci possa essere un rapporto dialogico ossia uno scambio di contenuti con reciprocazioni e affiliazioni;
2) che il non-umano possa ricoprire un ruolo referenziale per l’uomo.

La zooantropologia parte da presupposti teorici assolutamente innovativi rispetto al panorama precedente e di conseguenza sviluppa a) un campo applicativo (ambiti di attività) e b) una metodologia di lavoro (metodo) non sovrapponibili alle tradizionali aree di lavoro e agli approcci non relazionali-referenziali, per esempio della zootecnia. La zooantropologia non è pertanto semplicemente un’area tematica o un focus di ricerca interdisciplinare, ma un nuovo modo di concepire:
1) l’incontro tra l’essere umano e l’animale non-umano,
2) l’ordine di contributi che l’uomo può ricevere nella partnership con l’animale.

Rispetto al punto 1 la zooantropologia ammette “un incontro relazionale” nel senso pieno del termine ossia di interscambio di contenuti e di ruoli, riguardo al punto 2 introduce “un contributo referenziale” accanto a quello zootecnico di tipo performativo. L’approccio zooantropologico si discosta da alcuni paradigmi tradizionali di lettura del non-umano nel rapporto con l’uomo quali:
a) la trasformazione dell’animale in cosa (non reificazione),
b) la riduzione della diversità del non-umano (non antropomorfizzazione),
c) la negligenza verso la pluralità degli eterospecifici (non categorizzazione),
d) l’utilizzo dell’animale come mezzo (non strumentalizzazione).

In zooantropologia parliamo di:
1) animale “alterità” ovvero riconosciuto nei predicati di soggettività, diversità, peculiarità;
2) animale “partner” ossia coinvolto nel processo relazionale e non utilizzato come produttore di performance.

Gli aspetti più importanti introdotti dalla zooantropologia sono i seguenti:
1) il principio di relazione ovvero l’ammissione, accanto alla semplice reattività-proiezione verso lo stimolo animale, di eventi dialogici e intersoggettivi tra l’uomo e il partner animale;
2) il principio di referenza, vale a dire il riconoscere, oltre ai tradizionali apporti performativi o zootecnici richiesti all’animale, un altro genere di contributi che scaturiscono dal dialogo con l’animale o dal fare riferimento all’animale;
3) il principio di dimensionalità della relazione ossia il ritenere la struttura di relazione non un’entità generica e uniforme ma un’entità configurabile e quindi capace di presentarsi all’interno di un range di possibilità con altrettanti esiti referenziali;
4) il principio di specificità, vale a dire l’ammissione che la relazione con l’animale occupa un posto specifico proprio in virtù della diversità dell’animale che pertanto dev’essere salvaguardata.

La zooantropologia offre i propri strumenti interpretativi per la valutazione delle tendenze generali dell’uomo verso gli eterospecifici – quindi formula teorie sui processi di domesticazione, sugli utilizzi semiotici e simbolici della zoomorfia e si occupa anche delle interazioni non relazionali – tuttavia il fulcro di interesse di ricerca e applicazione di tale disciplina è focalizzato sulle interazioni relazionali e sui contributi referenziali che queste mettono a disposizione.


1) Rapporto umano e non-umano e tipologie di interazione

Nel concetto generico di rapporto uomo-animale si comprendono in realtà diverse tipologie di interazione:
a) quella reattiva, dove l’animale è uno stimolo (avversativo o appetitivo) che induce-suscita una risposta;
b) quella proiettiva, dove l’animale viene letto come icona (segno, simbolo, surrogato) e il suo profilo è in un certo qual modo creato dall’uomo;
c) quella di utilizzo, dove l’animale diviene un prestatore d’opera o uno strumento da sfruttare;
d) quella dialogica, dove l’animale è in grado di dire qualcosa di nuovo all’uomo attraverso l’interscambio (entità referenziale).

Analizzando queste possibilità vediamo che solo il punto “d” prevede una struttura veramente relazionale perché è l’unica a dare la parola all’interlocutore non-umano. Si può dialogare infatti solo a patto di non essere trasformati in cose o strumenti e solo se viene riconosciuto il proprio carattere di specificità e diversità, ossia uno statuto di alterità. La zooantropologia in tal senso distingue due tipi di rapporto uomo-animale:
1) l’interazione non-relazionale (situazioni “a”, “b” e “c”) dove cioè l’animale non è riconosciuto nei suoi predicati di alterità e, a seconda del predicato mancante, può trasformarsi in oggetto, icona o categoria;
2) l’interazione relazionale (situazione “d”) o propriamente “relazione” dove vi è il riconoscimento dello statuto di alterità e si instaura un dialogo, ossia un evento di incontro/confronto o un processo affiliativo.

Per comprendere la zooantropologia occorre perciò rifarsi a una modalità di osservazione del rapporto uomo-animale molto più raffinata, capace di distinguere le diverse situazioni con l’obiettivo di porre in risalto l’importanza e la produttività delle situazioni “d”. Ovviamente questo tipo di interazione non è estensibile ad ogni evento di incontro con i non-umani, ma allo stesso modo trattare le situazioni “d” come gli altri eventi non relazionali non permette di capire cosa realmente accade tra i due partner nelle situazioni relazionali. La zooantropologia offre perciò coordinate più specifiche per decodificare quelle situazioni dove gli enti in interazione si pongono in una situazione di interscambio dialogico e in una reciproca assunzione di ruoli. Pertanto in zooantropologia con la parola “relazione” si intende un evento interattivo molto ben caratterizzato dove l’animale non è trasformato in cosa, icona o strumento ma riconosciuto come alterità, dove cioè ha un ruolo attivo nel processo di incontro-confronto. La relazione è una situazione non scontata perché richiede al partner umano la capacità di evitare le tendenze “a”, “b” e “c”, e allo stesso tempo ammettere il proprio bisogno di un interscambio con il non-umano. Per la zooantropologia le caratteristiche relazionali e il valore referenziale dell’incontro dialogico tra l’essere umano e il non-umano rappresentano uno specifico, in altri termini hanno delle peculiarità tali da renderle “non sovrapponibili” ad altre tipologie di relazione, pertanto non è corretto applicare gli strumenti interpretativi del rapporto interumano per leggere la referenza animale. La relazione con l’alterità animale è quindi qualcosa che per la sua forte caratterizzazione merita un discorso a parte, di qui il bisogno di una disciplina specifica che analizzi:
1) il modo relazionale, vale a dire il piano di incontro-confronto tra uomo e animale;
2) i contributi relazionali, ovvero le referenze che si rendono disponibili nel processo di incontro-confronto.

Perché si realizzi quella struttura dialogica e intersoggettiva che la zooantropologia chiama relazione è necessario rivoluzionare il modo di vedere l’incontro tra l’uomo e il non-umano, vale a dire:
a) il ruolo dell’animale nell’interazione,
b) l’apertura dell’uomo al non-umano.


2) Ruolo dell’animale

In zooantropologia per parlare di relazione si richiede che il partner animale sia riconosciuto nei suoi caratteri di:
1) soggetto ossia non ridotto a oggetto o strumento,
2) diverso ovvero non antropomorfizzato e non approcciato per proiezione,
3) peculiare vale a dire portatore di una specifica prospettiva sul mondo e non ridotto a categoria.

Queste tre caratteristiche (predicati) vengono definite dalla zooantropologia come “statuto di alterità” dell’animale e sono il requisito di base per parlare di relazione. Come secondo aspetto è necessario riconoscere all’animale un ruolo di partner, cioè un pieno coinvolgimento nel processo relazionale e il godimento di una beneficialità dal processo relazionale, vale a dire non un mero utilizzo e tanto meno uno sfruttamento. Come si è detto in zooantropologia l’animale ha un ruolo attivo giacché il suo carattere di alterità lo rende interprete dell’evento interattivo. Possiamo dire che la novità della zooantropologià sta proprio nella capacità di guardare all’animale in modo nuovo sia sotto il profilo del riconoscimento del carattere di alterità sia nell’ammissione di un ruolo di partnership. I predicati di alterità rappresentano una sfida rispetto ai tradizionali modelli di interpretazione del non-umano. Assegnare una soggettività al non-umano significa superare la tendenza a reificare l’animale, trattandolo come:
a) oggetto-prodotto da consumare;
b) macchina produttrice di prestazioni da utilizzare;
c) materiale da sottoporre a processi di attribuzione di significato.

Riconoscere la diversità del non-umano vuol dire mettere in discussione la tendenza proiettiva (sono io ad attribuirti un profilo) e costruire un percorso di conoscenza e di empatia, evitando:
a) l’antropomorfizzazione ossia l’assegnazione di caratteristiche umane all’alterità animale;
b) la trasformazione in icona ovvero l’attribuzione arbitraria di caratteristiche frutto dell’elaborazione culturale;
c) la semplificazione in stereotipo con caduta del carattere di ente complesso.

Infine parlare di peculiarità dell’animale non-umano significa evitare la costruzione di una categoria animale o “animalità” oppositiva all’uomo e uniforme-solida nei suoi caratteri dove l’animale assume il carattere di “cifra regressiva” e non viene riconosciuto nel carattere di specie-specificità e quindi di singola prospettiva sul mondo. I predicati di alterità rendono l’animale attore nel processo dialogico sia perché la soggettività del non-umano sostiene una parte attiva sia perché la diversità e la peculiarità danno voce al non-umano. Per la zooantropologia tanto la reificazione quanto l’antropomorfizzazione conducono a una strumentalizzazione del non-umano che pertanto non viene messo nelle condizioni di poter realizzare il ruolo di partner del processo produttivo. Parlare di “partner animale” significa evitare la trasformazione del non-umano in mezzo, prodotto o performer, e di sostenere il pieno protagonismo dell’eterospecifico ovvero la valorizzazione delle sue qualità. Il ruolo attivo dell’animale trasforma l’incontro-confronto in un processo biunivoco, dotato di intersoggettività, realizzato attraverso una partecipazione piena (valorizzata nei suoi caratteri) dell’interlocutore non-umano. L’intersoggettività della relazione, che ovviamente non significa simmetricità o pariteticità di relazione, comporta l’accettazione dell’altro nella sua pienezza e, da parte dell’uomo, il mettersi in gioco nell’evento di incontro-confronto.


3) Il concetto di referenza animale


Ammettere una relazione e non una semplice reazione-proiezione verso lo stimolo animale significa implicitamente sostenere un ruolo referenziale da parte del non-umano, giacché le relazioni producono referenze. Per referenza s’intende un contributo non di ordine performativo (la prestazione data dall’animale) ma riferito alla relazione (lo stato di relazione che si viene a instaurare). L’apporto referenziale si realizza cioè come dialogo e attraverso il dialogo, pertanto dipende dal modo relazionale attivato. Il contributo referenziale determina dei benefici:
a) nello stato momentaneo o funzionale della persona (benefici espressivi);
b) nei percorsi di cambiamento o di configurazione del suo Sé, siano essi educativi o terapeutici.

L’interlocutore animale, assumendo un ruolo attivo e peculiare nella relazione, fa emergere nell’uomo delle condizioni specifiche sotto il profilo motivazionale, emozionale, rappresentazionale, etc. ossia modifica il suo stato nel qui e ora (ambito funzionale) e consente un percorso di cambiamento (ambito configurale). L’apporto referenziale riguarda l’orientamento, il sostegno, l’esempio, l’ispirazione, lo scacco, l’osmosi emozionale, la trasmissione di risposte utili. Una referenza è un’entità che mi dà aiuto - nei processi formativi, assistenziali ed espressivi - attraverso la sua presenza dialogica ovvero ponendosi in relazione attiva con me. Una referenza è perciò un contributo differente dalla prestazione perché deriva dalla relazione e non dall’utilizzo dell’animale. Orbene secondo la zooantropologia la relazione non è mai fine a se stessa ma, sviluppando referenze, essa va considerata produttiva (non necessariamente beneficiale) e in questa produzione il ruolo dell’animale è quello di partner non di strumento. In una produzione referenziale l’animale è coinvolto (inserito nel processo relazionale) non utilizzato. Il concetto di “referenza animale” sta alla base della zooantropologia, in un certo senso è il suo concetto portante, punto di confluenza della ricerca teorica, fondamento della progettualità applicativa. Per referenza animale s’intende pertanto il complesso di contenuti che scaturiscono dalla relazione o dal fare riferimento all’animale come alterità. Questi contenuti o valenze relazionali sono i mattoni con cui si costruiscono i diversi progetti di zooantropologia applicata. Questi ultimi si basano, per l’appunto, sulla capacità di rendere disponibili e utilizzare al meglio i contenuti referenziali propri della relazione uomo-animale. L’analisi della referenza animale e la chiarezza sul ruolo referenziale dell’alterità animale è il punto critico che contraddistingue l’approccio zooantropologico, il carattere distintivo e di svolta apportato dalla zooantropologia. Vi è una differenza immediata e facilmente riconoscibile tra chi ha fatto propri i dettati della zooantropologia e individua il proprio focus sulla referenza animale e coloro i quali impostano ancora il loro modello di ricerca sull’animale come strumento (tipico dell’approccio zootecnico) o sull’animale come medium (tipico dell’approccio antropologico o psico-pedagogico). Secondo la zooantropologia il valore della referenza animale è riconducibile proprio al carattere di diversità e peculiarità dell’eterospecifico ovvero alla capacità di operare slittamenti sull’uomo attraverso una diversa prospettiva sul mondo.


