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Chiara Inesia


lunedì 24 marzo 2008

SOTTILE AMBIGUITA' DELL'ABUSO

della Dott.ssa Giuseppina Riscassi

(il caso di Ornella, presentato al SEMINARIO OPIFER 22 MARZO 2003)


Il caso che vi presento è quello di una donna che chiameremo Ornella che inizia l'analisi con me nel dicembre 1998, a due sedute settimanali e prosegue tuttora.
O. ha 39 anni, è alta, longilinea: ciò che colpisce in lei fin dalla prima seduta è quell'ombra cupa sul volto che, sembra, nulla possa rischiarare.
Si sente a disagio con le altre persone, vive male perché si aspetta sempre qualcosa.
E' stata sei mesi in psicoterapia da una psicologa del consultorio che normalmente si occupa di bambini, ma che aveva accettato di seguirla ad una frequenza quindicinale e quando aveva tempo.

Ora vuole proprio un'analisi con le sedute necessarie. Da due mesi ha interrotto la relazione con il fidanzato durata 5 anni, proprio quando stavano per andare a coabitare: O. ha deciso così poichè non si sentiva capita; la scelta stessa della casa era stata fatta dal compagno con l'obiettivo di essere vicino alla nonna che per lui era come una madre e alla figlia e O. si era chiesta " e io? Perché non si accorge che devo fare un sacco di chilometri al giorno, perchè non si preoccupa per me?"Ultima di una famiglia di 4 figli (due maschi e due femmine),mentre mi narra di sé bambina mi sento trasportare fin dalla prima seduta in una atmosfera di profonda solitudine e trascuratezza, dove i bisogni affettivi basilari di una bambina erano completamente disattesi: "mia madre piangeva sempre, la vedevo sempre piangere, si alzava al mattino alle tre e lavava, lavava sempre"; O. non poteva chiedere né esprimere i suoi bisogni per paura di darle un peso ulteriore e quindi cercava di arrangiarsi da sola.

Il padre, alcolista, non badava alle necessità economiche della famiglia. Era un buon fabbro, lavorava, ma non era costante: trascorreva intere giornate all'osteria e se ai figli mancava il cibo… non importava! Chi cercava di assicurare alla meglio la sopravvivenza era la madre.Dopo O. nasce un fratellino Down cui lei si affeziona molto, ma che muore all'età di 3 anni. Dice O. "la miseria che c'era in quella casa l'ha ucciso!"La madre accusava il padre di averla messa incinta tante volte e di avere, per questo, dovuto abortire spesso. Talvolta il padre rincasava ubriaco, lei e la mamma si barricavano all'ultimo piano della casa, mettevano davanti alla porta il comò e i letti, ma lui era molto forte, riusciva ugualmente ad entrare e massacrava la madre di botte. Lei cercava di mettersi in mezzo a loro; il padre non l'ha mai picchiata, mentre O. ha assistito alla violenza sui fratelli; in particolare ricorda di quando li schiacciava sotto i piedi.

Appena O fu un po' grandicella (5 anni) la madre iniziò a lavorare in una industria dolciaria: "…e così tutti uscivano di casa e al pomeriggio, dopo la scuola io ero lasciata da sola, i miei fratelli, più grandi di me, già lavoravano, mia sorella andava dalle sue amiche: io ero lì in attesa che qualcuno tornasse a casa; d'inverno veniva buio presto ed avevo paura a stare in casa da sola perché sentivo ancora di più il vuoto, preferivo uscire nel cortile e starmene lì al freddo e al buio…".
Mi sembra di vedere quel cortile buio e quella bambina che sento ancora palpitare dentro O. insieme ad un profondo senso di solitudine e di dolore che da allora l'accompagna.
O. piangendo mi dice: "Io penso che quella bambina era stupida, avrebbe potuto andare via da quel cortile, c'è rimasta troppo a lungo".
>br >Analista: " Noi dobbiamo prendere per mano quella bambina e accompagnarla a stare bene con se stessa".
O: " Ma come può capire lei che non ha provato queste cose?"
Per tutta la sua analisi O. mi parla della profonda vergogna di essere lì in quella situazione di miseria umana e piange. Io sento il dolore e un nodo nelle viscere ; ha paura di non riuscire a farlo scomparire questo dolore che lei ha sempre dentro. Rievoca di quella volta in cui la bambina dei vicini voleva giocare con lei, e la mamma, rivolgendosi ad O. le disse: " se vuoi giocare con mia figlia devi lavarti le mani…" O. si sentì avvilita e mortificata e rinunciò a giocare.

*****

O. lavora dall'età di 22 anni in un supermercato. Abita da sola in un appartamento dello stesso palazzo in cui abita la madre.
Ha molto rimpianto per aver dovuto interrompere gli studi, al secondo anno delle magistrali, a volte pensa che le farebbe piacere riprendere, ma questo è un limite invalicabile per lei, come quello di recarsi da sola a Milano; nell'ambito del suo territorio è discretamente autonoma, ma l'idea di oltrepassarlo la spaventa.
Il dialogo che si snoda tra noi due è quello tra due donne, più o meno della stessa età, in cui l'una porta ferite aperte, abissi di vuoto, solitudine, vergogna e l'altra è presa dalla sensazione di non riuscire a darle quello che le chiede; si fa strada dentro di me un senso di impotenza, talvolta verso la fine della seduta ho l'impressione di aver "nutrito un po' O", il suo viso mi appare meno tirato, qualche volta comincia a sorridere, ma per ripiombare poi, la seduta successiva nel grigiore cupo che la porta a piangere ogni volta, di un pianto inconsolabile "nessuno può ridarmi la mia infanzia, non si può tornare indietro, qualcosa si è inceppato lì e non c'è più niente da fare".

Ogni volta sento un macigno, come quando mi parla dei suoi due aborti che non riesce in alcun modo a perdonarsi. Rievoca il vissuto del primo aborto. Si era recata nell'ospedale locale dove l'intera équipe medica era antiaborista, per cui aveva dovuto spostarsi un'altra équipe per effettuare l'intervento.
"Avevo 20 anni, ero entrata in ospedale con una maglietta e quando mi hanno fatta spogliare e avevo solo quella indosso ho sentito lo sguardo del primario posarsi su di me, uno sguardo che lasciava intendere che quell'uomo mi considerava un po' come una strega assassina e un po' come un oggetto sessuale"."E' questo che c'è dentro di lei?" "Penso che ci sia questo dentro gli uomini".

