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Chiara Inesia


mercoledì 26 marzo 2008

DAL "CANTO DELLA NOTTE DEI NAVAJO"

Con il cuore colmo di vita e di amore camminerò.

Felice seguirò la mia strada.


Felice invocherò le grandi nuvole cariche d'acqua.


Felice invocherò la pioggia che placa la sete.


Felice invocherò i germogli sulle piante.


Felice invocherò polline in abbondanza.


Felice invocherò una coperta di rugiada.


Voglio muovermi nella bellezza e nell'armonia.


La bellezza e l'armonia siano davanti a me.


La bellezza e l'armonia siano dietro di me.


La bellezza e l'armonia siano sotto di me.


La bellezza e l'armonia siano sopra di me.


Che la bellezza e l'armonia siano ovunque, sul mio cammino.


Nella bellezza e nell'armonia tutto si compie.

COMPLESSO DI EDIPO: UN'ALTRA LETTURA

di Enrico Palumbo

Siamo così abituati e assuefatti alla classica interpretazione del mito di Edipo, che l'idea che il complesso di Edipo possa essere letto differentemente, puo' trovare grandi difficolta' ad essere accettata.
Eppure, come si vedra', non tutti traduciamo il mito allo stesso modo.
Voglio iniziare questo articolo citando subito E. Neumann, l'autore che, dopo l'opera di Jung, ha dato forse il maggior contributo alla Psicologia Analitica:

"ogni pulsione e ogni istinto, ogni tendenza arcaica e ogni tendenza del collettivo puo' allearsi con l'immagine della Grande Madre e opporsi all'io". (nota 1)

Vuol dire che l'io, sviluppandosi e rafforzandosi per affermare il proprio diritto a un'esistenza autonoma, entra inevitabilmente in conflitto con questa "potenza psicologica" che tende a sacrificare il singolo, l'individuo, in nome del gruppo, della collettivita', della specie.
Si deve porre grande attenzione a come l'immagine di questa Grande Madre, onnipotente e terribile nella sua indifferenza all'io, possa arrivare ad assumere dei tratti altamente drammatici e sconvolgenti, come e' rappresentato ad esempio dalle 'Madri' faustiane:

"Mal volentieri ti scopro un alto segreto ... Auguste dee troneggiano in solitudine.Intorno a loro, nessun luogo, e tempo ancor meno.
Parlare di loro ci si sente a disagio.
Sono le Madri!... Dee sconosciute a voi mortali e da noi non volentieri nominate.
Per la loro dimora ti occorre frugar nell'abisso. Colpa tua, se ne abbiamo bisogno! Quale via si prende? Nessuna.Si va in cammino mai percorso, non mai da percorrere; verso il non mai impetrato, non mai da impetrare. Sei pronto? ... Non serrature ne' catenacci da forzare.Ti troverai sbattuto tra le solitudini. Hai tu un concetto del vuoto e della solitudine? ... Ma se anche tu traversassi l'oceano e in esso contemplassi lo sterminato, vedresti pur sempre onda seguire a onda nello stesso raccapriccio del tuo naufragio.Sempre sarebbe un qualche cosa. Vedresti bene i delfini solcare la verde distesa del mare placato, e passar nuvole e sole e luna e stelle.Niente invece vedrai, in quella lontananza eternamente vuota. Non sentirai il passo che tu muovi; niente di saldo troverai dove poter posare......... A te!Prendi questa chiave. ... La chiave riconoscera' al fiuto il giusto luogo.Seguila nella discesa: ti condurra' alle Madri... Sprofonda dunque! Ma anche potrei dire: sali! E' la medesima cosa.Fuggi da quel che e' nato verso i liberi dominii delle immagini! Godi di quel che da lungo tempo piu' non esiste.E' tumulto che s'avvolge come in fuga di nembi. Brandisci la chiave e tienli da te lontani! ... Un tripode ardente ti fara' infine manifesto, che tu sei giunto nel profondo del piu' profondo abisso.Alla sua luce, vedrai le Madri. Le une seggono, altre stan dritte e vanno: cosi' come ca'pita.Formazione e trasformazione, gioco eterno della mente eterna, circonfuse dalle immagini di tutte le creature.Esse non ti vedono, perche' vedono schemi soltanto. Fa cuore allora, perche' il pericolo e' grande. E muovi dritto su quel tripode e toccalo con la chiave!"(nota 2).