4) Apertura dell’uomo verso la referenza animale

Per quanto concerne l’uomo la zooantropologia parte da presupposti altrettanto rivoluzionari, prendendo in considerazione un bisogno referenziale o comunque un’apertura referenziale dell’uomo verso l’eterospecifico. Volendo sostenere una beneficialità non di ordine performativo è infatti necessario ammettere:
1) che per l’uomo l’animale possa assumere un ruolo referenziale ovvero essere capace di apportare contenuti nel porsi in una condizione di incontro-confronto,
2) che tale referenza abbia un valore proprio in quanto portatrice di contenuti nuovi rispetto alla relazione interumana;
3) che la referenza animale abbia un significato necessario e insostituibile per la realizzazione del profilo umano (antropo-poiesi) e della persona.

Questi tre presupposti vengono definiti dalla zooantropologia come “fondamento beneficiale” della relazione uomo-animale. L’interrogativo a questo punto riguarda l’importanza della referenza non-umana poiché è evidente che c’è una differenza notevole tra considerare tale referenza:
a) sostitutiva o parzialmente vicariante la mancanza di altre referenze;
b) utile ma non strettamente pertinente i bisogni referenziali dell’uomo;
c) pertinente solo in certe condizioni di problematicità della persona o in certe fasi dello sviluppo;
d) necessaria per promuovere il benessere della persona e realizzare i predicati umani.

La zooantropologia propende per l’ipotesi “d” ovvero sottolinea l’importanza della relazione con il non-umano per costruire le qualità dell’uomo e perseguire il suo benessere. Per la zooantropologia la referenza animale nella formazione della persona è necessaria come un amminoacido essenziale in una dieta. In altri termini la zooantropologia parte da un presupposto di non autosufficienza referenziale dell’uomo. Questo non toglie che i suoi campi applicativi, ovvero di utilizzo della beneficialità referenziale, si siano sviluppati soprattutto a fronte del referto “c” – si veda la pet therapy. La zooantropologia riporta l’animale al centro del discorso antropologico, riconosce cioè il bisogno dell’uomo della referenza animale. Questo presupposto trascina con sé altre considerazioni riferibili al ruolo antropologico della relazione con l’animale, ove la zooantropologia assegna un posto ben specifico e peculiare a questa esperienza come fattore costitutivo ed essenziale e non come elemento secondario o surrogatorio. Qui si può riscontrare un’importante differenza tra l’approccio non zooantropologico che vede nella relazione con l’animale un’opzione di vicarianza di un deficit di relazioni umane e l’approccio zooantropologico che vede nella relazione con l’animale un apporto specifico. Mentre nel primo caso per ottenere l’apporto beneficiale di vicarianza si deve incentivare l’antropomorfizzazione del non umano, nell’approccio zooantropologico si deve evitare l’antropomorfizzazione del non umano per rendere disponibili le referenze specifiche. In altri termini, per la zooantropologia il rapporto con l’animale non deve essere interpretato come sostituto di altre relazioni ma occorre valutarlo nella sua specificità, ossia proprio nella differenza rispetto al rapporto interumano.


5) Tipologie di contributi beneficiali offerti dal rapporto con l’animale


La zooantropologia sottolinea l’importanza di differenziare l’utilizzo performativo dell’animale, ovvero la richiesta di prestazioni (implicito anche nella definizione di “animale da affezione”), dalle contribuzioni referenziali o utilizzo della relazione. I contributi performativi (zootecnici) esitano dall’indirizzo di utilizzo che viene dato all’animale (“animale da”) e dalla sua trasformazione a oggetto-strumento per l’uomo. I contributi referenziali (zooantropologici) esitano dal tipo di relazione che si viene a instaurare tra il partner umano e il partner non-umano. Quindi le attività e i prodotti della zooantropologia applicata sono di natura diversa dalle attività e dai prodotti di ordine zootecnico ossia impostati su:
1) indirizzi di prestazioni ritagliati dalla complessità performativa del non umano;
2) l’utilizzo dell’animale come prodotto, materiale o performer.

Altra differenza fondamentale è tra l’utilizzo sostitutivo dell’animale per colmare una mancanza di relazioni umane (surrogazione) o per emendare un’incapacità di relazionarsi con l’essere umano (vicarianza) e l’approccio zooantropologico di valorizzazione della diversità e peculiarità dell’eterospecifico. Infine la zooantropologia intende la beneficialità relazionale come esito di una struttura di incontro-confronto specificata nei suoi contenuti referenziali (struttura configurata o specificata nelle sue dimensioni) non come contribuzione generalista esito dell’incontro tra l’essere umano e l’alterità animale. Queste considerazioni ci portano a mettere in rilievo la presa di distanza dell’approccio zooantropologico da alcuni orientamenti tradizionali di interpretazione della beneficialità:
a) l’idea che il contributo beneficiale esiti dalla prestazione messa in atto dall’animale e dall’utilizzo dell’animale;
b) l’idea che il beneficio sia dato dalla capacità dell’animale di surrogare o vicariare una mancanza di referenti umani e nella misura in cui l’eterospecifico si presti a essere antropomorfizzato;
c) l’idea che la beneficialità sia imputabile ai processi di significazione attribuiti in modo proiettivo dall’uomo;
d) l’idea che la relazione sia beneficiale in modo generalista ovvero che la relazione con l’animale sia un’entità uniforme, sempre beneficiale o comunque capace di sviluppare sempre la stessa beneficialità.

Come il contributo performativo si misura sulla tipologia di prestazione, allo stesso modo per la zooantropologia il contributo referenziale si misura sulla tipologia di relazione ovvero sulle dimensioni di relazione attivate nel processo di incontro-confronto con il partner non-umano. La relazione è pertanto un’entità configurabile e dal tipo di configurazione che assume produce contribuzioni referenziali specifiche. Per la zooantropologia non ha senso dire che “l’animale fa bene”, quasi fosse una vitamina da assumere, e nemmeno sostenere che “la relazione con l’animale fa bene” ovvero che ogni incontro-confronto con l’alterità sviluppi dei contributi beneficiali. Per la zooantropologia la beneficialità referenziale:
a) si realizza solo se vi è il riconoscimento al non-umano dei tre predicati di alterità,
b) ha un connotato di reciprocità tra i due partner di relazione,
c) ha un profilo specifico che la differenzia dalle relazioni interumane e dai processi proiettivi,
d) è relativa alla configurazione dimensionale assunta dalla relazione.

Per apportare i propri contributi referenziali la relazione dev’essere prima di tutto attivata, ossia i due partner devono essere messi nelle migliori condizioni per incontrarsi, quindi configurata sui bisogni specifici di referenza. Se è vero che la beneficialità si realizza solo a fronte di una specificazione dimensionale, è altrettanto vero per la zooantropologia che esiste un carattere di peculiarità dell’incontro con il non umano: il valore di soglia ossia la capacità di decentrare. Sotto questo aspetto la referenza animale deve agire come operatore di cambiamento, come volano di mobilitazione, come motore di slittamenti. In virtù di questa capacità la produttività relazionale può essere applicata o trovare applicazione nelle diverse situazioni ove l’uomo desidera o ha necessità di modificare il suo stato, come nell’ambito educativo (percorso formativo) o in quello assistenziale (percorso terapeutico).


6) I fattori della beneficialità referenziale

Secondo la zooantropologia la relazione uomo-animale va considerata secondo due aspetti specifici:
1) la capacità di suscitare un processo di decentramento ovvero di essere una sorta di soglia per la persona, vale a dire un luogo di apertura, contaminazione, scacco, calamita, capace di mettere in discussione la chiusura e l’autoreferenza;
2) la capacità di mettere in salienza le più importanti componenti motivazionali della persona e quindi di dimensionarsi secondo specifici giochi di ruolo e transazioni motivazionali, tonificando aree particolari del profilo psicologico della persona a seconda della configurazione di relazione implementata.

Partiamo dal primo punto. La relazione uomo-animale è un “rapporto di soglia” ossia un evento di incontro-confronto incentrato sul modello dell’ospitalità, intesa quest’ultima come momento di accoglienza (ospitare qualcuno) e momento di pellegrinaggio (farsi ospitare). Un rapporto di soglia è caratterizzato cioè da un processo di decentramento che mette in relazione il soggetto con l’alterità costruendo da una parte una migliore consapevolezza identitaria (il luogo dove posso ospitare) dall’altra una maggiore apertura al mondo (la voglia di intraprendere il viaggio conoscitivo). Questo perché la relazione si realizza con un ente (l’animale) che si pone come una soglia (un luogo di passaggio) tra il conosciuto (l’immedesimazione) e l’incognito (l’eccentramento) dove la relazione (incontro-confronto) è già di per sé un evento produttivo da valorizzare e da utilizzare. Consideriamo ora il secondo punto. La relazione è dimensionale e dimensionabile: si basa cioè su una definizione di ruoli specifici da parte dei partner di relazione, ruoli fondati su una base motivazionale che sostiene e trova gratificazione all’interno dell’evento relazionale. Per questo motivo secondo l’approccio zooantropologico ogni relazione ha una sua configurazione dimensionale capace di definire un profilo specifico di referenza. Per la zooantropologia le diverse dimensioni di relazione mettono a disposizione degli specifici referenziali, pertanto la beneficialità della relazione va commisurata sulla coerenza dello specifico referenziale rispetto ai bisogni, alle vulnerabilità, agli obiettivi del fruitore di attività di zooantropologia applicata. Se il carattere di soglia accende il valore e la potenza-fruibilità della referenza animale, solo la definizione dimensionale mi assicura che l’apporto referenziale sia adeguato per quel fruitore: non vi sono solo potenzialità beneficiali nella relazione uomo-animale proprio perché il volano referenziale è alto (grazie al significato di soglia) e perché sotto il profilo motivazionale vi è un forte coinvolgimento della persona. La zooantropologia applicata pertanto utilizza i contenuti referenziali che scaturiscono dalla relazione in quanto 1) evento di soglia e 2) struttura dimensionata e per questo l’impostazione zooantropologica nei diversi progetti applicativi ha una connotazione molto differente rispetto alle prassi e agli obiettivi di seduta. La zooantropologia applicata realizza la beneficialità referenziale della relazione uomo-animale, valutando:
a) gli aspetti generali della referenza animale, come rapporto di soglia
b) gli aspetti specifici riferibili alla dimensione di relazione che si va a implementare.


7) Realizzare la beneficialità referenziale


Per l’approccio zooantropologico è pertanto necessario da una parte favorire le potenzialità di soglia della relazione con l’alterità animale dall’altra configurare la relazione in modo tale da attivare solo le dimensioni beneficiali e comunque evitare quelle compromissorie per i due partner di relazione. Riguardo al potenziamento di soglia in zooantropologia si lavora:
a) sulla centripetazione dei due partner di relazione, ossia sulla facilitazione del processo di incontro-confronto con emergenza dell’altro come centro di interesse;
b) sul contenimento delle tendenze proiettive, ossia sulla riduzione della traduzione iconica o antropomorfica dell’animale, e sul riconoscimento della peculiarità dell’apporto referenziale animale;
c) sul contenimento delle tendenze reificatorie, vale a dire sulla valorizzazione del carattere di soggettività dell’animale, del suo ruolo attivo nel processo interattivo, del coinvolgimento nella prassi beneficiale, del carattere referenziale della contribuzione.