O. ha un vissuto dell'aborto che è quello che ha percepito nel primario: lei si sente assassina e oggetto sessuale.
"Ora è tardi per me, non riesco neppure a relazionarmi con un uomo, sento i brividi quando entra il figlio di una collega, mio figlio avrebbe la sua età, se non l'avessi rifiutato ora non sarei sola".
"Non ha avuto scelta O, era molto giovane, il suo ragazzo l'aveva lasciata, si è sentita molto sola ad affrontare qualcosa più grande di lei, non poteva avere il sostegno dei suoi genitori e poi come poteva desiderare veramente, fino in fondo, un bambino?"O." Lei una famiglia ce l'ha, io quando torno a casa sono completamente sola, non c'è nessuno che mi aspetta !"

IL PRIMO SOGNO

"Sono in una casa piccola. La lascio, ma vi dimentico una maglia. Mi dispiace molto, vorrei andarla a riprendere perché è calda". Qual è la maglia calda che O. vuole riprendersi? La "maglia" come metafora dell'analisi: "vado dall'analista perché vado a riprendermi un aspetto infantile che mi era mancato. Si può vedere anche l'incipiente transfert: cosa chiede O.? Una maglia.


*****

La nostra relazione è connotata da un senso di irrangiungibilità. Sento che O. si ritrae da me e io ho paura di avvicinarmi troppo a lei, di essere intrusiva.
Ho l'impressione che mi dica: " Io ti voglio, ma se teniamo le distanze, quando ci avviciniamo troppo io non lo sopporto". Proprio come era accaduto con il fidanzato che nel momento in cui si fa concreta l'idea della convivenza, lei si era tirata indietro.
O. mi idealizza e quando le faccio notare che l'analisi la si fa in due e che non sono io che faccio qualcosa su di lei, ma insieme costruiamo la nostra relazione, allora entra in un profondo sconforto che le fa dire la seduta successiva " finchè pensavo che fosse lei l'unica responsabile della mia analisi avevo molta fiducia, ora che so che tocca anche a me non ho speranza di riuscirci".

O. rifiuta il noi : c'è lei, una bambina smarrita in un corpo di donna e, sull'altra sponda, io che sento la sua angoscia e mi sento incapace di raggiungerla.
Anche il padre di O. era irraggiungibile; una delle prime sedute O. inizia a dire: "ma bisogna proprio dire tutto agli altri, alle persone, non ci sono cose, particolarmente intime da tenere per sé? Ci sono cose mie che sono solo mie e non mi sento di comunicarle agli altri perché sono mie. Anche a lei devo dire tutto? Non posso tenermi dentro una cosa che sento solo mia e non ha importanza ai fini nostri?"
Analista : "Se questa è una cosa che ha dentro e a cui sta pensando, si tratta di una cosa importante".
O: "Sì, ma non voglio parlarne, riguarda solo me, e poi io non ne ho colpa, sarebbe come andare ad aggiungere ancora qualcosa di brutto al degrado che già c'era a casa mia"
A: "Cosa teme che possa succedere qui, tra noi due, se lei me ne parla, teme forse il mio giudizio?"
O: "Sì, forse sì".
A: "Si è sentita giudicata in precedenza da me?"
O: "No ,non mi sono sentita giudicata, ma credo che lei mi consideri in un certo modo!"
A: "Credo che chi si giudica sia lei e che lei stia mettendo dentro di me qualcosa di suo".
O:" Una proiezione?"
A:"sì".
O:" Già il fatto di essere qui indica che sono patologica!" Ecco, vede, io non voglio suscitare in lei pietà, commiserazione".
A" Le è sembrato che io la commiseri?"O" No".
A:" Le persone, vede, non hanno bisogno di pietà, hanno bisogno di comprensione, come quella che ha avuto lei nel suo recente viaggio in Africa per i neri di quel villaggio, si è messa nei loro panni e li ha capiti, non li ha commiserati"

La sento piano piano rinfrancarsi."Io ho spintonato mio padre. Era già vecchio e infermo, non si ubriacava più. Avevo 16 anni a quel tempo. Stava tutto il giorno davanti alla TV ad altissimo volume e in una nuvola densa di fumo che riempiva tutta la stanza.. Era già in pensione da alcuni anni. Mi sono resa conto che era troppo tardi, che non potevo più avere un padre; non l'avrei mai avuto in futuro così come non avevo potuto averlo in passato. Avrei voluto chiedergli…"
"Cosa avrebbe voluto chiedergli?"
"Di ascoltarmi, di parlare di me, dei miei studi….- piange - e poi anche di lui. Io avevo intrapreso la scuola superiore come un fardello che mi ero caricata sulle spalle tutta da sola e che dovevo portare avanti tutta da sola. Ero l'unica dei quattro fratelli che aveva avuto l'opportunità di studiare………….""Gli chiedo di abbassare il volume della televisione perché non riuscivo a studiare: nasce un diverbio: mio padre mi dice che io non sono neanche una donna perché nessun uomo mi vuole: provo molta rabbia, mi sento ferita, penso che se questo è vero, la colpa è anche sua e lo spingo: in seguito ho provato molto rimorso perché avrebbe potuto farsi anche tanto male e rompersi qualcosa. … Ma parlare di queste cose mi fa male!"

LA SOTTILE AMBIGUITA' DELL'ABUSO

O. ha dormito nel letto dei genitori fino a otto anni. Suo padre, talvolta, cercava di prendere sua madre e le passava sopra, scavalcandola. Sua madre allora andava a dormire in soffitta e lasciava O. nel letto col padre finchè ad un certo punto la madre iniziò ad andare direttamente a dormire in soffitta, lasciando O. sola nel letto ad aspettare che suo padre tornasse; aveva paura, e, ogni sera, si chiedeva se il padre sarebbe tornato sobrio o ubriaco. Suo padre tornava e il più delle volte si buttava sul letto, da una parte e si addormentava.

O. era diventata la "moglie del padre" perché così la madre aveva voluto. Il padre non ha mai abusato sessualmente di O., né ha mai esercitato violenze fisiche, tuttavia questa situazione creava ambiguità : da una parte la paura e dall'altra un forte senso di calore: era l'unico momento della giornata in cui O. assaporava una sensazione calda e O., come tutti i bambini, aveva bisogno di scaldarsi, anche se la fonte da cui proveniva il caldo era ambigua.

Il desiderio sessuale alimentato dal ruolo che O. impersonava è ben esplicitato dal sogno seguente che ella mi portò nel suo terzo anno di analisi:" Una vasca di pesci. Sono con mio padre che mi spiega che alcuni pesci vengono a riva per cercare il cibo. Esce un gigantesco serpente dall'acqua e viene verso di noi. Ha la testa di un boa. Mio padre con un coltello gli taglia la testa. Ho paura che si rigeneri come fanno le lucertole".
Può darsi che qualche volta la madre non abbia mandato via il padre e comunque la bambina poteva sentire l'eccitamento del padre. Era la madre che la strumentalizzava perché la metteva tra loro due. E poi il padre rimaneva lì, magari eccitato e lì c'era anche la bambina. La bambina respirava quell'atmosfera.E il serpente appare come l'incesto col padre non consumato.
Il desiderio sessuale del padre riguarda la moglie, non la figlia; dalla madre viene deviato sulla figlia e il padre, responsabilmente, si trattiene.