Dopo questa breve premessa si puo' provare a dare una lettura del mito di Edipo sotto una luce diversa: l'aspetto ostile della Grande Madre e' rappresentato dalla Sfinge e da Laio che, entrambi, vogliono impedire a Edipo di avere accesso all'aspetto benevolo e creativo del femminile che e' rappresentato dalla citta' da governare (Tebe) e dalla donna da fecondare.
Cio' che rende Edipo un eroe mancato e' l'avere realmente posseduto sua madre naturale (Giocasta) e non simbolicamente quella transpersonale, quella archetipica.
Anche E. Neumann interpreta la vicenda di Edipo in termini di combattimento con la Grande Madre:

"Cio' che fa di Edipo un eroe uccisore del drago e' la vittoria sulla sfinge, che e' la nemica antichissima, il drago dell'abisso, la potenza della madre terra nel suo aspetto uroborico.
E' la Grande Madre che governa con la sua legge di morte un mondo in cui non esiste ancora alcun padre, minacciando di distruzione ogni uomo che non sappia rispondere alla sua domanda.
L'enigma fatale che essa propone, la cui risposta e': "L'uomo", puo' esser risolto solo dall'eroe.
Solo lui risponde al destino vincendolo, e lo vince perche' con la sua risposta fa rispondere il destino stesso.
La sua risposta eroica, con la quale diventa un uomo, e' la vittoria dello spirito, il trionfo dell'uomo sul caos.
Cosi' Edipo, vincendo la sfinge, diventa un eroe uccisore del drago, e in quanto tale, come ogni eroe, commette incesto con la madre.
Commettere l'incesto e vincere la sfinge sono la stessa cosa, sono due facce del medesimo processo, Superando la paura della donna, penetrando nell'abisso, nel grembo originario e nel pericolo dell'inconscio, egli si congiunge trionfante con la Grande Madre, che castra i giovani maschi, e con la sfinge, che li uccide.
In quanto eroe egli rappresenta il maschile che e' pervenuto a possedere una propria esistenza, che con la sua autonomia e' in grado non solo di affrontare la potenza del femminile e dell'inconscio, ma anche di procreare con lei.
Qui, dove il giovane diventa uomo, dove l'incesto attivo diventa l'incesto generatore, il maschile si congiunge col suo opposto femminile e determina la nascita di un terzo elemento; si produce una sintesi in cui per la prima volta femminile e maschile si equilibrano unendosi in un tutto.
L'eroe non e' solo il vincitore della madre; egli uccide anche il suo aspetto Femminile-Terribile e libera il suo aspetto fecondo e benefico."(nota 3)

La liberazione della citta' dal mostro che ne impedisce la prosperita', il governo di essa e l'accoppiamento fecondo con la regina, sono tutte azioni che rappresentano l'accrescimento del potere dell'io, l'espansione dei suoi domini inconsci e l'aumento delle capacita' di rapporto con il mondo femminile benigno e generativo.
Ma l'aver commesso realmente incesto trasforma quello che sarebbe stato un percorso eroico in una disfatta per l'io: Tebe e' colpita dalla pestilenza, Giocasta si uccide, ed Edipo?
Edipo segue il destino che colpisce chi perde la battaglia con la Grande Madre, e cosi' regredisce allo stadio di figlio, subisce cioe' la castrazione, tale infatti si puo' considerare simbolicamente l'accecamento.
D'altronde anche la cecita' di Fenice, tutore di Achille, e' considerata dai greci come una metafora dell'impotenza.(nota 4)
Con che cosa poi Edipo si acceca? Con un fermaglio della madre-sposa: se ce ne fosse bisogno il mito ci spiega ancora meglio, quasi esplicitamente, che e' l'aspetto fallico del femminile il nemico dell'eroe, dell'io che vuole crescere, e che lo vuole ridotto all'impotenza, castrato.
Quindi il complesso di castrazione puo' si' essere esercitato, elicitato, dal padre, ma in quanto incarnazione degli aspetti distruttivi, punitivi dell'inconscio piu' profondo.