Per quanto concerne la configurazione della relazione si agisce sulle “prassi di esplicitazione” relazionale ovvero sulle azioni-attività con-su il partner animale capaci di accendere una particolare dimensione di relazione. L’analisi dimensionale è centrale nella ricerca teorica sulle diverse variabili di relazione, ma diviene ancor più pregnante nelle attività di zooantropologia applicata: in questi progetti non si propone infatti una relazione in modo aspecifico ma una matrice relazionale, capace di sviluppare contenuti particolari e ben definiti. La relazione è pertanto configurata attraverso una matrice di attività-azioni reciprocate tra i due partner. L’idea che la relazione uomo-animale, proprio perché sostenuta da un preciso assetto motivazionale, sia dimensionale apre la strada a un nuovo continente di ricerca, per larghi tratti inesplorato. Le diverse dimensioni infatti declinano in modo unico e peculiare il rapporto di soglia, creano cioè contesti di confronto e processi di decentramento assai differenti, in grado cioè di sviluppare contenuti referenziali diversi. La specificazione del contributo referenziale attraverso la definizione configurale della relazione è sotto il profilo applicativo ciò che differenzia in modo esplicito l’approccio zooantropologico e parimenti ciò che dà alla zooantropologia gli strumenti per correlare le attività proposte e i contributi offerti alle specifiche necessità del fruitore. Questo significa che in zooantropologia ci si interroga e ci si preoccupa prima di tutto dell’orizzonte dimensionale della relazione, vale a dire di tarare nel modo giusto la matrice relazionale a seconda dei bisogni del fruitore di relazione. Non c’è più solo il corretto modo di rapportarsi con un cane o con un gatto - prerequisiti questi, ma non il focus di interesse della zooantropologia - vi è la definizione di un contesto dimensionale opportuno per quell’evento relazionale. Quando si fanno attività di pet therapy, solo per fare un esempio, secondo l’approccio zooantropologico non ci si deve preoccupare solo se la persona sta interagendo in modo corretto con quell’animale, bensì chiedersi prima di tutto se la configurazione di relazione (l’insieme delle dimensioni attivate) sviluppa dei contenuti referenziali beneficiali o compromissori per quel particolare utente. Pertanto quando si costruisce un progetto di zooantropologia applicata ci si interroga sulle dimensioni relazionali che si intendono attivare a fronte dei bisogni espressi dalla contingenza del fruitore. La zooantropologia applicata ha pertanto un compito molto delicato che possiamo riassumere nel modo seguente: dimensionare al meglio il modo relazionale attraverso la definizione di “copioni di esplicitazione”, ovvero una collezione di attività-azioni con-su reciprocate tra i due partner. Dimensionare al meglio significa cose differenti a seconda del tipo di rapporto con cui dobbiamo confrontarci cosicché in zooantropologia applicata dividiamo i progetti relazionali in situazioni di:
1) pet relationship, ove uomo e animale si incontrano al di fuori di un processo di affiliazione (proprietà) e in situazioni/progetti specifici - come nell’area didattica o in quella assistenziale - in cui si devono implementare solo alcune dimensioni relazionali;
2) pet ownership, ossia il rapporto con l’animale di proprietà e affiliazione, ove la relazione diviene un progetto di vita in comune e pertanto si devono bilanciare le diverse componenti di relazione ossia creare un equilibrio tra le diverse dimensioni;
3) pet partnership, ove uomo e animale lavorano insieme - come nel rapporto tra operatore di zooantropologia applicata e il suo animale - e pertanto vi deve essere un accordo totale o di partnership dove la relazione diviene integrazione e i due si rappresentano come un’unica entità.

Dimensionare al meglio significa pertanto:
a) nella pet relationship: individuare le dimensioni coerenti con l’obiettivo di beneficialità referenziale del progetto e, di conseguenza, istruire le attività adeguate per implementarle;
b) nella pet ownership: bilanciare le diverse componenti e costruire un equilibrio relazionale tra l’animale e il nucleo affiliativo che lo ospita;
c) nella pet partnership: costruire un percorso di integrazione e di accordo performativo implementando le dimensioni collaborative tra animale e pet partner.

L’analisi dimensionale è pertanto “il problema” della zooantropologia applicata, tenendo conto che dimensioni differenti danno prodotti referenziali diversi e strutture affiliative assai differenti. Pertanto in zooantropologia applicata non solo si mettono in concreto le acquisizioni dell’indagine teorica ma si sviluppa nel modo corretto la produttività referenziale attraverso la configurazione di relazione, esattamente come in zootecnia si sviluppa la produttività performativa attraverso lo sviluppo delle vocazioni-attitudini.


8) Il metodo in zooantropologia applicata

La zooantropologia è pertanto una disciplina in tutto e per tutto concreta che lavora sulla relazione uomo-animale e lo fa in un modo specifico, ossia con peculiari criteri, leve e strumenti di intervento e applicazione. Possiamo pertanto parlare di “fondamenti della zooantropologia applicata” (o Canone di zooantropologia applicata) centrati sulla definizione:
1) di un ruolo referenziale specifico attribuito all’alterità animale,
2) di una struttura configurabile alla relazione uomo-animale.

Il metodo zooantropologico si basa quindi sulla configurazione della relazione (definizione delle dimensioni da implementare) al fine di mettere a disposizione non una referenzialità generica ma ben definiti “specifici referenziali”. Non viene perciò prescritta in modo aspecifico una relazione con il non-umano ma una particolare configurazione di relazione capace di sviluppare specifici referenziali utili per i due partner di relazione. Il metodo zooantropologico si basa pertanto sull’individuazione:
a) degli specifici referenziali relativi alle diverse configurazioni di relazione e in particolare alle singole dimensioni di relazione;
b) delle leve che consentono di configurare una relazione al fine di rendere disponibili particolari specifici referenziali.

La zooantropologia ha dato il via a un’autentica rivoluzione grazie ai concetti di referenza animale e di indirizzo dimensionale della relazione. Un momento centrale nell’ufficializzazione del metodo zooantropologico è stato l’estensione nel 2002 del documento Carta Modena, Carta dei Valori e dei Principi sulla Pet Relationship, dove si è chiaramente rilevato il ruolo attivo, soggettivo e di partnership, dell’animale nelle attività di zooantropologia applicata e parimenti si è sottolineato che il contributo beneficiale deriva dalla relazione ed è di tipo referenziale. Ora, al di là di ogni valutazione circa le attività di ordine zootecnico che hanno una loro specificità applicativa, quando parliamo di attività educative e assistenziali che hanno nell’animale il loro centro referenziale ci riferiamo a un ordine di attività che implementano un processo relazionale e che si sostanziano nel processo relazionale stesso. In tal senso qualunque intervento che possa compromettere lo statuto di soggettività o far decadere tale statuto porta a inficiare l’intervento o può divenire addirittura compromissorio per il fruitore stesso del servizio educativo-assistenziale. Zootecnia e zooantropologia si occupano di ambiti differenti della partnership uomo-animale perché istituiscono ruoli differenti dell’animale all’interno dell’attività. In zootecnia abbiamo l’utilizzo e la messa a punto di qualità performative al fine di utilizzare le prestazioni dell’animale per ottenere dei benefici per l’uomo. In zooantropologia abbiamo la costruzione di un evento relazionale che va configurato in modo tale da sviluppare benefici referenziali per entrambi i partner. Pertanto qualunque ibridazione tra i due domini di attività è da considerarsi dannosa – soprattutto per quanto concerne le attività zooantropologiche – per questo motivo non si devono mai includere nelle filiere zootecniche gli animali coinvolti nelle attività zooantropologiche (come peraltro stabilito nell’articolo 5 di Carta Modena) ma altresì sarebbe da evitare un’attività mista (zootecnica e zooantropologica) da parte della stessa struttura anche con filiere separate. Gli ambiti applicativi della zooantropologia riguardano due campi di attività:
1) l’area consulenziale o servizi volti a favorire i processi affiliativi e di integrazione sociale dell’animale nell’ecumene;
2) l’area interventistica o servizi volti a utilizzare il portato referenziale della relazione con l’animale a scopo beneficiale.

Per quanto concerne l’area 1 possiamo chiaramente distinguere due ambiti generali di attività: 1a) l’ambito dei servizi di consulenza alla pet-ownership, a sua volta suddivisibile nei servizi di formazione della pet-ownership (training) e di correzione della pet-ownership (sistemica); 2a) l’ambito dei servizi di integrazione sociale dell’animale o zooantropologia urbana. Per quanto concerne l’area 2 possiamo chiaramente distinguere due ambiti generali di attività: 2a) l’ambito dei servizi di referenza a scopo educativo, suddivisibile a sua volta nei servizi formativi, disciplinari, didattici, rieducativi; 2b) l’area dei servizi di referenza a scopo assistenziale, suddivisibile a sua volta nei servizi di benessere, integrazione, emendazione, coadiuvanza.
In tutte queste aree di attività l’approccio zooantropologico si discosta nettamente da quello tradizionale perché:
a) basato sull’istituzione relazionale,
b) applicato alla relazione,
c) realizzato attraverso la relazione,
d) fondato sul contributo referenziale.

Orbene una stessa attività – per esempio il pet training o la pet therapy – può essere realizzata con l’approccio tradizionale o con quello zooantropologico: la differenza è rilevante, a tal punto che è corretto ritenerli due servizi in tutto e per tutto differenti. Di certo lo sviluppo di una comunità di professionisti (veterinari, psicologi, educatori, pet trainer) che operano secondo l’approccio zooantropologico sta modificando il profilo della richiesta-proposta con cui il mercato stesso si trova a doversi confrontare. Credo che nei prossimi anni sarà sempre più chiara e riconoscibile la differenza tra chi opera con il metodo zooantropologico (relazionale-referenziale) e chi è rimasto a coordinate performative, surrogatorie e di utilizzo dell’animale. La zooantropologia ha modificato il modo di guardare l’animale e di fondarne la presenza nella società umana onde favorire e allargare i processi di partnership e far conoscere il valore sociale di questo rapporto. Le trasformazioni metodologiche impresse dalla zooantropologia non sono intuitive, vanno conosciute perché si discostano notevolmente dai concetti tradizionali di utilizzo performativo. Non vi è dubbio d’altro canto che questa trasformazione sia in linea con le direttrici etiche e scientifiche che leggono il rapporto uomo-animale attraverso focali di rispetto del carattere di senzienza, riconoscimento della diversità, valorizzazione della partnership. Pertanto se è vero che la zooantropologia parte da un suo statuto epistemico intorno al concetto di referenza animale, è altrettanto vero che esiste un milieu di contiguità e coerenza con le ricerche in bioetica animale e nelle scienze cognitive animali, anche queste tese a riconoscere un ruolo attivo all’alterità animale.

sabato 26 aprile 2008

ASTROLOGIA EVOLUTIVA

di Lidia Fassio


L'Astrologia è una materia complessa che presuppone la conoscenza di un vero e proprio linguaggio: quello dei simboli.
Infatti, l’astrologia, riunisce in sè il simbolismo planetario con quello psicologico ed introduce pian piano alla lettura del tema natale, vera e propria mappa della psiche di una persona che permette di comprendere le potenzialità, il vissuto in termini soggettivi (e non oggettivi), le aspettative, le forze che sono in gioco e il progetto vitale; è un vero e proprio strumento di lavoro che può accompagnare a capire piu' in profondità se' stessi mettendo in evidenza le difficoltà che si possono incontrare nel viaggio verso la scoperta di sé e le potenzialità che invece possono accompagnare il proprio cammino nonché la comprensione dei punti difficili.

Fin dai tempi del Dr. Jekyll e Mr. Hyde l'uomo ha percepito di avere svariate sfaccettature all'interno della sua personalità: la psiche sembra essere un grande diamante che riflette luci diverse in grado anche di lasciare del tutto sconcertato l'ignaro soggetto che si vede mosso ed agito da forze interiori che appaiono incontrastabili.
Il grande Stevenson anticipò con il suo bellissimo romanzo quello che la psicanalisi avrebbe poi reso palese attraverso i due capostipiti Freud e Jung.
Stevenson ipotizzò nel suo romanzo due personalità indipendenti in lotta all'interno di un individuo ed in grado di lacerarlo profondamente.
Più avanti nel tempo, Roberto Assagioli - fondatore della psicosintesi - ipotizzò che possiamo ritrovare molte " sub personalità" all'interno di un individuo anche se spesso le stesse non sono integrate in quello che comunemente chiamiamo il senso dell’IO.
Gli esseri umani non nascono con un senso di identità già formato; i bambini lavorano a lungo per crearlo e così, nel lungo percorso educativo, molte cose di se' sono illuminate e quindi integrate nella coscienza e nell'IO, altre sono modificate o de-formate ed altre ancora, purtroppo, sono rimosse e cadono nel gran calderone dell'inconscio dove non perdono di forza, ma cominciano ad esercitare un potere sottile e conturbante al di fuori della coscienza, creando interferenze nelle direzioni che l'IO vorrebbe dare alla vita.