LA SIMBIOSI INCESTUOSA

Erich Fromm, nel suo libro "The heart of the man", tradotto in italiano come "Psicoanalisi dell'amore" afferma che esistono nell'uomo tre passioni regressive fondamentali: NARCISISMO; NECROFILIA; SIMBIOSI INCESTUOSA; che si contrappongono , rispettivamente, a: AMORE PER IL PROSSIMO, LO STRANIERO, LA NATURA; BIOFILIA; INDIPENDENZA E LIBERTA' NEGLI AFFETTI.

La "normalità" si situa in uno spazio intermedio fra queste opposte passioni (Fromm, 1964). Se prevale il polo narcisistico-necrofilo-simbiotico si sviluppa la sindrome di decadimento, se, al contrario, prevale il polo biofilo si realizza la sindrome di crescita.E. Fromm definisce la simbiosi incestuosa come "il livello più profondo di fissazione alla madre".
Qui il Padre è una figura materna, non risulta essere una figura virile e lei sta nel letto del padre perché così ha deciso la madre: è un potere materno, femminile, quello che governa la casa.
Col padre ha trovato un seno materno perché in quella casa un pene paterno non c'era; un pene paterno pone legge, dice che a letto col padre ci deve stare la madre e i figli devono stare in altri letti.

L'esperienza di O. è molto singolare; non è stata violentata, è stata avvolta nella molle ambiguità di un seno paterno. Era l'unico seno. Qui non c'è l'Edipo: non c'è la bambina che cerca di sedurre il padre combattendo con la madre. La bambina qui è buttata dalla madre nelle braccia di una vice-madre ubriaca, però qualsiasi cosa è meglio del deserto e se una bambina ha freddo sta meglio in una cosa sporca, ma calda, che scoperta.
C'è un fortissimo tratto orale. O. cerca un nutrimento così radicale che io sento di non riuscire darle, di qui la mia sensazione di non riuscire mai a darle abbastanza."Ci sono vari gradi di simbiosi", dice Fromm " ma hanno tutti in comune un elemento: la persona simbioticamente attaccata è parte e appendice della persona "ospite" alla quale è attaccata, senza la quale non può vivere, e se il rapporto è minacciato, si sente estremamente ansiosa e spaventata. ……..[ ] Quando dico che non può vivere senza quella persona, non intendo dire che necessariamente essa stia fisicamente insieme all'ospite; può vederla o vederlo solo raramente, oppure l'ospite può persino essere morto […….]; il legame è essenzialmente quello del sentimento e della fantasia.
Per la persona dall'attaccamento simbiotico è assai difficile, se non impossibile, percepire una chiara demarcazione tra sé e la persona ospite"."…….c'è una stretta affinità tra fissazione incestuosa e narcisismo. Fintanto che l'individuo non si è completamente liberato dal grembo o dal seno materno, non è libero di avere rapporti con gli altri o di amare gli altri "

LA FERIBILITA' NARCISISTICA DI O.

Il narcisismo di O. si presenta nei termini di una estrema feribilità, senso di vergogna e inadeguatezza; basta molto poco per ferirla. O. desidera cambiare casa poiché quella in cui si trova è posta su una circonvallazione e c'è molto rumore, inoltre è piccola e scomoda; quando manifesta questa sua idea ad una amica e questa commenta "tu sei da sola, quindi non ti occorre una casa particolarmente grande", O. sprofonda in uno stato d'animo di angoscia inconsolabile… "ecco, gli altri si accorgono che io sono sola, io sono diversa da loro, loro una famiglia ce l'hanno " e piange, piange.

La depressione di O. viene dal narcisismo ferito; non c'è solo il mondo plumbeo e inarticolato del depresso, perché c'è la morbosità, c'è un erotismo.
C'è una depressione secondaria, da ferita narcisistica.Mentre Kohut parla di rabbia narcisistica, Fromm parla di rabbia e depressione reattiva alla ferita narcisistica (Fromm,1964, Kohut,1978).
Ricordo una seduta in cui O. dice di sentirsi senza energie e attua un distacco dalla scuola (aveva ripreso infatti a frequentare un liceo serale), dorme molto e non frequenta: i Professori le hanno detto che quest' anno deve fare una ricerca.

Lei non si sente in grado."Come è possibile che mi senta così dopo 4 anni di analisi? Sento una svalutazione dell'analisi e un'autosvalutazione. Le faccio vedere le sue risorse e i cambiamenti che ha fatto e le parlo dei tempi della psiche; le suggerisco di parlare ai professori di questa sua difficoltà e di farsi aiutare.
Parliamo della sua difficoltà a chiedere, della sua propensione all'isolamento e ad arrangiarsi da sola. Mi viene in mente Sullivan, riguardo al bisogno che ha l'essere umano degli altri per la sua sopravvivenza e dico a O: "Tutti abbiamo bisogno degli altri" (Sullivan, cit. in Minolli, 2002).
O.: "Davvero? E' così anche per gli altri, per tutti?"
La sento piano piano rincuorarsi, i lineamenti del volto, tirati, si ammorbidiscono. Avverto lo stupore di O. nel rendersi conto che un suo bisogno, da lei stigmatizzato, è condiviso dal resto del genere umano.

LA SESSUALITA' DI O.

Riporto il dialogo avvenuto in una seduta del novembre scorso.
O: " io non riesco a reggere l'emozione dell'attrazione per un uomo"
A: " quando pensa ad un uomo da cui si sente attratta, cosa pensa esattamente?"
O: " lo inserisco nelle mie fantasie sessuali: immagino di essere a letto con lui e che lui mi dica "come sei brava a letto""
A: " Cosa desidera nel rapporto sessuale?"
O. "carezze , baci e rapporto orale, non ho mai raggiunto l'orgasmo con il coito"
A: "quali sono le sue fantasie erotiche più frequenti?"
O: "immagino di essere sempre con due uomini, uno vecchio (mio padre), che mi osserva mentre faccio sesso. Immagino che a lui piaccia vedere il mio sesso e il mio godimento"
A: "immagina anche di fare sesso con l'uomo vecchio?"
O: "No, solo che mi prenda in braccio e mi accarezzi in tutto il corpo, ma non il coito.

