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Chiara Inesia


giovedì 17 aprile 2008

AMORE E COMPASSIONE

Dagli insegnamenti del Mercoledì di Lama Michel

25 Maggio 2006


Le due principali scuole di pensiero Buddista la Hinayana e la Mahayana si differenziano sostanzialmente perché la prima mette al primo posto se stessi, mentre la seconda mette al primo posto gli altri.
Normalmente noi mettiamo sempre al primo posto noi stessi: questo per gli insegnamenti della scuola Mahayana è la principale fonte di sofferenza.
Per il buddismo è molto importante fare la propria esperienza, non aderire solo perché si è sentito dire, ma devo fare la mia esperienza.

Per la Mahayana decentralizzare se stessi e mettere al primo posto gli altri è la principale fonte di felicità.

Se noi mettiamo al primo posto gli altri, senza toglierci noi dal primo posto, anche questo è causa di sofferenza, perché si creano aspettative che verranno deluse. Ad esempio: “Ho fatto tutto questo e alla fine per me non ho niente?”
La maggior parte dei nostri atteggiamenti, se non tutti sono rivolti a conservare e a proteggere il nostro Io, è questo che ci fa soffrire.
Tutta la sofferenza che abbiamo è perché andiamo a ricercare la felicità per noi stessi.

Lottiamo e litighiamo per tante cose, ciò deriva dal fatto che non sappiamo cosa vogliamo; noi facciamo di tutto per la nostra felicità.
Ma spesso facciamo tante cose senza sapere veramente cosa sia queste felicità per cui siamo sempre a cercare qualcosa, ma siamo sempre persi perché non sappiamo bene cosa vogliamo e cerchiamo di qua e di là e non concludiamo niente.

Ecco perché è importante avere chiara la meta da raggiungere, cioè cosa vogliamo e che cosa è la felicità; questo obiettivo però non può essere troppo lontano da noi, ma non dobbiamo neanche essere troppo pessimisti.
Questo volere, questa felicità è in senso interiore e non esteriore.

La natura della nostra mente è la felicità, per questo noi cerchiamo sempre questa felicità e quando non la troviamo la cerchiamo in qualcos’altro, perché sappiamo che questa felicità può esistere.
Dal momento in cui noi abbiamo una meta, allora le nostre azioni vengono fatte in base a questa meta.

Per il Buddismo la meta è l’Illuminazione: vita interiore senza rabbia, gelosia, attaccamento, tristezza, ma una vita piena di amore, compassione, saggezza, equanimità…

Quando noi abbiamo la meta chiara per noi stessi, possiamo desiderare questa meta anche per gli altri; è molto difficile infatti sapere cosa vogliono gli altri se non sappiamo neppure cosa noi vogliamo.
Quando abbiamo chiara la meta: l’illuminazione e voglio la stessa cosa per gli altri allora quello che posso fare è svilupparmi interiormente e aiutare gli altri.

Questa è ciò che viene chiamata Boddicitta: “Possa io, tramite il mio sviluppo interiore aiutare tutti gli esseri viventi.”
Arrivato a questo punto non do più importanza alle piccole cose perché c’è qualcosa di più grande che viene prima.

Mettere prima gli altri di noi con saggezza, ci fa togliere la sofferenza legata a noi stessi per la rabbia, la gelosia, l’invidia, ecc.
Ma dobbiamo rispettare le nostre gambe, non possiamo fare passi troppo grandi, bensì piccoli passi per grandi risultati.

Una delle cose più difficili da sviluppare è il concetto di Amore, della compassione, del gioire della felicità dell’altro (= rigioire) e dell’equanimità.
Creare l’equanimità porta bene anche a noi stessi.
Se una persona mi fa qualcosa dovrei osservarla con cuore aperto e chiedermi: “Cosa ho fatto io per provocare in lei tutto questo? In che situazione si trova quella persona in questo momento?”.
E’ molto importante mettersi nei panni dell’altro e se facciamo ciò ci rendiamo conto che noi avremmo reagito allo stesso modo.

Dovrei mettermi con la mente aperta ad osservare l’altro e chiedermi come mai fa così e poi accettarlo senza giudicarlo e allora invece che rabbia proverò compassione.

Tante volte noi vediamo solo i difetti dell’altro e invece di avere compassione ci arrabbiamo, mentre dovremmo sempre cercare di avere compassione per l’altro.
La compassione è desiderare che l’altro sia libero dalla propria sofferenza.

Si può essere compassionevoli anche in modo duro, non per forza dolce, ma possiamo comunque accettare l’altro per come è e desiderare che si liberi dalla sua sofferenza, se facessimo così saremmo molto più sereni.

Sono i nostri atteggiamenti che ci fanno male.
Gioire per la felicità dell’altro è l’esatto contrario dell’invidia e della gelosia che ci fanno soffrire.
Ciò posso capirlo semplicemente rendendomi conto di cosa mi pesa di più: essere felice per la felicità dell’altro oppure essere geloso?

Queste sono attitudini che ci portano a stare meglio e se noi guadagniamo, guadagnano anche gli altri ci stanno vicino.

Rigioire vuol dire essere felici dal cuore della felicità dell’altro, è il migliore investimento che possiamo fare, perché genera karma positivo con noi stessi.

E’ importante capire quanto ho io di queste attitudini nella mia vita quotidiana e se queste mi fanno del bene o del male. Posso sempre cambiare il modo in cui mi relaziono alle cose.
Quando sono arrabbiato l’idea di non arrabbiarmi può sembrare una sconfitta, ma invece scegliere di non arrabbiarmi è una vera vittoria.
E se incomincio con le piccole cose, poi posso farlo anche con quelle più grosse.

Accettare ciò che mi succede non vuol dire essere passivo, ma trovare la soluzione. Quando c’è una violenza verso di me, prendo atto di come poter uscire da quella situazione, ma comunque dovrei cercare di non arrabbiarmi e provare compassione.
Posso trovare la soluzione giusta senza coinvolgimento emozionale con quella cosa, che non vuol dire scollegare le nostre azioni dalle nostre emozioni.

Per cambiare devo incominciare dalle piccole cose, in quelle grandi è difficile cambiare e quando poi creo l’abitudine nella cose piccole poi posso riuscirci anche per le cose grandi.

L’importante è avere chiarezza sul beneficio che ho da quello, per me e per gli altri.
Ci sono quattro passi per cambiare:

1) sentire = conoscere
2) comprendere = sperimentare
3) meditare = creare l’abitudine
4) realizzare

Se sento e sperimento che reagire in un modo va bene per me allora ci metto lo sforzo per creare l’abitudine, questo significa meditare.
Certamente non posso meditare su qualcosa su cui ho i dubbi, ma se io osservo, imparo e credo davvero in questa cosa, allora posso creare l’abitudine fino a che un giorno verrà in modo del tutto naturale.

Possiamo cambiare il mondo intorno a noi cambiando le nostre attitudini interiori.

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