Tuttavia, proprio la psicologia del profondo ci insegna che noi abbiamo un Sé interiore che ha un grande potere unificante e che conosce perfettamente il nostro progetto per cui sa esattamente che cosa dobbiamo diventare e si incaricherà per così dire di attirare nella vita del soggetto quelle esperienze che possono portarlo sulla strada della conoscenza della sua "vera identità.
Il nostro SE’ tuttavia, per un lungo periodo, è una parte che sembra celata all'interno poiché sfugge alla coscienza che non la riconosce ed anzi, si comporta prima come se non esistesse e, in seguito, come se fosse una parte antagonista; ciononostante sarà proprio da questa parte che possiamo chiamare "centro - cuore" che scaturiranno quegli stimoli diretti ad orientare l'uomo verso il conoscere e il conoscersi di più.

Gli stimoli possono essere estremamente intensi, suggestivi ed affascinanti, ma possono essere anche inquietanti e creare molte contraddizioni: in tutti i casi avranno sempre un unico scopo che è quello di spingerci a guardarci dentro, a cercare di comprendere da dove scaturisce quel materiale che sembra rivelare una vastità che contrasta fortemente con il senso di limite e di definizione dell'IO.
Questa fase è quella in cui noi sembriamo invertire la tendenza iniziale che spingeva verso il mondo esterno; infatti, avviene una sorta di richiamo che ci affascina e ci spinge a percorrere le strade suggerite dalle immagini interne che emergono attraverso i sogni e attraverso forti conflitti che non possono essere ignorati.

Questi momenti sono quelli in cui simbolicamente noi ci mettiamo in viaggio - è il viaggio dell'Eroe - che si mette in moto per cercare la sua strada che consiste nel cercare l'altra parte di sé, quella che da segni di esistere ma che non è ancora manifesta; il viaggio ha anche lo scopo di comprendere e di carpire il senso della vita e del progetto del SE' ; il viaggio non è facile in se' - comporta una vita intera - e di sicuro non è facile comprendere attraverso quali vie dobbiamo inoltrarci per vivere al meglio le nostre potenzialità senza cadere nell'illusione di cambiare o di tradire ciò che siamo alla base.

Sappiamo bene che da un seme di mela non potrà mai nascere un pero tuttavia, noi umani proprio in virtù della libertà d’azione e di una gran presunzione di sapere, troppo spesso nasciamo meli e vogliamo diventare peri.
Altre volte, la scarsa fiducia nelle possibilità ci porta ad adeguarci a modelli che non ci appartengono e che finiscono per appiattirci su una serie di maschere che finiranno per deprivarci di ogni significato fino a non riconoscerci più e ad avere vere e proprie crisi di identità.


L'astrologia evolutiva / psicologica si pone come disciplina che può avvalersi di tutte le potenzialità della materia più antica in assoluto (l'astrologia) unendo al tempo stesso le conoscenze della psicologia e di altre discipline umanistiche quali il mito, l'analogia e il simbolismo.
L'astrologia evolutiva-psicologica, definita anche astrologia umanistica, si pone così tra le tante discipline di autoconoscenza.
Essa, infatti, si interessa essenzialmente del "seme"; lungi infatti dall'idea - troppo spesso comune ma fortemente erronea - che l’astrologia si interessi della conoscenza del futuro e che possa pre-vedere quel che accadrà ad una persona; questo infatti ipotizzerebbe la mancanza di libero arbitrio e l'idea che l’uomo sia in realtà una marionetta in mano a qualcosa o qualcuno che abbia il potere di dirigerlo e di determinarlo.

Questo, a mio avviso, è quanto di più deleterio e dannoso per l'uomo; credere di non avere un libero arbitrio, favorisce per lo più l'idea di poter sfuggire alle scelte e alle conseguenti responsabilità che il senso di libertà comporta.
Lo studio dell'astrologia evolutiva / umanistica e psicologica allontana da questa visione e accompagna a percepire i sottili legami che l'uomo ha con ciò che lo circonda e, soprattutto, con l'universo di cui è parte; conduce per mano a comprendere che noi nasciamo con un determinato potenziale e che proprio questo dovrà essere sviluppato e ci ricorda altresì che ciò che noi faremo di questo potenziale dipenderà dalla nostra capacità di metterci in gioco, dall'idea che noi abbiamo della vita, dal significato che daremo al nostro vissuto e dalla voglia di affrontare ciò che all'interno, sembra non rispondere ai nostri desideri o progetti coscienti.

Questo non nega la nostra ereditarietà biologica e psichica, per cui è anche vero che, sulla base di queste due istanze, noi ci svilupperemo secondo delle linee guida che sembrano essere intrinseche alla nascita ma, è altrettanto vero che molto di ciò che noi saremo dipenderà dal nostro particolare modo di mischiare questo potenziale e di portarlo ad esprimersi al massimo o al minimo e dipenderà altresì dal modo particolare con cui interpreteremo la realtà che, altro non è, se non il personale modo con cui vediamo e leggiamo i fatti e gli eventi della vita.

Il tema natale letto attraverso gli occhi dell'astrologia evolutiva / umanistica, diventa un modello energetico che è il riflesso di un modello più allargato e più grande. Universale.

Il tema natale è dunque la mappa del modello che si è organizzato dentro la nostra psiche in cui sono rintracciabili tutti i simboli a partire dall'Io (Sole) con tutte le funzioni indispensabili per il suo sviluppo (cognitive - affettive - affermative, ecc.).
Partendo dai concetti base della psicologia sappiamo anche che l'IO non è nient'altro che il riflesso o la parte esterna di quel centro profondo e misterioso che si chiama SE' che cercherà di portare all'integrazione di tutte le funzioni dentro l'IO affinché il soggetto in questione possa sentire di essere parte di un' unità e di una totalità.

Sappiamo che la coscienza, nel suo processo di strutturazione ha dovuto discriminare, accogliere alcuni contenuti e respingerne altri e il tema natale nella sua particolare combinazione tra le varie funzioni rappresenta esattamente il "seme" di tutto ciò e riflette quella precisa organizzazione giungendo a evidenziare le difficoltà che si sono incontrate nella strutturazione e in quali momenti della vita determinati fattori (archetipi) si sono costellati e in quali altri si attiveranno per dare alla coscienza un'opportunità di riconoscerli e di integrarli.

Sappiamo anche che la psiche e l'inconscio usano un linguaggio simbolico, e l'astrologia altro non è che una delle tante chiavi di letture di questo modello simbolico e del particolare modo in cui si è miscelato al nostro interno.
Gli strumenti che l'astrologia usa, pianeti - segni e case, sono semplicemente simboli che rappresentano le linee basilari di sviluppo di un’individualità; il tema natale è il riflesso in piccolo di ciò che accade in grande (è il così sopra così sotto degli antichi); ognuno di noi riflette dunque qualcosa che sta nel cielo e nel suo seme di base e questa può essere definita la sua essenza unica e speciale.

In questo il tema natale si rivela qualcosa di profondamente utile per l'individuo perché puo' fornire una chiave di lettura di ciò che potenzialmente si è e di quale è il progetto che dovremo in qualche modo portare a termine e conseguire alla fine della nostra vita.
Per questo sembra un "viaggio", perché la vita non è nient'altro che un cammino verso la scoperta e il riappropriarci di ciò che potenzialmente era già presente alla nascita ma che, nel percorso d’educazione e d’integrazione con il collettivo, abbiamo dovuto trasformare e spesso ignorare.

Il viaggio non è nient'altro che la nostra individuazione termine coniato da Jung per indicare il processo che porta all'integrazione di tutti gli aspetti della personalità che prima tendevano a muoversi in modo incoerente e caotico, sotto la grande regia dell'IO.

Ovviamente in tutto questo non vi è nulla d’esoterico, nulla di nascosto e nulla di magico. Il tema natale è una lettura a cui tutti possono giungere imparando a conoscere il linguaggio simbolico e imparando a decodificare i vari ingredienti che sono in esso contenuti sotto forma di simboli.


da http://www.eridanoschool.it/

mercoledì 23 aprile 2008

ABISSI DI UNA DONNA


Hai toccato il mio cuore
una lacrima scende

Posso capire il tuo dolore
fino a quel dove
la vita ti ha condotta
fino alla via
che al bivio ti ha indotta
a scegliere amore invece che morte
a scegliere di vivere oltre la sorte


di Chiara Inesia Sampaolesi


JENNIFER LOPEZ - SOLA

Dime porque te me vas y nada puedo hacer
Que pecado cometi para marcharte asi, de mi
Se que esta es la ultima vez que me veras y te vere

Ya no es facil olvidar, perdi la oportunidad
No me puedo perdonar, sigo mi camino

Y sigo sola, conmigo caminando a solas
Mi mundo se derrumba todo
Me queda seguir, esperar y cambiar y llorar y dejarlo todo
Quitarme el llanto de mis ojos,
Alimentando esta ilusion y soportando este dolor

Caminar por las calles y ver
Que las cosas no pueden volver
Ver la gente a mi lado pasar
Sin que puedan y quieran pensar

Y tal vez sea una nueva estacion
Que me pone de nuevo en el rol
protagonico fin de terror
con el miedo de la involuntad

De mirarme y querer escapar
De creer y volver a caer
Del delirio de la decepcion
y esta vez disparaste a matar

Ya no es facil olvidar, perdi la oportunidad
No me puedo perdonar, sigo mi camino

[Repetir Coro]

Sola, Sola
Siguiendo sola

[Repetir Coro]

JENNIFER LOPEZ - QUE HICISTE

Ayer los dos soñábamos con un mundo perfecto
Ayer a nuestros labios les sobraban las palabras
Porque en los ojos nos espiábamos el alma
y la verdad no vacilaba en tu mirada

Ayer nos prometimos conquistar el mundo entero
Ayer me juraste que este amor sería eterno
Por que una vez equivocarse es suficiente
Para aprender lo que es amar sinceramente

¿Que hiciste? Hoy destruiste con tu orgullo una esperanza
Hoy empañaste con tu furia mi mirada
Borraste toda nuestra historia con tu rabia
Y confundiste tanto amor que te entregaba
Con un permiso para así romperme el alma

¿Que Hiciste? Nos obligaste a destruir las madrugadas
Y nuestras noches las ahogaron tus palabras
Mis ilusiones acabaron con tus farsas
Se te olvidó que era el amor lo que importaba
Y con tus manos derrumbaste nuestra casa

Mañana que amanezca un día nuevo en mi universo
Mañana no veré tu nombre escrito entre mis versos
No escucharé palabras de arrepentimiento
Ignorare sin pena tu remordimiento

Mañana olvidaré que ayer yo fui tu fiel amante
Mañana ni siquiera habrá razones para odiarte
Yo borraré todos tus sueños en mis sueños
Que el viento arrastre para siempre tus recuerdos

¿Que Hiciste? Hoy destruiste con tu orgullo una esperanza
Hoy empañaste con tu furia mi mirada
Borraste toda nuestra historia con tu rabia
Y confundiste tanto amor que te entregaba
Con un permiso para así romperme el alma

¿Que Hiciste? Nos obligaste a destruir las madrugadas
Y nuestras noches las ahogaron tus palabras
Mis ilusiones acabaron con tus farsas
Se te olvido que era el amor lo que importaba
Y con tus manos derrumbaste nuestra casa

. . . . . .
Y confundiste tanto amor que te entregaba
Con un permiso para así romperme el alma

¿Que Hiciste? Nos obligaste a destruir las madrugadas
Y nuestras noches las ahogaron tus palabras
Mis ilusiones acabaron con tus farsas
Se te olvido que era el amor lo que importaba
Y con tus manos derrumbaste nuestra casa...