E' difficile per O. poter pensare di separarsi dal desiderio per suo padre, lei stessa lo definisce una "simbiosi" e afferma che è una questione di sopravvivenza, le viene in mente un animale che si studia a scuola, il paguro; "è necessaria perché è una difesa dagli altri che sono cattivi","Chi sono i cattivi?" le chiedo ."Gli uomini, tutti gli uomini sono cattivi con le donne, desiderano solo il sesso, siamo solo degli oggetti per loro".
"Lei mi sta dicendo che tutti gli uomini sono cattivi e che bisogna difendersi da loro, ma questo lei me lo ha detto a proposito di suo padre: è da suo padre che lei ha dovuto difendersi quando, diventata adolescente, cercava di stargli lontano perché temeva che non la riconoscesse come figlia e che potesse prenderla con la forza come faceva con sua madre. Suo padre le dava calore che non riceveva da sua madre, ma non era un buon padre e nemmeno più tardi, quando aveva smesso di bere ed era malato, e lei si aspettava di riavere un padre, nemmeno allora ce l'aveva e ha provato molta rabbia e l'ha spinto".
"Sì volevo avere un padre almeno allora e mi sono accorta che non ce l'avevo".

A: "Allora, O., mi sembra che lei abbia tolto le parti cattive di suo padre e le abbia messe negli altri uomini, come accade in certi film polizieschi in cui l'assassino nasconde l'arma del delitto in casa altrui perché venga attribuita ad altri la colpa".
O. ha fatto del modello relazionale sessuale familiare un modello universale, dove l'aspetto predatorio nell'intimità sessuale è considerato ineluttabile. Questo la inchioda ad una forte difficoltà di comunicazione in generale e, in particolare con gli uomini. Si innamora, per un periodo, di un uomo che dapprima mostra interesse per lei, poi si ritrae, quando lei si avvicina e questo suo sottrarsi a lei rappresenta come una calamita che spinge O. a pensarlo come l'uomo ideale e irraggiungibile e perciò desiderabile e a macerarsi nel rimpianto di non essere riuscita a conquistarlo. In O. c'è dunque simbiosi incestuosa e narcisismo, ma c'è anche biofilia e questo rappresenta, in termini frommiani un fattore prognostico positivo (Fromm, 1964).

LA BIOFILIA E LA NECROFILIA

Erich Fromm ritiene che "l'amore per la vita" costituisca l'istanza fondamentale dell'essere umano e che "l'amore per la morte" rappresenti la psicopatologia, a differenza di Freud, per il quale esistono due forze biologiche in campo: l'istinto di vita e l'istinto di morte (Fromm,1964).
L'istinto di vita costituisce la potenzialità primaria per l'uomo, sostiene Fromm, mentre l'istinto di morte è una potenzialità secondaria. "La potenzialità primaria si sviluppa se sono presenti le condizioni adatte alla vita, proprio come un seme cresce soltanto se sussistono le giuste condizioni di temperatura, umidità ecc….
Se queste non sono presenti, insorgeranno le tendenze necrofile e prenderanno il sopravvento".
"La persona orientata in senso necrofilo è attratta e affascinata da tutto ciò che non è vivo, da tutto ciò che è morto; cadaveri, disfacimento, feci, sudiciume. Necrofili sono coloro che amano parlare di malattie, di funerali, di morte. Un chiaro esempio del tipo necrofilo è Hitler. Egli era affascinato dalla distruzione, l'odore della morte gli era dolce. […….] I necrofili si immergono nel passato, mai nel futuro. […] Sono freddi, distanti, devoti a "legge e ordine". I loro valori sono esattamente l'inverso di quelli che noi colleghiamo alla vita normale: non la vita, ma la morte li eccita e li soddisfa" (Fromm, 1964, p. 41).Un sogno, di contenuto necrofilo, di O. (portato nella seduta del 3 ott. 2002):"E' finita la guerra. Sono in un edificio con molti piani. Ci sono tanti morti Dei superiori li stanno passando in rassegna , come per catalogarli"L'azione stessa del catalogare è necrofila. Fa venire in mente il "carattere anale" freudiano: Freud descrive infatti queste persone come singolarmente ordinate, parsimoniose ed ostinate (Freud, 1908).

Coerentemente con la sua teoria della libido, Freud sosteneva che l'energia che provvede alla libido anale fosse connessa ad una zona erogena (in questo caso l'ano) e che a causa di fattori costituzionali e di esperienze individuali connesse alla pulizia personale, questa libido anale fosse più forte che nella persona media.
Secondo Fromm non è sufficiente attribuire alla libido anale la base dinamica per lo sviluppo del carattere anale. Si tratta di persone che hanno un preciso interesse per le feci come per tutto ciò che non è vivo: le feci sono il prodotto di eliminazione del corpo, lo scarto, che non è più di nessuna utilità.

La psicogenesi del carattere anale, per Fromm, sta nella madre e nella relazione di questa con le feci e con ciò che non è vivo, "..[..] è il carattere della madre che, con il suo timore o odio per la vita, rivolge il suo interesse al processo di evacuazione, e orienta in molti altri modi le energie del bambino verso la bramosia di possedere e accumulare."(Fromm,1964, p.56)Ci sono pertanto molte analogie tra carattere anale e necrofilo, ma Fromm considera il secondo la forma maligna del primo.
O. ha sempre percepito nella madre un senso mortifero, non ricorda momenti in cui lei esprimesse gioia, salvo quando iniziò a lavorare in quella industria dolciaria, ma O. viveva questo sentimento della madre con un forte senso di esclusione perché quello era un mondo a parte, cui aveva accesso solo la madre.

Sogno riferito alla madre: "Su una barchetta ci sono 3 donne: una vecchia, morta, in posizione fetale, sommersa dall'acqua, e due donne più o meno della stessa età. Le 2 donne sono molto affaticate."Tuttavia l'aspetto necrofilo non è preminente.Un sogno biofilo di O.: "Raccoglievo tanta uva nera, era faticoso e monotono; arrivavo in fondo al filare trovavo l'uva bianca, rara e più pregevole della nera"(nel corso del suo primo anno di analisi).
La biofilia di O. si esprimerà anche nella scelta di riprendere gli studi; quest'anno infatti farà la maturità artistica, dopo aver frequentato il liceo serale. Da alcuni mesi ha cambiato casa e si è fatta tanti viaggi all'IKEA per arredarla, venendo a Milano da sola .

IL MASOCHISMO MORALE DI O.

C'è molto vittimismo in O. Ogni volta che riesce a realizzare qualcosa di sé si macera comunque nel suo sentirsi irrimediabilmente sfortunata e diversa e il lamento diventa il protagonista principale di molte sedute in cui io tento invano di farle apprezzare le risorse di cui dispone.
Il piacere che prova quando costruisce qualcosa di positivo è meno intenso della sensazione di scacco di quando si sente incapace.Anche l'analisi non può riuscire; provo un senso di incapacità e mi rendo conto di quanto O. stia sabotando l'analisi insinuando in me l'idea, nel profondo, della sua inutilità, in modo da poter dire :"persino l'analisi non mi è servita a niente".