Istinti, pulsioni, non affrontati, non elaborati, non assimilati sono cosi' vissuti ad un livello piu' alto di coscienza in maniera deformata.
Il nocciolo rimane la separazione, l'individuazione. La tragedia di Edipo e' la tragedia di chi non e' riuscito a differenziarsi, a trovare se' stesso e quindi esistere come individuo.
Il Drago, battuto la prima volta sotto le arcaiche sembianze della Sfinge, si ripresenta sotto le sembianze di Giocasta e racconta la storia dell'invasione della Grande Madre nel rapporto dell'uomo col femminile.
Sposando la madre egli si preclude la possibilita' di essere "altro" dal padre e quella di essere uomo e non piu' bambino.
Edipo vive intrappolato nelle spire del drago materno, vittima del potere castrante della madre fallica, non puo' avere ne' un regno ne' una stirpe (i figli Eteocle e Polinice sono anche suoi fratelli), il suo rapporto con il femminile e' infecondo, egli infatti vaga in compagnia non della sposa ma della figlia (Antigone).
La sua stessa morte e' riconducibile all'aspetto terribile della Grande Madre, sono infatti le Erinni, le feroci divinita' femminili, che lo spingono alla morte.
Dunque, piu' l'io si emancipa, piu' vive la Grande Madre anche come nemica e terribile.

Voglio solo brevemente accennare al fatto che la differenza tra questa impostazione e quella classica e' sostanziale, quest'ultima infatti, come e' noto, utilizza la leggenda di Edipo per affermare che tutti nella propria fantasia infantile siamo stati almeno una volta parricidi, sarebbe cioe' il padre personale e non la madre archetipica, il "drago" dell'eroe.
Freud scrive a proposito di Edipo:

"Il suo destino ci commuove soltanto perche' sarebbe potuto diventare anche il nostro, perche' prima della nostra nascita l'oracolo ha decretato la medesima maledizione per noi e per lui.Forse a noi tutti era dato in sorte di rivolgere il primo impulso sessuale alla madre, il primo odio e il primo desiderio di violenza contro il padre: i nostri sogni ce ne danno la convinzione.Il re Edipo, che ha ucciso suo padre Laio e sposato sua madre Giocasta, e' soltanto l'appagamento di un desiderio della nostra infanzia."(nota 5)

Anche Rank, seguendo la traccia freudiana, vede nell'eroe il "punitore" del padre:

"I miti non sono creati certo dall'eroe, tanto meno dal giovane eroe, bensi', come sappiamo ormai, da un popolo di adulti.
Ne e' prova lo stupore che sorge alla comparsa dell'eroe, ed il popolo puo' fantasticare sul suo passato straordinario solo se ha avuto origine in un'infanzia altrettanto meravigliosa.
Ma i singoli creatori (nei quali dobbiamo distinguere l'idea non definita dell'anima popolare) di miti hanno modellato questa singolare infanzia dell'eroe, partendo dalla conoscenza della loro stessa infanzia.
E attribuendo all'eroe la loro stessa storia infantile, si identificano con esso e in certo modo dicono «anch'io sono stato un simile eroe». Cosi' il vero eroe del racconto e' l'io e nell'eroe riconosce se' stesso, allorquando l'io regredisce a quel tempo in cui per avere compiuto il suo primo atto eroico, la rivolta contro il padre, era un eroe egli stesso.
L'io ritrova il proprio eroismo solo nell'infanzia e per questo motivo deve attribuire all'eroe la sua stessa ribellione. Attua questo tramite motivi e materiale del suo romanzo infantile e lo applica all'eroe.
L'adulto quindi crea i miti per mezzo del fantasticare retroattivo sull'infanzia, attribuisce all'eroe la sua stessa storia infantile. Tutto questo processo tende a giustificare la rivolta infantile contro il padre compiuta dai singoli individui del popolo.
Cosi' il mito, oltre a giustificare la ribellione dell'eroe contro il padre, contiene anche la giustificazione del singolo per la sua rivolta nei riguardi del padre.
Questa l'ha cosi' angustiato nell'infanzia che egli non e' divenuto in seguito un eroe.
Ora puo' giustificarsi facendo appello al fatto che il padre stesso gli ha fornito motivo di ostilita', e nella stessa fantasia compare, come abbiamo visto, anche un sentimento affettuoso verso il padre."(nota 6)