Che Hai Fatto

Entrambi ieri sognavamo un mondo perfetto
dalle nostre labbra ieri uscivano le parole
perchè guardandoci negli occhi ci spiavamo l'anima
e la verità non vacillava nel tuo sguardo

ieri c'eravamo promessi di conquistare l'intero mondo
ieri tu mi avevi giurato che quest'amore
sarebbe durato in eterno
perchè sbagliarsi una volta è sufficiente
per imparare che cosa significa amare veramente

che hai fatto? oggi hai distrutto la speranza con il tuo orgoglio
oggi hai oscurato il mio sguardo con la tua furia
hai cancellato tutta la nostra storia con la tua collera
e hai confuso il tanto amore che ti stringeva
con un permesso per distruggermi l'anima

che hai fatto? ci hai obbligati a distruggere le albe
e le nostre notti le hanno cancellate le tue parole
le mie illusioni hanno fatto terminare le tue farse
hai dimenticato che era l'amore la cosa che importava
e con le tue mani hai distrutto la nostra casa

domani sarà un nuovo giorno nel mio universo
non vedrò il tuo nome scritto nei miei versi
non ascolterò le parole di pentimento
ignorerò senza dolore il tuo rimorso

domani dimenticherò che ieri sono stata la tua amante fedele
domani non ci saranno nemmeno motivi per odiarti
cancellerò tutti i tuoi sogni dai miei
che il vento trascini via per sempre i tuoi ricordi

che hai fatto? oggi hai distrutto la speranza con il tuo orgoglio
oggi hai oscurato il mio sguardo con la tua furia
hai cancellato tutta la nostra storia con la tua collera
e hai confuso il tanto amore che ti stringeva
con un permesso per distruggermi l'anima

che hai fatto? ci hai obbligati a distruggere le albe
e le nostre notti le hanno cancellate le tue parole
le mie illusioni hanno fatto terminare le tue farse
hai dimenticato che era l'amore la cosa che importava
e con le tue mani hai distrutto la nostra casa

e hai confuso il tanto amore che ti stringeva
con un permesso per distruggermi l'anima

che hai fatto? ci hai obbligati a distruggere le albe
e le nostre notti le hanno cancellate le tue parole
le mie illusioni hanno fatto terminare le tue farse
hai dimenticato che era l'amore la cosa che importava
e con le tue mani hai distrutto la nostra casa




PIMPINELA - OLVIDAME Y PEGA LA VUELTA

ELLA :
HACE DOS AÑOS Y UN DÍA QUE VIVO SIN ÉL,
HACE DOS AÑOS Y UN DÍA QUE NO LO HE VUELTO A VER,
Y AUNQUE NO HE SIDO FELIZ
APRENDÍ A VIVIR SIN SU AMOR,
PERO AL IR OLVIDANDO
DE PRONTO UNA NOCHE VOLVIÓ...
QUIÉN ES ?

EL : SOY YO...

ELLA : QUÉ VIENES A BUSCAR ?

EL : A TI...

ELLA : Y ES TARDE...

EL : POR QUÉ ?

ELLA : PORQUE AHORA SOY YO
LA QUE QUIERE ESTAR SIN TI...
POR ESO VETE,
OLVIDA MI NOMBRE,
MI CARA, MI CASA,
Y PEGA LA VUELTA

EL : JAMÁS TE PUDE COMPRENDER...

ELLA :
VETE, OLVIDA MIS OJOS, MIS MANOS,
MIS LABIOS, QUE NO TE DESEAN

EL : ESTÁS MINTIENDO YA LO SÉ...

ELLA : VETE, OLVIDA QUE EXISTO,
QUE ME CONOCISTE, Y NO TE SORPRENDAS,
OLVIDA DE TODO QUE
TÚ PARA ESO TIENES EXPERIENCIA...

EL : EN BUSCA DE EMOCIONES
UN DÍA MARCHÈ
DE UN MUNDO DE SENSACIONES QUE NO ENCONTRE,
Y AL DESCUBRIR QUE ERA TODO
UNA GRAN FANTASIA VOLVI,
PORQUE ENTENDI QUE QUERIA LAS COSAS
QUE VIVEN EN TI...

ELLA : ADIOS...

EL : AYUDAME...

ELLA : NO HAY NADA MAS QUE HABLAR...

EL : PIENSA EN MI...

ELLA : ADIOS...

EL : POR QUÉ ?

ELLA : PORQUE AHORA SOY YO
LA QUE QUIERE ESTAR SIN TI...
POR ESO VETE, OLVIDA MI NOMBRE,
MI CARA, MI CASA,
Y PEGA LA VUELTA

EL : JAMÁS TE PUDE COMPRENDER...

ELLA : VETE, OLVIDA MIS OJOS,
MIS MANOS, MIS LABIOS,
QUE NO TE DESEAN

EL : ESTAS MINTIENDO YA LO SE...

ELLA : VETE, OLVIDA QUE EXISTO,
QUE ME CONOCISTE,Y NO TE SORPRENDAS,
OLVIDA DE TODO
QUE TU PARA ESO TIENES EXPERIENCIA...


DIMENTICAMI E VATTENE

LEI:
SONO DUE ANNI E UN GIORNO CHE VIVO SENZA DI LUI
SONO DUE ANNI E UN GIORNO CHE NON LO VEDO PIÙ
E ANCHE SE NON SONO STATA FELICE,
HO IMPARATO A VIVERE SENZA IL SUO AMORE
PERÒ MENTRE LO DIMENTICAVO,
IMPROVVISAMENTE UNA NOTTE TORNÒ:
...CHI È?

LUI: SONO IO

LEI: CHE VIENI A CERCARE

LUI: TE…

LEI: ORMAI È TARDI

LUI: PERCHÉ?

LEI:
PERCHÉ ADESSO SONO IO
QUELLA CHE VUOLE STARE SENZA DI TE
PER QUESTO VATTENE,
DIMENTICA IL MIO NOME,
LA MIA FACCIA, LA MIA CASA,
E TORNA DA DOVE SEI VENUTO

LUI: NON TI HO MAI CAPITA

LEI:
VATTENE, DIMENTICA I MIEI OCCHI, LE MIE MANI,
LE MIE LABBRA, CHE NON TI DESIDERANO

LUI: STAI MENTENDO LO SO!

LEI: VATTENE, DIMENTICA CHE ESISTO, CHE MI HAI CONOSCIUTO, E NON TI SORPRENDERE,
DIMENTICA TUTTO
CHE TU IN QUESTE COSE HAI ESPERIENZA…

LUI: IN CERCA DI EMOZIONI
UN GIORNO ME NE SONO ANDATO
IN UN MONDO DI SENSAZIONI CHE NON HO TROVATO
E ORA SCOPRENDO CHE ERA TUTTO
UNA GRAN FANTASIA SONO TORNATO
PERCHÉ HO CAPITO CHE VOGLIO LE COSE
CHE VIVONO IN TE…

LEI: ADDIO…

LUI: AIUTAMI

LEI: NON ABBIAMO ALTRO DA DIRCI

LUI: PENSAMI

LEI: ADDIO…

LUI: PERCHÉ?

LEI: PERCHÉ ORA SONO QUELLA
CHE VUOLE STARE SENZA DI TE,
PER QUESTO VATTENE,
DIMENTICA IL MIO NOME,
LA MIA FACCIA, LA MIA CASA
E TORNA DA DOVE SEI VENUTO

LUI: NON TI HO MAI CAPITA

LEI: VATTENE, DIMENTICA I MIEI OCCHI,
LE MIE MANI, LE MIE LABBRA,
CHE NON TI DESIDERANO

LUI: STAI MENTENDO, LO SO

LEI: VATTENE, DIMENTICA CHE ESISTO,
CHE MI HAI CONOSCIUTA, E NON TI SORPRENDERE, DIMENTICA TUTTO,
CHE TU IN QUESTE COSE ESPERIENZA…




martedì 22 aprile 2008

JERRY RIVERA - VUELA MUY ALTO

Se que has dado de ti
lo que has podido
y a veces no se engaña el corazon
por un capricho
este no era el lugar
ni nuestro destino
mejor no ser amantes
si tan solo ser amigos
no hay quien pueda contar
las piedras de un rio
ni la arena del mar
ni lo que yo perdido
si un dia fuiste aquella
la dueña de mi alma
hoy tiengo que ser fuerte y
dejar que tu te vayas

Aunque me *arranques la piel*
vuela muy alto
no te detendre
y cada quien que tome su camino
aunque me arranques la piel
vuela muy lejos
dios sabe porque, porque
nos despedimos
por el tu bien y el mio

Y si te digo adios
no es porque quiera
te dejo ser feliz
aunque muera de pena

Aqui no hay pecadores
ni hay delito
no era tu obligacion amarme
te lo he dicho
gracias por tanto y todos
te llevare muy dentro
tu has sido lo mejor
y yo de nada me arrepiento

Aunque me arranques la piel
vuela muy alto
no te detendre
y cada quien que tome su camino
aunque me arranques la piel
vuela muy lejos
dios sabe porque, porque
nos despedimos
por el tu bien y el mio

Y si te digo adios
no es porque quiera
te dejo ser feliz
aunque muera de pena

Adios, adios y que te vaya bien
adios, adios y que te vaya bien
y a mi me queda esos dias
para recordar
adios, adios, te vas
adios, adios, y que te vaya bien
es duro yo lo se
y aunque no siendo mas
se que ambos lo intentamos
lo quisimos y aqui estamos
dejandonos en un adios la vida

Aunque me arranques la piel
vuela muy alto
no te detendre
y cada quien que tome su camino
aunque me arranques la piel
vuela muy lejos
dios sabe porque, porque
nos despedimos
por el tu bien y el mio

Y si te digo adios
no es porque quiera
te dejo ser feliz
aunque muera de pena
adios, adios y que te vaya bien


VOLA IN ALTO

So che hai dato di te
quello che hai potuto
ed a volte non si inganna il cuore
per un capriccio
questo non era il posto
né il nostro destino
meglio non essere amanti
se tanto si può solo essere amici
non c'è chi possa contare
le pietre di un fiume
né la sabbia del mare
né quello che io ho perso
se tu sei stata un giorno
la padrona della mia anima
oggi devo essere forte e
lasciare che tu vada via

Benché mi spezzi il cuore *(strappi la pelle)
vola in alto
non ti fermerò
e che ognuno prenda la sua strada
benché mi spezzi il cuore *
vola lontano
dio sa perché, perché
ci salutiamo
per il bene tuo ed il mio

E se ti dico addio
non è perché lo voglio
ti lascio essere felice
benché muoia di pena

Qui non ci sono peccatori
né c'è delitto
non eri obbligata ad amarmi
te l'ho detto
grazie per tutto quanto
ti porterò dentro me
tu sei stata la cosa migliore
ed io non mi pento di niente

Benché mi spezzi il cuore *
vola in alto
non ti fermerò
e che ognuno prenda la sua strada
benché mi spezzi il cuore *
vola lontano
dio sa perché, perché
salutiamoci
per il bene tuo ed il mio

E se ti dico addio
non è perché lo voglio
ti lascio essere felice
benché muoia di pena

Addio, addio e che ti vada bene
addio, addio e che ti vada bene
ed a me rimangono quei giorni
da ricordare
addio, addio, tu vai via
addio, addio, e che ti vada bene
è duro e io lo so
e benché non saremo più insieme
so che entrambi lo abbiamo tentato
e anche voluto, e qui
la vita lasceremo in un addio


ROSARIO FLORES - COMO QUIERES QUE TE QUIERA

COMO QUIERES QUE TE QUIERA
COMO QUIERES, SI NO ESTAS AQUI'
COMO QUIERES QUE TE QUIERA
SI NO TE DAS A MI

SUBIRE' MONTAÑAS
Y AL RIO LLORARE'
Y MI CORAZON ME GRITA
ME APRISIONA SIN QUERER

RIT
COMO QUIERES QUE TE QUIERA
SI NO TE TENGO AQUI'
COMO QUIERES QUE TE QUIERA
TAN LEJOS YA DE MI
COMO QUIERES QUE TE QUIERA
SI NO TE DAS A MI
COMO QUIERES QUE TE QUIERA
SI SE' QUE TE PERDI'