Masochismo morale come masturbazione degli affetti: è come se dicesse a suo padre:" guarda come sto male, guarda cosa mi hai fatto! Che sfortunata che sono"Le interpreto questo transfert paterno e le faccio prendere coscienza del suo grande vittimismo.I
n questo periodo O. porta il sogno seguente: "c'è una vasca; ci sono dei pesci congelati. Sopra la vasca c'è uno strato di ghiaccio: arriva un uomo e dice che non vanno bene, non li prende perché non vanno bene".
Sembra che O. stia dicendo che la parte interna del suo corpo è fredda e quindi un uomo non la vuole, sente il freddo e si allontana.
I pesci congelati sono associati ai due aborti, ma il freddo preesisteva agli aborti: è stata bocciata due volte: in prima elementare e in prima media; si è sentita diversa; i genitori degli altri bambini si presentavano alle udienze, i suoi non andavano mai.
Pensa poi al freddo che ha provato quando era andata in prigione a trovare il padre che era dentro per maltrattamento della moglie.

"Ma, la freddezza c'è anche negli altri? A me sembra che all'esterno ci sia freddezza"
A: "A cosa si riferisce?"
O.: "A chi ha fretta e ha scarso interesse per gli altri"
Quindi O. dichiara di sentirsi "scollegata" , anche con me.
"Mi succede in ogni incontro, a scuola, con le amiche, nelle situazioni più diverse, con lei , che al primo impatto io mi senta scollegata".

IL CAMMINO VERSO L'INDIVIDUAZIONE

Di recente O. mi porta il sogno seguente: "Siamo 3 donne in una prigione su una montagna; un guardiano a turno viene e prende una di noi; sempre la stessa per fare del sesso; io, non so come, mi ritrovo in mano una chiave; è quella che apre la prigione. La uso ed esco. Mi ritrovo fuori lungo una discesa, non facile, ma tuttavia ero fuori dalla prigione"
Chiave= consapevolezza
Guardiano: asservimento sessuale: "penso che tutti gli uomini vogliono questo, mio padre lo agiva apertamente".
Esploro le sue fantasie erotiche attuali: non c'è più il padre, ma tanti uomini come se avesse bisogno di tanti uomini per avere l'orgasmo.
Le chiedo poi in che senso si sente uscita di prigione.
"Durante il turno di notte ho pensato 'caspita come è facile conversare a lungo con le persone; prima era impossibile per me; ora mi sembra che gli altri mi guardino con interesse come se mi trovassero una donna un poco interessante!' E poi, quando mi sbaglio e faccio il caffè invece del cappuccino, prima mi ritenevo una deficiente, adesso faccio una battuta e rimedio l'errore.

La sento proprio come una rinascita, temo solo che non duri".Sembra che ormai O. abbia intrapreso il cammino verso il diventare "persona", anche se permane la fantasia erotica masochistica di asservimento sessuale.
Mano a mano che l'analisi procede, la disperazione di O. diventa più accessibile al trattamento.Mi chiedo: "è minore la disperazione di O. oppure io pongo una diga a questa disperazione in quanto sono diventata meno vulnerabile nel mio narcisismo terapeutico?"

Mi sono chiesta quanto io mi senta ferita ogni volta che O., per l'ennesima volta, fa pesare il suo non cambiamento, la sua passività, la sua solitudine, il suo cupo malessere che sembra non avere soluzione.
Razionalmente non credo a cambiamenti strutturali rapidi, ma tante volte ho sentito l'impotenza.
Cioè, quanto io ho analizzato O. e quanto O. ha analizzato me perché il rapporto con O. mi costringe a fare i conti con me stessa e a cambiare.
O. mi indica la strada: "Non voglio più sentirle dire che devo attivarmi, mi dà fastidio quella parola!" (Una volta avevo insistito sul fatto che era necessario che lei si attivasse).
E aveva ragione: era una mia istanza superegoica [per dirla in termini freudiani; il concetto di Superio è peraltro molto criticato da Fromm (Freud, 1922, Fromm, 1936)] che la colpevolizzava per la sua passività, poiché O. non soddisfaceva il mio bisogno di sentirmi utile e anzi mi faceva sentire impotente.

Facendo in quel momento come sua madre, l'abbandonavo, non accogliendo i suoi bisogni regressivi, al doversi arrangiare da sola e incarnavo al tempo stesso il suo super-io che da sempre la spinge a colpevolizzarsi.Si riproponeva in quelle circostanze non la relazione inedita che M. Gill auspica, ma l'antica relazione con una madre troppo impegnata ad attendere i propri bisogni per poter offrire cittadinanza ai bisogni della figlia (Gill, 1984).
Lavoro psicoanalitico dunque come promotore del passaggio da un orientamento interiore passivo ad uno attivo e che spiana la strada dalla modalità dell'avere a quella dell'essere, che è anche la strada verso l'individuazione (Biancoli, 2002).L'analisi è un dialogo tra analista e analizzando volto a chiarire chi è il primo e perché egli è nel modo in cui è, cioè a sbloccare il suo processo di individuazione. Il dialogo è basato sulle risposte emotive e sulle reazioni comunicate reciprocamente e l'analista reagisce emotivamente e comunica la sua reazione a ciò che l'analizzando comunica (Fromm cit. in Biancoli, 2002).

Perciò viene così attivato anche il processo di individuazione dell'analista ed egli arriva a conoscersi meglio attraverso la relazione psicoanalitica (Groddeck, Searls, et al. Cit. in Biancoli, 1997).
La competenza speciale dell'analista, sostiene Fromm (Biancoli) è quella di essere il paziente mentre è se stesso, un paradosso dell'arte psicoanalitica. E' possibile per l'analista sentire in se stesso quello che il paziente sente, ma non è ancora consapevole di sentire.
Credo che la partecipazione attiva dell'analista, con il suo personale modo di essere e di sentire, all'esperienza dell'analizzando, tracci il sentiero che consente ad entrambi di diventare più "persona".

B I B L I O G R A F I A
Biancoli, R (1997). "G. Groddeck, the psychoanalyst of symbols", Int. Forum Psychoanal 6 (117-125). Biancoli, R. (2002) "Individuation in Analytic Relatedness", Contemporary Psychoanalysis vol.38.Freud, S.(1908) "Carattere ed erotismo anale", Torino: Ed: Boringhieri vol. v , 1972.Freud, S. (1922) "L'io e l'Es", Torino: Ed. Bollati Boringhieri, vol. 9, 1989.Fromm, E. (1964) " Psicoanalisi dell'amore", Roma: Ed. Newton & Compton, 1971.Fromm, E. (1936) "Autorità e famiglia", Firenze: Ed. Guaraldi, 1971.Gill, M. (1984) "Psicoanalisi e Psicoterapia" , Psicologia Clinica, vol.4 di F. Del Corno & M. Lang ,Milano: Ed. F. Angeli, 1989.Kohut, H. (1978) "La ricerca del sé", Torino: Ed. Boringhieri, 1982.Midolli, M. (2002) "Recensione a 'Sullivan rivisitato' di M. Conci,Ricerca Psicoanalitica , XIII, 1.