L'eroe cosi' soddisferebbe il nostro desiderio omicida, liberandoci in piu' dalla colpa, considerato che l'ucciso e' quasi sempre meritevole della sua fine.
Personalmente, mentre ho difficolta' a riscontrare desideri francamente sessuali verso la propria madre naturale, ho molte piu' occasioni di trovare grandi tensioni verso la madre simbolica, collettiva e fusionale, in contrasto con la spinta individualizzante e creativa.
Il combattimento dell'eroe, cioe' dell'io, ha un significato sovrapersonale e la figura contro la quale e' diretta la sua lotta non puo' essere considerata un genitore personale del romanzo familiare, ma un simbolo dietro cui si nasconde lo stesso archetipo materno, il cui aspetto divorante viene avvertito dall'io come tendenza dell'inconscio ad inghiottire la coscienza.
Cioe' si instaura una lotta per la conquista di maggiori quantita' di libido, una lotta per superare l'inerzia della libido che e' simboleggiata dal drago materno che imprigiona l'io nelle sue spire, una lotta per permettere alla coscienza di appropriarsi di maggiori porzioni di inconscio, una lotta che richiede l'emergenza, l'attivazione, dell'archetipo dell'eroe.
Cio' che l'io sperimenta come distruttivita' e' lo strapotere energetico della Grande Madre accoppiato alla debolezza della propria struttura conscia.
Questa opposizione dell'io alla Grande Madre si traduce appunto nell'atteggiamento combattivo dell'eroe mitologico che si oppone attivamente contro il "drago".


Note
1 E.Neumann, Le origini della coscienza, Astrolabio, Roma, 1978, p. 261
2 C.G.Jung, La libido, simboli e trasformazioni, GTE Newton, Roma, 1993, p. 187
3 E.Neumann, Op. cit., p.151
4 R.Graves, I Miti Greci, Longanesi, Milano, 1983, p. 596
5 S.Freud, L'interpretazione dei sogni, (1899), in Opere, Vol. III, Boringhieri, Torino, 1966, p. 244
6 O.Rank, Il mito della nascita dell'eroe, Sugarco, Milano, 1987, p. 93

QUAND'ERO PICCOLA - Mina

Quand'ero piccola
dormivo sempre al lume di una lampada
per la paura della solitudine
paura che non mi ha lasciato mai
nemmeno adesso che sei qui
e dormi accanto a me
ma sento che i tuoi sogni ti allontanano
perché per quelli che si amano
non c'è, non c'è
lo stesso sogno da sognare in due.

Una donna è più sola
quando l'uomo che ha vicino
non riesce a leggere
nei suoi pensieri.
Quand'ero piccola
dormivo sempre al lume di una lampada
per non restare sola
adesso io vorrei, vorrei
sognare quello che stai sognando tu.

Una donna è più sola
quando l'uomo che ha vicino
non riesce a leggere
nei suoi pensieri.
Quand'ero piccola
quand'ero piccola
quand'ero piccola.
E dormi accanto a me
ma sento che i tuoi sogni ti allontanano
perché per quelli che si amano
non c'è, non c'è
lo stesso sogno da sognare in due


RAINBOW - Elisa

You are not an enemy anymore
there's a ray of light upon your face now
I can look into your eyes
and I never thought
it could be so simple

You can hear the music with no sounds
you can heal my heart without me knowing
I can cry in front of you
'cause you're not afraid to face my weakness

When we'll wake up
some morning rain
will wash away our pain
when we'll wake up
some morning rain
will wash away our pain

'Cause it never began for us
it'll never end for us
'Cause it never began for us
it'll never end for us

You're not my enemy anymore
there's a ray of light upon your face now
it will be all new again
there is something else
just 'round the corner

So when we'll wake up
some morning rain
will wash away our pain
when we'll wake up
some morning rain
will wash away our pain

'Cause it never began for us
it'll never end for us
no it never began for us
it'll never end for us

I was looking for a place to stay
are you looking for a place to stay

No it never began for us
It'll never end for us
No it never began for us
It'll never end for us
No it never began for us
It'll never end for us
No it never began for us
It'll never end for us



ARCOBALENO

Non sei più un nemico
C’è un raggio di luce sul tuo viso ora
posso guardare nei tuoi occhi
E non ho mai pensato
Che sarebbe stato così semplice
Puoi sentire la musica senza suoni
Puoi guarire il mio cuore senza che io sappia
che posso piangere davanti a te
perchè non hai paura di affrontare la mia debolezza

Quando ci sveglieremo
una pioggia di mattina
laverà via il nostro dolore
Quando ci sveglieremo
una pioggia di mattina
laverà via il nostro dolore
perché mai è iniziata per noi
mai finirà per noi
perché mai è iniziata per noi
mai finirà per noi

Non sei più il mio nemico
C’è un raggio di luce sul tuo viso ora
sarà ancora tutto nuovo
C’è qualcos'altro
appena girato l’angolo