SOÑARE' QUE EL VIENTO
ME LLEVA A DONDE ESTES
Y QUE EL TIEMPO GRITA
MI APRISIONA SIN QUERER

YO VIVIERE'
CANTANDO A LAS ESTRELLAS
POR EL DIA AQUEL
YO SOÑARE'
QUE LA VIDA ME ENTREGA
LO QUE TUVE AYER

RIT
COMO QUIERES QUE TE QUIERA
SI NO TE TENGO AQUI'
COMO QUIERES QUE TE QUIERA
TAN LEJOS YA DE MI
COMO QUIERES QUE TE QUIERA
SI NO TE DAS A MI
COMO QUIERES QUE TE QUIERA
SI SE' QUE TE PERDI'

Y MI CORAZON ME GRITA
ME APRISIONA SIN QUERER

Y MI CORAZON ME GRITA
ME APRISIONA SIN QUERER

YO VIVRE'
CANTANDO A LAS ESTRELLAS
POR EL DIA AQUEL
YO SOÑARE'
QUE LA VIDA ME ENTREGA
LO QUE TUVE AYER

RIT
COMO QUIERES QUE TE QUIERA
SI NO TE TENGO AQUI'
COMO QUIERES QUE TE QUIERA
TAN LEJOS YA DE MI
COMO QUIERES QUE TE QUIERA
SI NO TE DAS A MI
COMO QUIERES QUE TE QUIERA
SI SE' QUE TE PERDI'


COME VUOI CHE IO TI AMI

COME VUOI CHE TI AMI
COME LO VUOI, SE NON SEI QUI
COME VUOI CHE TI AMI
SE NON TI CONCEDI A ME

SCALERO' MONTAGNE
E PIANGERO' AL FIUME
E IL MIO CUORE MI GRIDA
MI IMPROGIONA SENZA AMORE

RIT.
COME VUOI CHE TI AMI
SE NON TI HO QUI
COME VUOI CHE TI AMI
GIA' COSI' LONTANO DA ME
COME VUOI CHE TI AMI
SE NON TI CONCEDI A ME
COME VUOI CHE TI AMI
SE SO DI AVERTI PERSO

SOGNERO' CHE IL VENTO
MI PORTA DOVE SEI TU
E CHE IL TEMPO GRIDA
MI IMPRIGIONA SENZA AMORE

IO VIVRO'
CANTANDO ALLE STELLE
DI QUEL GIORNO
IO SOGNERO'
CHE LA VITA MI DEDICA
QUELLO CHE HO AVUTO IERI

RIT.
COME VUOI CHE TI AMI
SE NON TI HO QUI
COME VUOI CHE TI AMI
GIA' COSI' LONTANO DA ME
COME VUOI CHE TI AMI
SE NON TI CONCEDI A ME
COME VUOI CHE TI AMI
SE SO DI AVERTI PERSO

E IL MIO CUORE GRIDA
MI IMPRIGIONA SENZA AMORE

E IL MIO CUORE GRIDA
MI IMPRIGIONA SENZA AMORE

IO VIVRO'
CANTANDO ALLE STELLE
DI QUEL GIORNO
IO SOGNERO'
CHE LA VITA MI DEDICA
QUELLO CHE HO AVUTO IERI

RIT.
COME VUOI CHE TI AMI
SE NON TI HO QUI
COME VUOI CHE TI AMI
GIA' COSI' LONTANO DA ME
COME VUOI CHE TI AMI
SE NON TI CONCEDI A ME
COME VUOI CHE TI AMI
SE SO DI AVERTI PERSO


LA FENICE

La Fenice, spesso nota anche con l'epiteto di Araba Fenice, era un uccello mitologico noto per il fatto di rinascere dalle proprie ceneri dopo la morte. Gli antichi egizi furono i primi a parlare del Bennu, che poi nelle leggende greche divenne la Fenice. Uccello sacro favoloso, aveva l'aspetto di un'aquila reale e il piumaggio dal colore splendido, il collo color d'oro, rosse le piume del corpo e azzurra la coda con penne rosee, ali in parte d'oro e in parte di porpora, un lungo becco affusolato, lunghe zampe e due lunghe piume — una rosa e una azzurra — che le scivolano morbidamente giù dal capo (o erette sulla sommità del capo). In Egitto era solitamente raffigurata incoronata con l'Atef o con l'emblema del disco solare.

Associazione con animali reali

Molti storici si domandano se sia esistita la fenice, facendo riferimento alle opere dei poeti romani, considerandola nulla di più di un prodotto della fantasia dei seguaci del Dio-Sole. Alcuni, tuttavia, credono che il mito possa essere basato sull'esistenza di un vero uccello che viveva nella regione allora governata dagli Assiri.

Gli antichi la identificavano col fagiano dorato, tanto che un imperatore romano si vantò di averne catturato uno.

Nella Bibbia, con l'ibis o col pavone; altri, con l'airone rosato o l'airone cinereo (Arda cinerea) — basandosi sull'abitudine degli antichi egizi di festeggiare il ritorno del primo airone cinereo sopra il salice sacro di Heliopolis, considerato evento di buon auspicio, di gioia e di speranza.

Il volatile più idoneo a rappresentarla è la Garzetta: una specie di uccello affine all'airone, di cui numerosi esemplari vennero sterminati solo poiché i loro ciuffi costituivano le "aigrettes" usate per confezionare i pennacchi coi quali si adornavano le dive. Come l'airone che spiccava il volo sembrava mimare il sorgere del sole dall'acqua, la Fenice venne associata col sole e rappresentava il BA ("l'anima") del dio del sole Ra , di cui era l'emblema — tanto che nel tardo periodo il geroglifico del Bennu veniva impiegato per rappresentare direttamente Ra.

Quale simbolo del sole che sorge e tramonta, la Fenice presiedeva al giubileo regale. Ed essendo colei che ri-sorge per prima, venne associata al pianeta Venere — che appunto veniva chiamato "la stella della nave del Bennu-Asar", e menzionata quale Stella del Mattino nell'invocazione:

«Io sono il Bennu, l'anima di Ra, la guida degli Dei nel Duat [l'oltretomba]. Che mi sia concesso entrare come un falco, ch'io possa procedere come il Bennu, la Stella del Mattino.»

E come l'airone, che s'ergeva solitario sulla sommità delle piccole isole di roccia che sbucavano dall'acqua dopo la periodica inondazione del Nilo che ogni anno fecondava la terra col suo limo, il ritorno della Fenice annunciava un nuovo periodo di ricchezza e fertilità. Non a caso era considerata la manifestazione dell'Osiride risorto, e veniva spesso raffigurata appollaiata sul Salice, albero sacro ad Osiride. Per questa stessa ragione venne riconosciuta quale personificazione della forza vitale, e — come narra il mito della creazione — fu la prima forma di vita ad apparire sulla collina primordiale che all'origine dei tempi sorse dal caos acquatico.

Si dice infatti che il Bennu abbia creato sé stesso dal fuoco che ardeva sulla sommità del sacro salice di Heliopolis. Proprio come il sole, che è sempre lo stesso e risorge solo dopo che il sole "precedente" è tramontato, di Fenice ne esisteva sempre un unico esemplare per volta. Da qui l'appellativo "semper eadem": sempre la medesima.

Era sempre un maschio, e viveva in prossimità di una sorgente d'acqua fresca all'interno di una piccola oasi nel deserto d'Arabia, un luogo appartato, nascosto ed introvabile. Ogni mattina all'alba faceva il bagno nell'acqua e cantava una canzone così meravigliosa che il dio del sole arrestava la sua barca (o il suo carro, nella mitologia greca) per ascoltarla.

Talvolta visitava Heliopolis (la città del sole, di cui era l'uccello sacro), e si posava sulla pietra ben-ben: l'obelisco all'interno del santuario della città (nota originariamente col nome di "Innu", che significa "la città dell'obelisco", da cui il nome biblico On).

La morte e resurrezione

Dopo aver vissuto per 500 anni (secondo altri 540, 900, 1000, 1461/ 1468, o addirittura 12954/ 12994), la Fenice sentiva sopraggiungere la sua morte, si ritirava in un luogo appartato e costruiva un nido sulla cima di una quercia o di una palma.

Qui accatastava ramoscelli di mirto, incenso, sandalo, legno di cedro, cannella, spigonardo, mirra e le più pregiate piante balsamiche, con le quali intrecciava un nido a forma di uovo — grande quanto era in grado di trasportarlo (cosa che stabiliva per prove ed errori). Infine vi si adagiava, lasciava che i raggi del sole l'incendiassero, e si lasciava consumare dalle sue stesse fiamme mentre cantava una canzone di rara bellezza.

Per via della cannella e della mirra che bruciano, la morte di una fenice è spesso accompagnata da un gradevole profumo. Dal cumulo di cenere emergeva poi una piccola larva (o un uovo), che i raggi solari facevano crescere rapidamente fino a trasformarla nella nuova Fenice nell'arco di tre giorni (Plinio semplifica dicendo "entro la fine del giorno"), dopodiché la nuova Fenice, giovane e potente, volava ad Heliopolis e si posava sopra l'albero sacro,

«cantando così divinamente da incantare lo stesso Ra»

- peraltro si dice anche che dalla gola della Fenice giunse il soffio della vita (il Suono divino, la Musica) che animò il dio Shu.

Ma nella antica tradizione riportata da Erodoto, la fenice risorge ogni 500 anni, come riportato da Cheremone, filosofo stoico iniziato ai misteri egizi che parla di un , da Orapollo vissuto sotto Zenone (474-491) che -come sappiamo da Suida- diresse la scuola egizia a Menouthis, presso Alessandria, da Eliano di Preneste; la rinascita della fenice cela per tutti questi autori un periodo astronomico connesso alla resurrezione di Osiride. Già nel Capitolo 125 del Libro dei Morti, Osiride afferma di rinascere come fenice nella città di On (Heliopolis) sede di miti cosmologici, contestualmente infatti, Capitolo 17 del Libro dei Morti, Osiride si identifica con il Duplice Leone nei nomi di Ieri e Domani, ovvero Osiride e Ra, simbolo esoterico preposto alle rinascite dei cicli solari. Orapollo palesa senza veli che la fenice è una delle manifestazioni del sole come interpretato da Sbordone che riporta una grafia tarda del nome di Osiride costituita da un occhio e uno scettro. Da qui l'occhio della fenice inteso come l'illuminazione consapevole di Osiride che rinascendo incarna sempre secondo Orapollo, intrinseco alla fiamma del della fenice riportato in un frammento di Cheremone...

La storia

Storicamente parlando, viene menzionata per la prima volta in un libro nell'esodo (VIII secolo AC). Uno dei primi resoconti dettagliati ce lo fa lo storico greco Erodoto circa due secoli dopo:

«Un altro uccello sacro era la Fenice. Non l'ho mai vista coi miei occhi, se non in un dipinto, poiché è molto rara e visita questo paese (così dicono ad Heliopolis) soltanto a intervalli di 500 anni: accompagnata da un volo di tortore, giunge dall'Arabia in occasione della morte del suo genitore, portando con sé i resti del corpo del padre imbalsamati in un uovo di mirra, per depositarlo sull'altare del dio del Sole e bruciarli. Parte del suo piumaggio è color oro brillante, e parte rosso-regale (il cremisi: un rosso acceso). E per forma e dimensioni assomiglia più o meno ad un'aquila.»

Proprio a questo resoconto di Erodoto, dobbiamo l'erronea denominazione di "Araba Fenice". Ovidio, nelle Metamorfosi, ci narra della fenice, uccello che giunto alla veneranda età di 500 anni, termine ultimo della vita concessagli, depone le sua membra in un nido di incenso e cannella costruito in cima ad una palma o a una una quercia, e spira. Dal suo corpo nasce poi un'altra fenice che, divenuta adulta, trasportò il nido nel tempio di Iperione, il Titano padre del dio Sole..

Ovidio dice: «... si ciba non di frutta o di fiori, ma di incenso e resine odorose. Dopo aver vissuto 500 anni, con le fronde di una quercia si costruisce un nido sulla sommità di una palma, ci ammonticchia cannella, spigonardo e mirra, e ci s'abbandona sopra, morendo, esalando il suo ultimo respiro fra gli aromi. Dal corpo del genitore esce una giovane Fenice, destinata a vivere tanto a lungo quanto il suo predecessore. Una volta cresciuta e divenuta abbastanza forte, solleva dall'albero il nido (la sua propria culla, ed il sepolcro del genitore), e lo porta alla città di Heliopolis in Egitto, dove lo deposita nel tempio del Sole.»