PASSIONI RAZIONALI E PASSIONI IRRAZIONALI - LA FISSAZIONE INCESTUOSA

dalla tesi di laurea in Psicologia di Andrea Ciacci: "Il percorso umano verso l'individualizzazione di Erich Fromm"


La fissazione incestuosa alla madre è un concetto centrale nella teoria di Freud: l’attaccamento del bambino nei confronti di essa, raramente superato completamente dall’adulto, indebolisce la sua indipendenza ed è causa della menomazione della capacità dell’uomo di aver rapporti con le donne; se represso il conflitto tra questo attaccamento reso inconscio e le mete coscienti dell’individuo conduce a vari conflitti e sintomi nevrotici.

L’importanza della scoperta di Freud è secondo Fromm limitata dalla sua espressione nei termini della teoria della libido: Freud ritiene infatti che la forza di tale attaccamento sia dovuta principalmente alla libido genitale del bambino che lo porta a desiderare sessualmente la madre e ad odiare il padre come suo rivale. Come conseguenza della sua inferiorità di fronte al padre il bambino sarà costretto a reprimere i propri desideri incestuosi, identificandosi con l’autorità paterna ed interiorizzando i suoi ordini e proibizioni, processo che Freud considera alla base della formazione del Super-Io. I desideri incestuosi repressi continuano tuttavia ad operare a livello inconscio.

Sebbene in alcune sue affermazioni Freud sembri riconoscere l’attaccamento alla madre come presente in entrambi i sessi nella primissima fase di sviluppo, questa linea di pensiero non fu seguita dai suoi seguaci ortodossi e abbandonata da egli stesso nei suoi scritti successivi (
13).
Secondo Fromm, invece, è appunto l’attaccamento preedipico dei bambini, di entrambi i sessi, alla madre a costituire il fenomeno più importante, ed esso non è, come per Fromm, di natura primariamente sessuale, ma essenzialmente emotiva.

Fromm giunge a considerare l’attaccamento preedipico alla madre come uno dei più rilevanti fenomeni del processo evolutivo, e al tempo stesso come una delle principali cause di malattia mentale. In esso Fromm non vede la manifestazione dei desideri libidici dell’infante, ma una delle passioni fondamentali degli esseri umani, che ha la sua origine nel bisogno di protezione e di amore incondizionato che ognuno sperimenta durante la propria infanzia, e che può manifestarsi anche nell’adulto che sia incapace di sostenere il pesante carico della propria responsabilità ed autocoscienza.

In molti casi infatti, l’adulto può percepire assai più del bambino la propria impotenza di fronte alla presenza di forze incontrollabili ed alla possibilità del verificarsi di eventi che egli non può prevedere: i legami incestuosi persistono allora nell’adulto non tanto come una ripetizione del desiderio sessuale del bambino per la madre, quanto per il persistere di quelle condizioni che inducono il bambino a bramare l’amore materno.

Si cerca allora “la Madre”, instaurando legami simbiotici con gli oggetti, siano questi cose, persone o sistemi di idee (
14). Ma gli uomini sono anche in una certa misura consapevoli del fatto che tale unione con la madre non può essere ritrovata, e di dover fare affidamento sulle proprie capacità per poter riuscire a vivere. L’uomo si trova dunque ad essere diviso tra queste opposte tendenze: tra il continuare a nascere, facendo affidamento su se stesso e sviluppando le proprie qualità, ed il regredire al ventre materno; tra il rischio del nuovo e della propria indipendenza e la paralizzante certezza di una protezione per effetto della quale egli procrastina nella dipendenza.

La madre costituisce la prima personificazione di un potere che protegge e dà sicurezza; in seguito tale figura viene sostituita dalla famiglia, dal clan, dal gruppo, dallo stato, dalla razza, religione o partito politico, ognuno di questi percepito come garante di protezione e di amore.
In ognuno di questi casi l’orientamento incestuoso si scontra con la ragione e l’obiettività, ma la natura condivisa di tale legame può, come nel caso del narcisismo, rendere tale conflitto meno evidente. Tali vincoli incestuosi ben si prestano infatti ad essere razionalizzati, anche per tramite di razionalizzazioni socialmente schematizzate, costituite dalle ideologie. In tal caso all’interno di una stessa cultura la menomazione del giudizio può essere considerata virtù, elevando la distorta valorazione degli oggetti con cui si entra in simbiosi al rango di verità assoluta.

Come afferma Fromm, fintantoché l’uomo non si è liberato dei propri vincoli incestuosi egli non può divenire se stesso, affermare le proprie convinzioni ed aprirsi al mondo. Nei legami incestuosi che egli stabilisce non sono a rischio quindi solo la sua ragione ed obiettività, ma anche la sua stessa libertà e indipendenza. L’uomo non può realizzarsi, non può nascere pienamente, finché non sia completa la sua emancipazione da quei vincoli che lo condannano a non poter progredire oltre nel processo di individuazione.

La tendenza a restare ancorato a questi vincoli naturali alla madre e alla natura, e ad incontrarne di nuovi nei loro sostitutivi, è intrinseca nella natura umana, seppure in conflitto con un’opposta tendenza alla crescita che, nell’individuo sano, risulta preponderante. Tuttavia, quando l’orientamento incestuoso ha la meglio, esso è causa della più o meno marcata incapacità della persona e del blocco del suo sviluppo, conseguenziati dalla regressione ad uno stadio arcaico del processo di individuazione.

I desideri incestuosi non sono dunque, secondo Fromm, il risultato dell’impulso sessuale, come appaiono a Freud interpretando l’attaccamento alla madre nei termini della sua teoria della libido. Le spinte sessuali non costituiscono per Fromm mai una causa della fissazione, ma ne sono piuttosto la conseguenza. Anche quando si manifestano nell’adulto, ad esempio nei sogni, tali desideri costituiscono spesso una difesa contro una regressione ad un livello più profondo, difesa nella quale l’espressione della propria virilità di maschio (seppur nei confronti di un oggetto incestuoso), costituente il contenuto onirico manifesto, copre il desiderio di tornare al ventre materno.

Fromm distingue forme benigne e maligne di fissazione incestuosa in funzione del grado di regressione che essa comporta nel processo di individuazione: dal bisogno di molte persone di trovare nel partner un sostitutivo della figura materna, al mancato sviluppo della propria indipendenza, fino alla ‘simbiosi incestuosa’ che ne costituisce il livello più grave e al tempo stesso la regressione più profonda.