Così quando ci sveglieremo
una pioggia di mattina
laverà via il nostro dolore
Quando ci sveglieremo
una pioggia di mattina
laverà via il nostro dolore


perché mai è iniziata per noi
mai finirà per noi
perché mai è iniziata per noi
mai finirà per noi

Stavo cercando un posto per rimanere
Stai cercando un posto per rimanere

No non è mia iniziata per noi
mai finirà per noi
perché mai è iniziata per noi
mai finirà per noi
perché mai è iniziata per noi
mai finirà per noi
perché mai è iniziata per noi
mai finirà per noi
perché mai è iniziata per noi
mai finirà per noi



L'AMORE CI CAMBIA LA VITA - Gianni Morandi

Lo puoi vedere anche nei film
che per amore non puoi morire
ma puoi soffrire anche cent'anni
senza capire perchè
Le scene perdono colore
e il freddo arriva alle mani
resti da solo nel silenzio
per raccontarlo anche a Dio

Senti che tutto quello che hai
ti scappa via in un minuto
e non capisci perchè
vorresti andare via
poi le tue lacrime e un gesto
si fermano in un respiro
e non vedi piu' niente
non puo' finire qui
rimani come un bambino
seduto davanti a un televisore
tu non capisci cos'è
l'amore

E' l'amore
che ci ha cambiato la vita
vive dentro un miliardo di cuori
e non si puo' piu' fermare
e' l'amore, l'amore, l'amore
che non mi fa piu' dormire
come un treno che viaggia veloce di notte
e che mi fa sognare
e' l'amore deluso sconfitto impazzito
scritto dentro mille canzoni
ques'amore di nuove promesse finite
di vecchie storie lontane
che differenza c'è anche questo è amore

Io non ho mai voluto piu' cercarti
perchè ho paura
ti ho gia' chiamato mille volte
senza risponderti mai
vorrei fermarti ad un portone
e poi assaggiarti per ore
ridere sulle tue labbra
dormire sulle tue spalle
poi scivolare nel buio
del tuo vestito piu' nuovo
conquistare il mondo
davanti agli occhi tuoi
poi liberare le mani
e piangere sopra i tuoi seni
per ritornare bambini insieme

E' l'amore che ci ha cambiato la vita
vive dentro un miliardo di cuori
e non si puo' piu' fermare
è l'amore, l'amore, l'amore
che non mi fa piu' dormire
come un treno che viaggia veloce di notte
e che mi fa sognare....
che differenza c'è anche questo è amore

E' l'amore che ci ha cambiato la vita


LA CURA - Franco Battiato

Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie,
dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via,
dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo,
dai fallimenti che per tua natura normalmente attirerai.
Ti sollleverò dai dolori e dai tuoi sbalzi d'umore
dalle ossessioni delle tue manie.
Supererò le correnti gravitazionali
lo spazio e la luce per non farti invecchiare;
e guarirai da tutte le malattie.
Perchè sei un essere speciale
ed io avrò cura di te.

Vagavo per i campi del Tennessee,

come vi ero arrivato chissà
non hai fiori bianchi per me?
Più veloci di aquile i miei sogni
attraversano il mare.

Ti porterò soprattutto il silenzio e la pazienza,

percorreremo assieme le vie che portano all'essenza.
I profumi d'amore inebrieranno i nostri corpi,
la bonaccia d'Agosto non calmerà i nostri sensi.
Tesserò i tuoi capelli come trame di un canto,
conosco le leggi del mondo e te ne farò dono.
Supererò le correnti gravitazionali
lo spazio e la luce per non farti invecchiare;
ti salverò da ogni malinconia.

Perchè sei un essere speciale

ed io avrò cura di te.
Io sì che avrò cura di te


martedì 25 marzo 2008

SITUAZIONE UMANA, CARATTERE E AGGRESSIVITA' SECONDO ERICH FROMM

di Romano Biancoli

La lunga indagine di Fromm (1973) sull'aggressività umana si può vedere come un completamento della sua caratterologia, che si basa sul concetto di "human situation" (Fromm, 1947, pp. 29-36) intesa come stadio raggiunto nell'evoluzione dei primati.
In questo stadio risultano due tendenze: la determinazione sempre meno istintiva del comportamento e la crescita del cervello, particolarmente della neocorteccia.
L'uomo è il primate fornito della minima dotazione istintivo e del massimo sviluppo cerebrale (Fromm, 1973, p. 201).