Eliopoli, dove i sacerdoti di Ra conservavano gli archivi dei tempi passati. In quest'ottica, la Fenice era il nuovo profeta/messia che "distruggeva" gli antichi testi sacri per far risorgere una nuova Religione dai resti della precedente.

Tacito arricchisce la storia, scrivendo che la giovane fenice solleva il corpo del proprio genitore morto fino a farlo bruciare nell'altare del Sole. Altri scrittori descrivono come la fenice morta si trasformi in un uovo, prima di essere portata verso il Sole.

Il Fisiologo, primo bestiario cristiano, cita il favoloso uccello:

IX) La fenice
C'è un altro volatile che è detto fenice.
Nostro Signore Gesù Cristo ha le sua figura, e dice nel Vangelo:


«Posso deporre la mia anima, per poi riprenderla una seconda volta».

Per queste parole i Giudei si erano scandalizzati e volevano lapidarlo. C'è dunque un uccello, che vive in alcune zone dell'India, detto fenice. Di lui il Fisiologo ha detto che, trascorsi cinquecento anni della sua vita, si dirige verso gli alberi del Libano, e si profuma nuovamente entrambe le ali con diversi aromi. Con alcuni segni si annuncia al sacerdote di Eliopoli nel mese nuovo, Nisan o Adar, cioè nel mese di Famenòth, o di Farmuthì. Dopo che il sacerdote ha avvertito questo segnale, entra e carica l'altare di sarmenti di legno.

Quindi il volatile arriva, entra nella città di Eliopoli, pieno di tutti gli aromi che sprigionano entrambe le sue ali; ed immediatamente vedendo la composizione di sarmenti che è stata fatta sull'altare, si alza e, circondandosi di profumi, un fuoco si accende da solo e da solo si consuma. Poi, un altro giorno, giunse un sacerdote e, dopo aver bruciato la legna che aveva collocato sopra l'altare, trovò qui, osservando, un modesto vermicello, che emanava un buonissimo odore. Poi, al secondo giorno, trovò un uccellino raffigurato. Il terzo il sacerdote tornò a vedere e notò che l'uccellino era divenuto un uccello fenice. Una volta salutato il sacerdote, volò via e si diresse al suo luogo antico. Se invero questo uccello ha il potere di morire e di nuovo di rivivere, nel modo in cui gli uomini stolti si adirano per la parola di Dio, tu hai il potere come vero uomo e vero figlio di Dio, hai il potere di morire e di rivivere. Dunque come ho detto prima, l'uccello prende l'aspetto del nostro Salvatore, che scendendo dal cielo, riempì le sue ali dei dolcissimi odori del Nuovo e dell'Antico Testamento, come egli stesso disse: «Non sono venuto ad eliminare la legge, ma ad adempierla». E di nuovo: «Così sarà ogni scrittore dotto nel regno dei cieli, offrendo rose nuove ed antiche dal suo tesoro»

La lunga vita della Fenice e la sua così drammatica rinascita dalle proprie ceneri, ne fecero il simbolo della rinascita spirituale, nonché del compimento della Trasmutazione Alchemica — processo Misterico equivalente alla rigenerazione umana ("Fenice" era il nome dato dagli alchimisti alla pietra filosofale).

Già simbolo della Sapienza divina (cfr. Giobbe 38 verso 36), intorno al IV secolo d.C. venne identificata con Cristo presumibilmente per via del fatto che tornava a manifestarsi 3 giorni dopo la morte, e come tale venne adottata quale simbolo paleocristiano di immortalità, resurrezione e vita dopo la morte.

Dante Alighieri così descrive la Fenice:

che la fenice more e poi rinasce,
quando al cinquecentesimo appressa
erba né biada in sua vita non pasce,
ma sol d'incenso lacrima e d'amomo,
e nardo e mirra son l'ultime fasce.


(Inferno XXIV, 107-111)

Al giorno d'oggi sopravvive il modo di dire "essere una fenice", per indicare qualcosa di cui non si conosce l'uguale, introvabile, un esemplare unico e soprattutto inafferrabile, secondo il ben noto detto di Metastasio ("Demetrio", atto II, scena III):

«Come l'araba Fenice, che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa».

Tale espressione venne ripresa pari pari da Lorenzo Da Ponte nel libretto di Così fan tutte musicato da Mozart, per affermare l'impossibilità di trovare la fedeltà nelle donne:

«È la fede delle femmine come l'araba Fenice, che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa».

Astronomia

La Fenice (abbreviazione: Phe) è anche una costellazione dell'Emisfero Sud, vicino a Tucana (il Tucano) e Sculptor. Fu così chiamata da Johann Bayer nel 1603, ed è costituita da 11 stelle. Assai curiosamente, questa costellazione è universalmente stata riconosciuta come uccello, ed è stata chiamata Grifone, Aquila, Giovane Struzzo (dagli arabi) e Uccello di Fuoco (dai cinesi).

La fenice nel mondo

Vi sono controparti della Fenice in praticamente tutte le culture: sumera, assira, inca, azteca, russa (l'uccello di fuoco), quella dei nativi americani (Yel), e in particolare nella mitologia cinese (Feng), indù e buddista (Garuda), giapponese (Ho-oo o Karura), ed ebraica (Milcham):

In Cina

«Un uccello mitologico, che non muore mai, la fenice vola lontano, avanti a noi, osservando con occhi acuti il paesaggio circostante e lo spazio distante. Rappresenta la nostra capacità visiva, di raccogliere informazioni sensorie sull'ambiente che ci circonda e sugli eventi che si dipanano al suo interno. La fenice, con la sua bellezza assoluta, crea un'incredibile esaltazione unita al sogno dell'immortalità».

The Feng Shui Handbook, feng shui Master Lam Kam Chuen

I cinesi hanno un gruppo di quattro creature magiche (detti "I quattro Spiritualmente-dotàti") che presiedono i destini della Cina, e rappresentano le forze primordiali degli animali piumati, corazzati, pelosi e con squame. Questi quattro animali sacri sono: Bai Hu (la tigre) o Ki-Lin (l'unicorno) per l'Ovest; Gui Xian (la tartaruga o il serpente) per il Nord; Long (il drago) per l'Est; e, per il Sud, Feng (la Fenice) — detto anche Fêng-Huang, Fung-hwang o Fum-hwang.

Rappresentava il potere e la prosperità, ed era un attributo esclusivo dell'imperatore e dell'imperatrice, che erano gli unici in tutta la Cina ad essere autorizzati a portare il simbolo del Feng. Era la personificazione delle forze primordiali dei Cieli, e talvolta veniva rappresentata con la testa e la cresta di fagiano e la coda di pavone (ma siccome i cinesi desideravano dare al Feng i più begli attributi di tutti gli animali, lo raffiguravano con la fronte della gru, il becco dell'uccello selvatico, la gola della rondine, il collo del serpente, il guscio della testuggine, le strisce del drago e la coda di un pesce).

Nel becco portava due pergamene o una scatola quadrata che conteneva i Testi Sacri, e recava iscritte nel corpo le Cinque Virtù Cardinali. Si dice inoltre che la sua canzone contenesse le cinque note della scala musicale cinese, e che la sua coda includesse i cinque colori fondamentali (blu, rosso, giallo, bianco e nero), e che il suo corpo fosse una mistura dei sei corpi celesti (la testa simboleggiava il cielo; gli occhi, il sole; la schiena, la luna; le ali, il vento; i piedi, la terra; e la coda, i pianeti).

Il Feng viene a volte dipinto con una sfera di fuoco che rappresenta il sole, ed è chiamato "l'uccello scarlatto": l'imperatore di tutti gli uccelli. Nato dal fuoco nella "Collina del Falò del Sole", vive nel Regno dei Saggi, che sta ad Est della Cina. Beve acqua purissima e si ciba di bambù. Ogni volta che canta, tutti i galli del mondo l'accompagnano nella sua canzone di cinque note. Appare soltanto in tempi di pace e prosperità, e scompare nei tempi bui. Diversamente dal Benu, il Feng può essere maschio o femmina, e vivere in coppia — coppia che rappresenta la felicità della coppia di sposi. Al concepimento, è il Feng a consegnare l'anima del nascituro nel grembo della madre.

In India

Nella cultura induista e buddista, la Fenice si chiama Garuda.

Ha ali e becco d'aquila, un corpo umano, la faccia bianca, ali scarlatte e un corpo d'oro. È uno dei supremi veggenti d'infinita coscienza. Narra la leggenda indù che Kadru, madre di tutti i serpenti, combatté con la madre di Garuda, imprigionandola. Garuda andò quindi a recuperare del Soma, che lo rese immortale, per liberare sua madre da Kadru. Viṣṇu, colpito da ciò, lo scelse come avatar (l'incarnazione terrestre) o destriero. Comunque, Garuda mantenne un grande odio verso i Naga (la famiglia dei serpenti e dei draghi), e ne ammazzava uno al giorno per pranzo. Poi però un principe buddista gl'insegnò l'astinenza, e Garuda riportò in vita le ossa di molti dei serpenti che aveva ucciso.

In Giappone

In Giappone la Fenice figura col nome di Ho-ho o Karura (storpiatura del nome sanscrito Garuda): è un'enorme aquila sputa fuoco dalle piume dorate e gemme magiche che ne coronano la testa, ed annuncia l'arrivo di una nuova era.

Fra gli ebrei e i cristiani

Nelle leggende ebraiche, la Fenice viene chiamata Milcham. Dopo che Eva mangiò il frutto proibito, divenne gelosa dell'immortalità e della purezza delle altre creature del Giardino dell'Eden — così convinse tutti gli animali a mangiare a loro volta il frutto proibito, affinché seguissero la sua stessa sorte. Tutti gli animali cedettero, tranne la Fenice — che Dio ricompensò ponendola in una città fortificata dove avrebbe potuto vivere in pace per 1000 anni. Alla fine di ogni periodo di 1000 anni, l'uccello bruciava e risorgeva da un uovo che veniva trovato nelle sue ceneri.

La fenice è cantata da numerosi poeti classici, come Ovidio (Metamorfosi XV), che scrisse che ogni 500 anni essa si rigenerava istantaneamente dalla proprie ceneri, in un nido di piante aromatiche che essa stessa costruisce.

I padri della Chiesa accolsero la tradizione ebraica e fecero della fenice il simbolo della resurrezione della carne. La sua immagine ricorre frequentemente nell'iconografia delle catacombe.

Dante Alighieri la cita in una similitudine dell'Inferno (XXIV 106-115).

Paralleli con altre figure leggendarie

Quetzalcoatl, dio uccello (o serpente piumato) dell'America del Nord (Messico), aveva il dono di morire e risorgere; grande sovrano e portatore di civiltà. Da un'iscrizione Maya del 987 d.C.: «Arrivò Kukulkán, serpente piumato, a fondare un nuovo stato». I toltechi ne parlano come di un re-sacerdote di Tollan, che morì nello Yucatan, forse arso su un rogo (come la Fenice).

Wakonda, uccello del tuono degli indiani Dakota. Per i Sioux, "grande potere superiore", fonte di potere e saggezza, divinità generosa che sostiene il mondo e illumina lo sciamano.

Si dice inoltre

... che la Fenice, dal momento che si crea da sé, non può avere alcun Maestro.
... che, essendo un uccello unico (ne esiste soltanto una per volta), è un essere solitario.
... che è ancora più solitario per via del fatto che non si riproduce.
... che può vivere centinaia d'anni, ma sempre da sola, senza nessuno dei suoi simili.
... che, pur essendo lo scopo della sua vita quello di riportare la felicità sulla Terra, lei stessa ha dovuto rinunciare alla sua felicità personale e alla possibilità di amare, dal momento che una Fenice non può avere una compagna.

Altre curiosità

Quattro piramidi furono dedicate alla Fenice:

quella di Cheope, presso Giza, detta "dove il sole sorge e tramonta";
ad Abusir, Sahure, "splendente come lo spirito Fenice";
Neferikare, "dello spirito Fenice"
Reneferef, "divina come gli spiriti Fenice".
Una interessante spiegazione ornitologica per il mito della Fenice, è che alcuni grandi volatili sbattono le ali sul fuoco per uccidere i parassiti col fumo. La Fenice, nel suo aspetto distruttore, viene a liberare il mondo dal male — i parassiti, appunto — bruciandolo col Fuoco Spirituale.