La persona simbioticamente attaccata si sente parte dell’oggetto del proprio attaccamento, la separazione dal quale (o anche la sola minaccia di una separazione) è causa di disperazione ed ansia profonde. Nella forma regressiva estrema il desiderio inconscio è effettivamente quello di tornare al grembo materno, che si esprime nel linguaggio simbolico del sogno come timore o desiderio di essere inghiottiti dall’oceano o di sprofondare nella terra.

Il desiderio di base è quello di liberarsi della propria individualità e tornare ad essere una cosa sola con la natura; la paura della vita e della propria libertà si esprime come fuga dalla responsabilità che la propria consapevolezza comporta e si pone in conflitto con la vita stessa, sminuendo il desiderio di vivere e condannando l’uomo a procrastinare nella dipendenza.


(
13) S. Freud, “L’Io e l’Es”; citato da Fromm in “Psicoanalisi dell’amore” (op. cit.).
(
14) Credo che certi rapporti di coppia ed esperienze patologiche di “innamoramento” possano spiegarsi sulla base di questo meccanismo, idea che peraltro si può far derivare dalla concettualizzazione di Fromm di quegli orientamenti caratteriali basati su rapporti di simbiosi con gli oggetti; ritengo anche sia lecito supporre che la forte attrazione per l’eroina, anche da parte di persone non ancora fisiologicamente dipendenti, possa essere ascrivibile a questo fenomeno, perlomeno in quegli individui dotati di un tale orientamento caratteriale. L’eroina infatti ben si presta al ruolo di madre che tutto ama e che tutto nutre, tanto da poter divenire per molti una soluzione comoda ed apparentemente vantaggiosa al problema della propria esistenza.

PASSIONI RAZIONALI E PASSIONI IRRAZIONALI

dalla tesi di laurea in Psicologia di Andrea Ciacci: "Il percorso umano verso l'individualizzazione di Erich Fromm"


Necrofilia e biofilia
Narcisismo
Fissazione incestuosa
Sindrome di decadimento e sindrome di crescita

Parlando di ‘passioni’, Fromm intende un concetto più vasto di quello di impulso, istinto o pulsione. Mentre questi termini sono stati tradizionalmente utilizzati per denotare spinte innate nell’individuo, intrinseche nella sua natura, alla cui base Freud vede la necessità di riduzione di una tensione (
7), nella concezione di Fromm le passioni non sono spinte biologicamente innate, ma derivano da tendenze sviluppate dall’uomo nel corso dell’evoluzione storica, come conseguenza dell’interazione tra esigenze intrinseche alla sua natura (autoconservazione, bisogno di crescita, di espressione delle proprie potenzialità, di libertà) e condizioni ambientali. Tanto le passioni più nobili quanto le più aberranti non sono dunque parte di una natura umana immodificabile, ma costituiscono piuttosto il prodotto dell’evoluzione umana e della storia: l’uomo è la continua conquista dello sforzo dell’umanità verso la propria individuazione e la stessa natura umana si crea in tale processo.

L’uomo è dunque un prodotto della storia, ma nell’affermare ciò Fromm puntualizza la necessità di evitare quell’errore in cui sono caduti certi interpreti del marxismo (e contro il quale lo stesso Marx metteva in guardia): l’uomo si crea, sì, nel corso della storia, ma non bisogna dimenticare che la storia è creata dall’uomo, e che l’uomo stesso è la sua creazione più grande, il prodotto del proprio adattamento dinamico a condizioni esterne, naturali e sociali.
Per adattamento dinamico Fromm intende quel tipo di adattamento che comporti una modifica nella struttura del carattere, mentre l’adattamento statico è costituito dal semplice adattarsi a dei modelli, lasciando immutata la propria struttura caratteriale.

Esempi di adattamento dinamico sono costituiti dalle nevrosi: esse sono considerate da Fromm come il prodotto dell’adattamento dell’individuo a condizioni esterne, specie quelle della sua fanciullezza, in se stesse irrazionali e sfavorevoli al suo sviluppo.
Analogamente, vi sono fenomeni socio-psicopatologici che costituiscono esempi di adattamento dinamico a condizioni sociali altrettanto dannose per gli individui.
Ritengo che qui si possa parlare allora di due tipi di nevrosi o, meglio, di due diversi modi di intendere la nevrosi:

a. come dovuta al mancato adattamento a condizioni esterne dannose; l’individuo nevrotico apparirebbe in tal caso come moralmente superiore al “normale”;

b. come dovuta all’adattamento dinamico, riuscito, a condizioni esterne dannose; in tal caso l’inadattato è il sano, mentre il nevrotico è colui che si adatta ad una società avente caratteristiche nevrotiche.

A prescindere dal fatto che non si possa parlare di società nevrotica se si considera come nevrosi il mancato adattamento alla società (posizione della psicoanalisi e della psichiatria ortodosse) od anche la conseguenza di tale mancato adattamento (che non ritengo sia la stessa cosa), le possibilità dell’individuo che viva in una società non ‘genetico-creativa’ (
8), sono obbligatoriamente due (non intendo dire con ciò che l’individuo possa sempre effettivamente scegliere tra tali possibilità):

1. adattarsi alla società, e con ciò divenire nevrotici, anche se non si sarà considerati tali rispetto ad essa;

2. Essere sani, ma restare dei disadattati, ed essere comunque definiti come insani rispetto alla società.

Volendo stabilire quale delle due soluzioni possa essere preferibile, credo che un criterio d’elezione debba essere, conformemente al pensiero di Fromm, quello della felicità umana. Sembra dunque che qui possa crearsi una frattura tra felicità dell’individuo e felicità dell’umanità in generale; ma, ad un esame più approfondito, risulta come tale contrapposizione sia solo apparente, infatti, come d’altra parte Fromm eloquentemente sostiene, le differenze tra le varie società sono differenze etiche nella misura in cui pongono l’uomo e la sua felicità come fine supremo.

Qualsiasi tipo di felicità individuale che possa ottenersi dall’adattamento dinamico ad una società che sia d’ostacolo alla crescita umana non può considerarsi dunque felicità autentica, ma ne costituisce un surrogato, legato alla soddisfazione psicologica derivante dall’adempimento di esigenze sociali in conformità alle quali si sono modellati i propri desideri; d’altra parte, in modo analogo, l’infelicità che può derivare dall’essere inadattati ad una società che sia d’ostacolo allo sviluppo degli individui è una falsa infelicità e può, a patto che non si soccomba dinanzi ad essa, tramutarsi in vera felicità, propria e collettiva, se si riesce a sviluppare la propria individualità a dispetto dell’influsso sociale ed a indirizzare le proprie energie nello sforzo di contribuire a realizzare quelle condizioni, caratteristiche di una società genetico-creativa, che possano favorire la vera felicità nella maggior parte degli individui. Non bisogna infatti dimenticare che la società esercita sì, per effetto del sistema socioeconomico e del modo di vita e di produzione ad essa sotteso, una influenza preponderante sugli individui, ma al tempo stesso i singoli individui, che di tale società fanno parte, hanno la facoltà, in una certa misura per ognuno diversa, di sfuggire al suo influsso deterministico ed al tempo stesso di influire su di essa, contribuendo ad indirizzare il processo sociale di modo che la stessa società possa essere adattata alle esigenze umane.