La singolare emersione biologica diventa un dato, intrinsecamente contraddittorio, della situazione umana: far parte della natura e insieme trascenderla, proprio per la debolezza istintiva e la consapevolezza di sé, estranea ad ogni altro animale.
L'armonia è rotta, il mondo dell'uomo è il mondo del conflitto (Fromm, 1947, pp. 29 e sgg.).

La frattura che vive dentro l'uomo reca una fondamentale "existential dichotomie": crescere o regredire (Fromm, 1955, pp. 22-3; Silva, 1991).
La crescita è un processo di individuazione caratterizzato da autonomia e solitudine, fino a conseguire gradi di libertà che consentono di amare.
In alternativa, la "escape from freedom" (Fromm, 1941) è la risposta regressiva alla paura della solitudine, inevitabile costo dell'individuazione. Questa alternativa, in tutte le sue modalità, comporta la rinuncia al pieno sviluppo umano.

Il carattere è considerato "the human substitute for the instinctive apparatus of the animal" (1947, p. 42) ed è definito come "the (relatively permanent) form in which human energy is canalized in the process of assimilation and socialization" (Ibid.).

Nel loro rapporto col mondo, gli esseri umani ottengono ciò di cui hanno bisogno attraverso il "processo di assimilazione" e si relazionano gli uni agli altri nel "processo di socializzazione".
Il modo in cui una persona assimila quanto le occorre per vivere dà luogo al suo orientamento di carattere.
Se essa si rende abbastanza autonoma da produrre da sé quanto le serve (alternativa della crescita), l'orientamento di carattere che ne risulta è definito da Fromm come "produttivo".
"Non produttivi" invece sono gli orientamenti di carattere delle persone che non trovano in se stesse la forza di procurarsi i beni di cui necessitano (alternativa della regressione).

Gli orientamenti di carattere, esprimenti le modalità del processo di assimilazione, incrociano le modalità del processo di socializzazione, che ineriscono ai rapporti umani.
La persona orientata produttivamente si rapporta agli altri attivamente e responsabilmente, vale a dire rispettando, amando, ed esercitando l'aggressività adattativa (1973, pp. 165 e ss.) che è difensiva e sana, salvaguarda ambiti vitali di sopravvivenza e di crescita e sorregge la produttività. Questa aggressività è propria anche agli animali.
L'aggressività adattativa umana è un'attività, un'affermazione d'esistenza, e come tale ha basi biologiche. Benigna e programmata filogeneticamente, è connotato necessario della natura umana.
Le persone orientate non produttivamente si rapportano agli altri secondo meccanismi di fuga dalla libertà, che comportano, direttamente o indirettamente, aggressività maligna.
Nelle forme dell'aggressività sadica e dell'aggressività distruttiva, essa è radicata nel carattere, e appartiene alla seconda natura dell'uomo non derivata geneticamente ma costruita dalle risposte alle contraddizioni dell'esistenza umana (1973, pp.228-9).

Nella visione di Fromm, produttività e non produttività giocano un ruolo dinamico e mobilizzante nei tratti di carattere, nei rapporti tra le persone, e dunque anche riguardo all'aggressività.
L'energia dell'aggressività difensiva e adattativa, se non è espressa e associata alla produttività, si converte in sadomasochismo e distruttività.
L'aggressività sadica, propria solo all'uomo, sta nel piacere di controllare e dominare un altro essere vivente. E' il piacere di esercitare un potere su altri, di averne in mano la situazione, il godere nel sentire che l'altro dipende.
Il sadismo è adottato dalla persona che si sente incapace d'amare e di farsi amare, di generare affetto nell'altro, per cui ha bisogno di possederlo, di controllarlo. Non è la forma più maligna d'aggressività, perché al sadico occorre che la sua vittima sia viva, e quindi non la uccide (Ibid., p. 254 e ss.).
Come quella sadica, l'aggressività distruttiva è esclusivamente umana e senza basi neurofisiologiche dimostrate. E' l'aggressività estrema, poiché non è compatibile con la vita. Questa forma d'aggressività maligna guarda alla morte come soluzione del problema di vivere. La distruttività può presentarsi come necrofilia, che talora si manifesta portando direttamente la morte. Più spesso si esprime in situazioni traslate e in simboli. Si sente il fascino non tanto della morte in sé quanto degli innumeri processi che ad essa conducono ed anche dei movimenti stereotipati, seriali e senza vita propri delle macchine (Fromm, 1973, pp. 299 e ss.).