La fenice nei fenomeni di massa

Una fenice di nome Fawkes (nella versione inglese originale, in italiano si chiama Fanny) appare nella saga di Harry Potter come animale leggendario che appartiene al preside della scuola di Hogwarts, Albus Silente. Si può ipotizzare che sia di sesso maschile (è indicata con il pronome maschile in inglese, mentre in italiano è neutra poiché non si fa riferimento a maschio o femmina). Nella saga fa riferimento ad altri poteri straordinari della fenice: è in grado di sollevare pesi immensi e le sue lacrime hanno potere curativo. Albus Silente sostiene che le fenici siano animali da compagnia estremamente fedeli. Nel secondo libro Fanny aiuta Harry nella Camera dei Segreti, dando il cappello magico all'eroe dal quale esce la spada di Godric Grifondoro . Inoltre guarisce con le lacrime Harry, quasi ucciso dal veleno del Basilisco. Inoltre nel sesto libro, "Il principe mezzosangue", Fanny se ne va per la morte di Silente.
Il Pokémon Ho-Oh è ispirato alla figura della fenice nella mitologia giapponese.
Nel manga&anime Saint Seiya (I Cavalieri dello Zodiaco nella versione italiana) uno dei protagonisti, Ikki (Phoenix nella versione italiana), indossa l'armatura della Fenice che, una volta distrutta, è in grado di ricomporsi da sola in pochi minuti, ogni volta più forte e resistente di prima (proprio come la fenice che risorge dalle proprie ceneri).
Nel manga&anime B't X, il B't Je T'aime (Tempest nella versione italiana) è ispirato alla fenice della mitologia cinese e, come quest'ultima, dopo la morte è in grado di rinascere ogni volta più potente di prima (pur essendo una macchina).
In videogiochi come Final Fantasy la Fenice è un essere il quale se invocato è in grado, attraverso le sue fiamme (che intanto danneggiano il nemico), di ridare vita ai personaggi e anche allo stesso invocatore. Le sue piume vengono appunto usate per resuscitarli dalla morte.
Nell'universo Marvel, con particolare riferimento alle avventure degli X-Men, Fenice è un'entità cosmica con un potere praticamente illimitato. Si è manifestata la prima volta possedendo il corpo di Jean Grey, e successivamente ha posseduto diversi altri personaggi. Nella miniserie Il canto di guerra di Fenice[1] è stata imprigionata apparentemente per sempre nel cuore adamantino delle Naiadi di Stepford.


Note
1. ^ X-Men: Phoenix Warsong nn. 1-5, novembre 2006-marzo 2007; prima ed. it. X-Men Deluxe nn. 150-151, Panini Comics, ottobre-novembre 2007

Bibliografia
Umberto Capotummino. L'occhio della Fenice - Sapienza e divinazione dall'antica Cina all'antico Egitto. Palermo, Sekhem, 2005. ISBN 88-902054-0-7
R. van Den Broek. The Myth of the Phoenix - According to Classical and Early Christian Traditions. E.J.Brill, Leiden, 1972.
Silvia Fabrizio-Costa (a cura di). La Fenice : mito e segno (simposio dell’università di Caen). Peter Lang, Bern, 2001. ISBN 3-906767-89-2
Françoise Lecocq. « Les sources égyptiennes du mythe du phénix », L’Egypte à Rome (simposio dell’università di Caen), éd. F. Lecocq, Cahiers de la Maison de la Recherche en Sciences Humaines, n° 41, Caen, 2005, ISSN 1250-6419 (p211-264).
Francesco Zambon, Alessandro Grossato. Il mito della fenice in Oriente e in Occidente. Venezia, Marsilio Editori, 2004. ISBN 88-317-8614-8


da http://it.wikipedia.org/wiki/Fenice

venerdì 18 aprile 2008

ACNE GIOVANILE

DOMANDA:

Cara Chiara, eccomi qui! A mio figlio che ha quasi 14 anni, e' venuta l'acne, la dermatologa pochi giorni fa gli ha prescritto alcuni prodotti che puntualmente gli hanno causato un arrossamento nel collo e nel petto. Il pediatra ha detto che e' una reazione allergica, mi viene da pensare, cavoli ma cosa c'e' in queste medicine? Comunque pensavo di sospenderli. In piu' ha anche tantissima forfora nei capelli, sembra pero' che lo shampoo che gli ha prescritto qualche cosina faccia. Che ne pensi?
Grazie mille

Elisabetta



RISPOSTA:


Ciao Elisabetta,

beh, il mio punto di visto è quello della medicina naturale, dunque direi che potresti rivolgerti ad un bravo omeopata.

L'acne è normale a quell'età, rappresenta la difficoltà di integrare il fuoco ormonale che si sveglia in quel periodo della vita, la sessualità, la passionalità, la difficoltà di esprimersi come si vorrebbe, ecc., è molto importante, a mio avviso non spegnerlo con i classici farmaci convenzionali, ma piuttosto favorire il processo con cure naturali che saranno in grado di aiutarlo ad integrare questa "forza" che ora non è in grado di gestire e domare.

Poi evidentemente lui è molto sensibile e a maggior ragione se certe sostanze chimiche non le tollera è sconsigliato, dal mio punto di vista, continuare su quel versante.
Indubbiamente sta anche vivendo una tensione affettiva in qualche modo, la reazione allergica ne è l'espressione, in particolare con la manifestazione sul petto.

La forfora anche questa potrebbe indicare la voglia e la fretta di cresce, di cambiare, di accelerare certi processi, consiglio anche in questo caso shampi naturali possibilmente, ma un bravo omeopata saprà come intervenire anche su questo aspetto, collegato in un certo senso al primo.

Cari saluti!

Questo è comunque sempre e solo il mio punto di vista, in questo momento.


Chiara Inesia


giovedì 17 aprile 2008

AMORE E COMPASSIONE

Dagli insegnamenti del Mercoledì di Lama Michel

25 Maggio 2006


Le due principali scuole di pensiero Buddista la Hinayana e la Mahayana si differenziano sostanzialmente perché la prima mette al primo posto se stessi, mentre la seconda mette al primo posto gli altri.
Normalmente noi mettiamo sempre al primo posto noi stessi: questo per gli insegnamenti della scuola Mahayana è la principale fonte di sofferenza.
Per il buddismo è molto importante fare la propria esperienza, non aderire solo perché si è sentito dire, ma devo fare la mia esperienza.

Per la Mahayana decentralizzare se stessi e mettere al primo posto gli altri è la principale fonte di felicità.

Se noi mettiamo al primo posto gli altri, senza toglierci noi dal primo posto, anche questo è causa di sofferenza, perché si creano aspettative che verranno deluse. Ad esempio: “Ho fatto tutto questo e alla fine per me non ho niente?”
La maggior parte dei nostri atteggiamenti, se non tutti sono rivolti a conservare e a proteggere il nostro Io, è questo che ci fa soffrire.
Tutta la sofferenza che abbiamo è perché andiamo a ricercare la felicità per noi stessi.

Lottiamo e litighiamo per tante cose, ciò deriva dal fatto che non sappiamo cosa vogliamo; noi facciamo di tutto per la nostra felicità.
Ma spesso facciamo tante cose senza sapere veramente cosa sia queste felicità per cui siamo sempre a cercare qualcosa, ma siamo sempre persi perché non sappiamo bene cosa vogliamo e cerchiamo di qua e di là e non concludiamo niente.

Ecco perché è importante avere chiara la meta da raggiungere, cioè cosa vogliamo e che cosa è la felicità; questo obiettivo però non può essere troppo lontano da noi, ma non dobbiamo neanche essere troppo pessimisti.
Questo volere, questa felicità è in senso interiore e non esteriore.

La natura della nostra mente è la felicità, per questo noi cerchiamo sempre questa felicità e quando non la troviamo la cerchiamo in qualcos’altro, perché sappiamo che questa felicità può esistere.
Dal momento in cui noi abbiamo una meta, allora le nostre azioni vengono fatte in base a questa meta.

Per il Buddismo la meta è l’Illuminazione: vita interiore senza rabbia, gelosia, attaccamento, tristezza, ma una vita piena di amore, compassione, saggezza, equanimità…

Quando noi abbiamo la meta chiara per noi stessi, possiamo desiderare questa meta anche per gli altri; è molto difficile infatti sapere cosa vogliono gli altri se non sappiamo neppure cosa noi vogliamo.
Quando abbiamo chiara la meta: l’illuminazione e voglio la stessa cosa per gli altri allora quello che posso fare è svilupparmi interiormente e aiutare gli altri.

Questa è ciò che viene chiamata Boddicitta: “Possa io, tramite il mio sviluppo interiore aiutare tutti gli esseri viventi.”
Arrivato a questo punto non do più importanza alle piccole cose perché c’è qualcosa di più grande che viene prima.

Mettere prima gli altri di noi con saggezza, ci fa togliere la sofferenza legata a noi stessi per la rabbia, la gelosia, l’invidia, ecc.
Ma dobbiamo rispettare le nostre gambe, non possiamo fare passi troppo grandi, bensì piccoli passi per grandi risultati.

Una delle cose più difficili da sviluppare è il concetto di Amore, della compassione, del gioire della felicità dell’altro (= rigioire) e dell’equanimità.
Creare l’equanimità porta bene anche a noi stessi.
Se una persona mi fa qualcosa dovrei osservarla con cuore aperto e chiedermi: “Cosa ho fatto io per provocare in lei tutto questo? In che situazione si trova quella persona in questo momento?”.
E’ molto importante mettersi nei panni dell’altro e se facciamo ciò ci rendiamo conto che noi avremmo reagito allo stesso modo.

Dovrei mettermi con la mente aperta ad osservare l’altro e chiedermi come mai fa così e poi accettarlo senza giudicarlo e allora invece che rabbia proverò compassione.

Tante volte noi vediamo solo i difetti dell’altro e invece di avere compassione ci arrabbiamo, mentre dovremmo sempre cercare di avere compassione per l’altro.
La compassione è desiderare che l’altro sia libero dalla propria sofferenza.

Si può essere compassionevoli anche in modo duro, non per forza dolce, ma possiamo comunque accettare l’altro per come è e desiderare che si liberi dalla sua sofferenza, se facessimo così saremmo molto più sereni.

Sono i nostri atteggiamenti che ci fanno male.
Gioire per la felicità dell’altro è l’esatto contrario dell’invidia e della gelosia che ci fanno soffrire.
Ciò posso capirlo semplicemente rendendomi conto di cosa mi pesa di più: essere felice per la felicità dell’altro oppure essere geloso?

Queste sono attitudini che ci portano a stare meglio e se noi guadagniamo, guadagnano anche gli altri ci stanno vicino.

Rigioire vuol dire essere felici dal cuore della felicità dell’altro, è il migliore investimento che possiamo fare, perché genera karma positivo con noi stessi.

E’ importante capire quanto ho io di queste attitudini nella mia vita quotidiana e se queste mi fanno del bene o del male. Posso sempre cambiare il modo in cui mi relaziono alle cose.
Quando sono arrabbiato l’idea di non arrabbiarmi può sembrare una sconfitta, ma invece scegliere di non arrabbiarmi è una vera vittoria.
E se incomincio con le piccole cose, poi posso farlo anche con quelle più grosse.

Accettare ciò che mi succede non vuol dire essere passivo, ma trovare la soluzione. Quando c’è una violenza verso di me, prendo atto di come poter uscire da quella situazione, ma comunque dovrei cercare di non arrabbiarmi e provare compassione.
Posso trovare la soluzione giusta senza coinvolgimento emozionale con quella cosa, che non vuol dire scollegare le nostre azioni dalle nostre emozioni.

Per cambiare devo incominciare dalle piccole cose, in quelle grandi è difficile cambiare e quando poi creo l’abitudine nella cose piccole poi posso riuscirci anche per le cose grandi.

L’importante è avere chiarezza sul beneficio che ho da quello, per me e per gli altri.
Ci sono quattro passi per cambiare:

1) sentire = conoscere
2) comprendere = sperimentare
3) meditare = creare l’abitudine
4) realizzare

Se sento e sperimento che reagire in un modo va bene per me allora ci metto lo sforzo per creare l’abitudine, questo significa meditare.
Certamente non posso meditare su qualcosa su cui ho i dubbi, ma se io osservo, imparo e credo davvero in questa cosa, allora posso creare l’abitudine fino a che un giorno verrà in modo del tutto naturale.

Possiamo cambiare il mondo intorno a noi cambiando le nostre attitudini interiori.