Con ciò non intendo affermare l’opinione che la propria incapacità di adattarsi alla società non possa essere causa di autentica sofferenza, così come non ritengo che l’adattamento faccia soffrire le persone coscientemente. L’adattamento dinamico, infatti, comporta che nell’agire in conformità con le esigenze sociali la persona provi soddisfazione, appunto in virtù delle conseguenze che tale tipo di adattamento hanno sul suo carattere; d’altra parte un adattamento statico può mantenere la persona sana (con sana intendo sana nell’ottica frommiana), a patto che questa possa “fingere” così a lungo di essersi adattata (in senso dinamico). Ritengo (mia opinione personale) che anche tale situazione risulti alla lunga insostenibile e che tale persona possa essere considerata una “bomba ad orologeria” che può scoppiare in ogni momento o che comunque, nel migliore dei casi, alla lunga soffra più o meno coscientemente della repressione dell’espressione del proprio pensiero critico e della mutilazione della sua vita autentica.

D’altra parte, ritengo che, qualora il non adattamento dell’individuo alla società sia supportato da una certa subcultura o comunque da un gruppo di individui sufficientemente vasto ad evitare che il singolo possa percepire un’eccessiva solitudine morale come conseguenza del proprio dissenso, tale disadattamento potrebbe non essere causa di sofferenza e tra l’altro potrebbe contribuire, tramite l’azione degli appartenenti a tale gruppo o subcultura, ad esercitare una attiva influenza sull’intera struttura sociale, seppur con il rischio del crearsi di una situazione fortemente conflittuale che a certe modalità di azione di una tale minoranza può essere connessa. E seppur con il rischio, per gli appartenenti a questa stessa minoranza, di incombere nelle conseguenze della più cruda repressione che l’apparato statale utilizza nei confronti di chi sfugge a quella repressione assai efficace, ma più sottile, esercitata per tramite dei mezzi di creazione del consenso.

Le passioni irrazionali, quelle tendenze dirette contro la vita costituenti la necessaria conseguenza della frustrazione dell’innata tendenza umana allo sviluppo delle proprie potenzialità, sono il narcisismo, la fissazione incestuosa e la necrofilia.
Tutte e tre queste passioni hanno forme benigne, non necessariamente patologiche, che possono presentarsi isolate ed attenuate da tratti produttivi nella struttura caratteriale della persona, ma nelle loro forme più gravi esse convergono, a formare quella che Fromm definisce ‘sindrome di decadenza’.


(7) Vedi la differenziazione tra psicologia dei fenomeni di carenza e di abbondanza in E. Fromm, “Fuga dalla libertà”, op. cit., pag. 230.
(
8) E. Fromm, “Die Entdeckung des gesellschaftlichen Unbewuten: zur Neubestimmung der Psychoanalyse” a cura di R. Funk (1990); trad. italiana “L’inconscio sociale. Alienazione, idolatria, sadismo”, Mondadori, Milano (1992).

IL COYOTE

Il coyote è un birbante infido e dispettoso ed è... sacro.
E’ quasi sempre occupato a ingannare gli altri animali o anche se stesso. Cade sempre nelle sue stesse trappole per poi liberarsi e uscirne ogni volta di nuovo incolume.
Dato che non riesce a imparare dai suoi errori, si ritrova spesso a rimanere ingarbugliato nelle stesse difficili situazioni.
Solo la sua capacità, quasi un'arte, di campare alla giornata gli garantisce di sopravvivere e di non riportare seri danni.
Nel caso siate in possesso di questo tipo di energia, vi ritroverete spesso a fare la parte del clown e sembrate sempre finire nelle più difficili e strampalate situazioni senza averne minimamente l'intenzione.
In questo caso l'unica cosa che può aiutarvi è il saper ridere di voi stessi: solo così potrete uscire dal gioco vincitori o per lo meno senza danno.
Il coyote ci tiene lo specchio di fronte e ci mostra le nostre stesse pazzie.
Nessun altro più di una persona-coyote è in grado di smuovere con eleganza e disinvoltura un gruppo di persone o una situazione divenute troppo serie o pesanti.

LA LONTRA

La lontra rappresenta l'energia femminile.
I suoi elementi, terra e acqua, sono quelli della donna.
Questa forza equilibrante la rende giocosa e allegra tutto il giorno, anche con i propri piccoli.
La lontra non inizierebbe mai per prima una lotta con un altro animale, poiché non conosce l'aggressività né la mancanza di equilibrio; per questo motivo essa va incontro a ogni essere con curiosità e spirito amichevole.
Solo nel caso venga attaccata è pronta e disposta anche a difendersi.
Anche la sua figura corrisponde all'ideale di donna degli indiani: snella e graziosamente civettuola.
La lontra insegna che l'essere donna non ha niente a che fare con gelosia e diffidenza, bensì è sinonimo di gioia e franchezza: è la forza della generosità, del dividere i propri beni con gli altri.
Gli individui dotati dell'energia della lontra amano l'amore libero senza costrizioni e senza giochi di forza.
Si lasciano portare dal fiume della vita senza badare o attaccarsi ai beni materiali.
È questa la potente forza ricettiva delle donne.

L'OPOSSUM

L'opossum è tra gli animali lo specialista della tattica.
Quando poi le sue strategie non servono a scansare il pericolo, allora si finge morto.
In genere l'animale che lo sta cacciando resta piuttosto confuso e se ne va.
Sebbene l'opossum sia capace di difendersi anche con i denti e le unghie, di rado arriva a farne uso: è ad esempio in grado, quando si finge morto, di emanare nell'aria un intenso odore di cadavere, cosa che può confondere completamente l'avversario.
Questo animale insegna a usare la ragione e l'intuizione per trovare una via d'uscita da una situazione difficile.
Un aggressore infatti perde spesso la voglia di attaccare o lottare quando la presunta vittima mostra indifferenza e non lascia capire se sia ferita oppure no.
Anche un guerriero può trarre profitto dalla forza dell'opossum puntando sulla sorpresa e cercando di confondere l'avversario, specie quando pensa di trovarsi in una posizione di svantaggio.
La vittoria alla fine dipende dalla strategia migliore, e l'opossum mostra appunto come sia importante anche affinare la capacità di fingere e sorprendere.